Figlie e figli della #GenerazioneParità
Pregiudizi inconsapevoli e stereotipi: riconoscerli per contrastarli
Non ci affidiamo al caso quando le nostre figlie e i nostri figli attraversano la strada: diciamo loro che è pericoloso e li accompagniamo per mano per molti anni prima di lasciarli fare da soli. Dovremmo fare lo stesso con gli stereotipi di genere e aiutare le nostre ragazze e i nostri ragazzi a entrare nella vita preparati ad affrontare il traffico in arrivo.
Queste le parole con cui Marina Della Giusta, Barbara Poggio e Mauro Spicci concludono il loro saggio Combattere gli stereotipi di genere a e con la scuola, che presto sarà pubblicato assieme ad altri contributi in un volume Pearson dedicato a questo tema e destinato principalmente ai docenti. La pubblicazione rientra nel più ampio progetto di casa editrice #GenerazioneParità, nato per portare concretamente nelle scuole questa attenzione alla parità e all’inclusione, grazie alla produzione editoriale, ad attività di formazione, a ricerche sul campo e a progetti speciali.
Si parla di parità di genere quindi, argomento sempre più centrale nel dibattito pubblico e traguardo fondamentale per ciascuno di noi in ogni aspetto della vita, nonché quinto obiettivo globale dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Ma è importante che il confronto su questi aspetti coinvolga soprattutto i giovani, perché il segreto per una società più equa sta proprio nel crescere le future generazioni in nome di un concetto di uguaglianza, di equità e nel rispetto totale delle differenze.
Come ci raccontano i nostri autori, infatti, «gli stereotipi di genere sono un’importante forza pervasiva che sta alla base di molti persistenti divari di genere che osserviamo nella vita sociale ed economica - per esempio nell’istruzione, nel mercato del lavoro, nella rappresentanza politica e nella divisione del lavoro nelle famiglie - e, a meno che non li prendiamo sul serio, facciamo sforzi consapevoli per imparare a contrastarli e attrezziamo i ragazzi per combatterli adeguatamente, di fatto non faremo progressi».
Per esempio, questo divario di genere si riscontra nella scarsa propensione delle ragazze alle materie STEM (Science Technology Engineering and Mathematics): è stato dimostrato che tale dinamica non ha niente a che fare con differenze di genere innate nelle abilità quanto piuttosto con aspettative che insegnanti, genitori e studentesse stesse hanno e che si perpetuano inconsapevolmente. Da qui derivano poi la scarsa scelta delle facoltà universitarie in ambiti STEM da parte delle ragazze e i conseguenti divari nel mercato del lavoro in questi settori, dove domina numericamente il genere maschile ma che sono quelli con più opportunità professionali.
Ma da dove nascono tali credenze e stereotipi? Alla base ci sono i cosiddetti pregiudizi inconsapevoli, meccanismi automatici del nostro cervello e da cui tutti siamo inevitabilmente affetti. Per approfondire la questione vi proponiamo un estratto dal saggio Combattere gli stereotipi di genere a e con la scuola, in cui il tema viene spiegato in modo chiaro ed efficace attraverso esempi tratti da contesti quotidiani.
Solo riconoscendo questi meccanismi è possibile superarli e contrastarli: in questo modo tutti noi, così come i nostri figli e le nostre figlie che saranno i cittadini e le cittadine di domani, potremo consapevolmente apportare il nostro contributo per una società più equa e inclusiva.
