È un viaggio in un territorio segreto che ognuno di noi deve compiere ogni giorno, per tutta la vita. Un percorso fatto in solitudine, in una zona densa e profonda, che ha ispirato da sempre artisti, filosofi e scrittori alle prese con le sue infinite suggestioni – il sogno, l’incubo, l’abbandono della coscienza – ma anche gli scienziati. Intenti a scoprire cos’è il sonno e perché la natura abbia deciso di farci dormire per circa un terzo della nostra vita. Tradotto in anni? Un uomo di 30 ne ha passati ben 10 addormentato, uno di 80, più di 25. Un tempo enorme, in cui il nostro corpo giace inerme e, apparentemente, improduttivo: «Se il sonno non fosse una funzione assolutamente vitale, allora sarebbe il più grande errore mai commesso dall’evoluzione» disse alla fine degli anni Settanta Allan Rechtschaffen, uno tra i pionieri della ricerca in questo campo.
Primo: per imparare meglio
Negli ultimi 20 anni, la scienza ha elaborato varie teorie e ricerche volte a trovare la ragione per la quale, a costo della nostra salute, e in casi estremi, della nostra vita, quotidianamente dobbiamo fare le nostre immaginarie valigie, piene delle nostre avventure della giornata, e attraversare quel misterioso confine che separa la veglia dal sonno. «Ciò che è stato chiarito fino a oggi è che alla domanda Perché dormiamo? non esiste una sola risposta» spiega Carolina Lombardi, medico e responsabile del Servizio di Medicina del Sonno dell’Istituto Auxologico Italiano. «Gli effetti del sonno coinvolgono infatti molte diverse funzioni del nostro organismo: prima di tutto, a livello del sistema nervoso centrale il sonno serve a facilitare l’apprendimento e consolidare i ricordi.» Molti studi testimoniano che il sonno permette di selezionare i ricordi più importanti, rafforzarli, analizzarli e integrarli per un successivo utilizzo una volta svegli. Una ricerca del 2013 svolta presso l’Università di Rochester, negli Usa, ha inoltre dimostrato che mentre dormiamo lo spazio tra le cellule del cervello aumenta. Questo garantirebbe un miglior flusso del fluido cerebrospinale tra il cervello stesso e il midollo, favorendo così l’allontanamento di molecole potenzialmente tossiche dalle aree intercellulari.
Buono per il cuore, le difese immunitarie e... il peso forma
Ma c’è dell’altro. Racconta Carolina Lombardi: «Dormire è importante anche per il benessere dell’apparato cardiovascolare – un cattivo sonno aumenta il rischio di patologie come l’infarto – del sistema immunitario e della produzione di ormoni». Per quanto riguarda il sistema immunitario, diversi studi hanno evidenziato che la sua efficienza è direttamente influenzata dalla qualità e dalla durata del nostro sonno. In esperimenti effettuati su volontari, una notte in bianco si è dimostrata sufficiente per apprezzare una variazione, in difetto, nel suo funzionamento. Dal punto di vista ormonale, invece, altre ricerche hanno documentato che due sole notti di sonno insufficiente bastano a creare uno squilibrio a carico di ormoni come grelina, stimolante dell’appetito, che risulta aumentata di un terzo, e leptina, sostanza che invece agisce come inibitore della fame, il cui livello diminuisce. Nei soggetti analizzati, l’appetito aumentava in media del 23%. Queste e altre evidenze sembrerebbero confermare come dormire poco si possa tradurre in un aumento del peso corporeo. È tutto? Niente affatto. Potrebbe esserci infatti anche una relazione tra una scarsa quantità e qualità del sonno e la possibile insorgenza di patologie come il diabete di tipo 2, la depressione e altri disturbi psichiatrici.
Un processo ciclico
Dormire, insomma, è un affare serio che coinvolge tutto il nostro organismo. Vale la pena, perciò, cercare di capire in cosa consista esattamente questo processo dal punto di vista fisiologico. Spiega Lombardi: «Il sonno non è un processo omogeneo ma anzi, è fatto di cicli che durano, in media, 90 minuti. In questi cicli si avvicendano due stati distinti. Il primo è detto NREM (Non-Rapid Eye Movement) ed è diviso a sua volta in tre fasi successive – N1, N2 e N3 – in cui si passa da uno stato di sonno leggero a uno più profondo con un rallentamento dell’attività elettrica del cervello, una riduzione della pressione arteriosa, del battito cardiaco e della frequenza del respiro. Il secondo stato è detto REM (Rapid Eye Movement) e, per quanto riguarda l’attività cerebrale, per diversi aspetti è molto simile alla veglia». Nella fase REM produciamo la maggior parte dei sogni, si attivano le aree sensoriali e motorie del cervello con un pattern paragonabile a quello che si registra quando siamo svegli, viene perso il tono muscolare e i nostri occhi, sotto le palpebre, si muovono rapidi. Il passaggio da REM a NREM sembra essere controllato dall’azione alternata di diversi gruppi di neuroni: quelli colinergici, che si attivano al massimo nello stato REM, e quelli noradrenergici (che producono la noradrenalina) e serotonergici (produttori della serotonina) che invece favoriscono lo stato NREM.
Un raffinato lavoro d’orchestra
Anche l’alternarsi del ciclo sonno-veglia è frutto di un delicato equilibrio tra diversi meccanismi che “lavorano come in un’orchestra” spiega Lombardi. «Tra questi, un ruolo molto importante lo giocano i ritmi circadiani, ossia le fluttuazioni della temperatura corporea, dei livelli ormonali e di altri parametri fisiologici che avvengono nelle 24 ore sotto la guida di una sorta di orologio biologico che si trova nel cervello.» Negli esseri umani questo orologio si trova nell’ipotalamo, ha il nome di “nucleo soprachiasmatico” ed è sincronizzato con i fattori ambientali, in particolare l’alternanza di luce e buio, e con le abitudini dell’individuo. «Un altro meccanismo importantissimo – continua Lombardi – è quello omeostatico, che è semplicemente la nostra necessità di dormire: più ore stiamo svegli, più questo bisogno crescerà.» Durante la veglia, a tenerci vigili e attivi contribuisce un nutrito numero di sostanze tra le quali l’istamina, la dopamina, l’acetilcolina e la norepinefrina, tutte facenti parte del cosiddetto sistema attivatore ascendente. Come è facile capire, per iniziare e mantenere il sonno l’azione di tutte queste sostanze si deve ridurre. Benché i meccanismi non siano ancora compresi completamente, sembra che nel processo che favorisce il sonno silenziando l’azione del sistema attivatore ascendente, un ruolo importante lo giochi una sostanza chiamata adenosina. Quando siamo svegli, infatti, i suoi livelli nel sangue salgono – mentre, corrispondentemente, aumenta anche il nostro bisogno di dormire – per poi diminuire quando siamo addormentati.
Gufi o allodole?
Insomma, l’avrete capito: per quanto ben esercitata, l’orchestra nel portare avanti il suo quotidiano concerto ha