Referenze iconografiche: Ground Picture/Shutterstock
Estratto dal saggio: Marina Della Giusta, Barbara Poggio e Mauro Spicci, Combattere gli stereotipi di genere a e con la scuola
La psicologia degli stereotipi
Il nostro cervello porta con sé la storia del contesto in cui si è evoluto per milioni di anni, nel corso dei quali i nostri progenitori hanno trascorso la maggior parte del tempo in ambienti in cui la sopravvivenza non era affatto garantita. Ha dunque sviluppato la capacità di decidere in modo istintivo se una situazione potrebbe essere pericolosa, e per farlo si basa su semplici regole di associazione basate sull’esperienza quotidiana: tocco il fuoco e brucia, e capisco che non devo farlo più, senza necessariamente imparare la fisica del calore o la fisiologia del corpo umano. Dato che nel corso di una giornata dobbiamo prendere migliaia di decisioni, questo è senz’altro un modo molto pratico ed efficiente di “funzionare”, per riservare la nostra energia a decisioni più complesse come fare un esame o scegliere un lavoro. Per questo secondo tipo di decisioni usiamo metodi più sofisticati, cercando di paragonare situazioni fra loro e stabilire relazioni causali e non solo semplici associazioni, distinguendo così tra semplici ricorrenze (incontro una persona che non mi aspetto di vedere mentre indosso una maglietta bianca), e relazioni causali (penso che tutte le volte che indosserò una maglietta bianca incontrerò di nuovo quella persona).
Il modello del pensiero lento e pensiero veloce, ben spiegato da Daniel Kahnemann nel suo libro Pensieri lenti e veloci (Mondadori 2012), descrive il nostro modo di pensare distinguendo le due modalità: una veloce, inconscia e automatica che attuiamo nel contesto dei milioni di piccole decisioni quotidiane, utilissima per risolvere questioni urgenti ma che fa più facilmente errori; e una più lenta, deliberata, che richiede uno sforzo e che usiamo per le decisioni più complesse ma che è anche più affidabile.
Il pensiero veloce ci permette, con la sua eccezionale capacità di calcolare in modo inconscio e veloce le probabilità che un evento si ripeta, di imparare a usare la grammatica del nostro linguaggio, di conoscere gli effetti delle emozioni sul comportamento delle persone o di riconoscere quali tipi di persone ci piacciono e quali non ci piacciono: questo però crea anche i nostri pregiudizi inconsapevoli.
Il pensiero lento usa sistemi diversi nel cervello per permetterci di risolvere problemi in modo sistematico. Usiamo questo sistema per fare paragoni e mettere alla prova le idee. Senza questo non saremmo capaci di decidere quali vestiti indossare o presentare nel modo migliore le nostre opinioni in una relazione. Il pensiero lento è molto più faticoso del pensiero veloce, ma è necessario quando dobbiamo giudicare o valutare il valore di una situazione.
Attenzione però, perché se il pensiero lento può “verificare” le informazioni ricevute dal pensiero veloce e decidere se agire o meno sulla loro base, non può fare a meno di continuare a riceverle. Per continuare l’esempio precedente, dato che il pensiero veloce ha formulato l’associazione tra maglietta bianca e persona, la prossima volta che indosseremo una maglietta bianca non riusciremo a fare a meno di pensare che magari incontreremo quella persona, perché il pensiero veloce lavora solo per associazioni e colora le nostre aspettative, creando un pre-giudizio – cioè letteralmente un giudizio prima che abbiamo avuto il tempo di considerare la cosa con attenzione – che verrà poi superato una volta che ci penseremo meglio col pensiero lento. Il pensiero lento si renderà benissimo conto che la nostra aspettativa istintiva, o pregiudizio inconsapevole, non era corretta e correggeremo la nostra aspettativa. Ma, proprio come con le illusioni ottiche che anche quando vengono svelate poi ritornano, il pre-giudizio ci verrà nuovamente istintivo: il cervello è sicuramente capace di autocorreggersi, ma non può cambiare il proprio funzionamento in modo permanente.
Questo esempio di pregiudizio inconsapevole che viene portato al pensiero cosciente con l’attenzione e quindi corretto, per poi ripresentarsi di nuovo e nuovamente necessitare di correzione, si applica a moltissime altre situazioni, con conseguenze che, come vedremo, possono essere importanti nel nostro modo di relazionarci agli altri. Un facile esempio è l’effetto del pregiudizio inconsapevole quando incontriamo una persona nuova che ci ricorda qualcuno che conosciamo bene, e proiettiamo inconsciamente le caratteristiche della persona che ci è familiare sulla nuova persona sconosciuta, distorcendo la nostra reazione.
Siamo dunque condannati? Non proprio: in realtà già conoscere l’esistenza dei pregiudizi inconsapevoli permette di correggerli, e se non possiamo sperare di farlo in modo permanente, possiamo perlomeno escogitare strategie efficaci per evitare che i pregiudizi inconsapevoli guidino le nostre decisioni importanti.
I pregiudizi inconsapevoli sono la risposta immediata del cervello a persone e situazioni sulla base di esperienze precedenti e sono influenzate dal nostro background e dalla nostra cultura. La loro caratteristica più importante è che avvengono automaticamente e al di fuori del nostro controllo, e possono anche farci prendere decisioni sbagliate.
Rendendoci coscienti dei nostri pregiudizi inconsapevoli possiamo decidere se ci stanno suggerendo comportamenti appropriati e possiamo dunque decidere di combatterli o assecondarli. Portare i pregiudizi inconsapevoli al pensiero cosciente permette di iniziare il processo di cambiare i comportamenti abituali prima di tutto facendoli diventare distorsioni implicite e, successivamente, creando nuovi modi di pensare.
È facile? Spostare i nostri pregiudizi inconsapevoli come nell’esempio della maglietta è molto difficile a causa di altre caratteristiche del funzionamento del nostro cervello: per esempio il fatto che, quando leggiamo informazioni nuove, facciamo molta più attenzione a quelle che confermano quello che già crediamo rispetto alle informazioni aggiuntive (Distorsione di Conferma), e che è anche molto più probabile che dimentichiamo informazioni che contrastano quello che già crediamo (Distorsione di Congruenza). Incontrando una persona che ci ricorda qualcuno con cui abbiamo avuto una brutta esperienza faremo subito caso a tutti gli aspetti negativi dell’interazione con lei e tenderemo a ignorare quelli positivi, allontanandoci sempre di più dalla possibilità di giudicarla diversamente da quella che, del tutto casualmente, ci ricorda.
Esistono sistemi che funzionano per attenuare l’effetto dei pregiudizi inconsapevoli, ma il semplice processo di rivelarne l’esistenza, anche se potenzialmente efficace nel breve periodo (Alesina et al., 2018), è però molto criticato in psicologia (Devine et al., 2012) […].
Dato che siamo tutti affetti da pregiudizi inconsapevoli, anche l’ambiente professionale in cui operiamo ne risente e, nel caso di quello scolastico, il loro effetto si manifesta nel contenuto del curriculum scolastico (che riflette quelli di chi lo disegna e ridisegna), nei materiali che vengono usati per insegnare (che riflettono quelli di scrittori, illustratori, editori), nei metodi, e naturalmente anche nei docenti, nei ragazzi, nelle famiglie e in tutti i soggetti variamente coinvolti nell’esperienza educativa. I pregiudizi inconsapevoli sono dunque collegati alle disuguaglianze scolastiche attraverso molte delle variabili che mediano il successo cognitivo e non cognitivo dei ragazzi, e dato che le disuguaglianze educative cominciano ad apparire molto presto nel percorso scolastico e tendono a consolidarsi e ampliarsi nel tempo è importante intervenire il più presto possibile (Fryer and Torelli, 2010; Heckman, 2011; OECD, 2017).
BIBLIOGRAFIA
- Alesina A., Carlana M., Ferrara E.L., Pinotti P., Revealing Stereotypes: Evidence from Immigrants in Schools (No. w25333), National Bureau of Economic Research 2018.
- Devine P.G., Forscher P.S., Austin A.J., Cox W.T., Long-term reduction in implicit race bias: A prejudice habit-breaking intervention, “Journal of experimental social psychology”, 2012, 48(6), pp. 1267-1278.
- Fryer Jr R.G. and Levitt S.D. An empirical analysis of the gender gap in mathematics, “American Economic Journal: Applied Economics”, 2010, 2(2), pp. 210-40. · Heckman J., Pinto R., Savelyev P., Understanding the Mechanisms through Which an Influential Early Childhood Program Boosted Adult Outcomes, “American Economic Review”, 2013, 103(6), pp. 2052-2086.
- Kahneman Daniel, Pensieri lenti e veloci, Mondadori 2012.
- OECD Educational Opportunity for All, 2017.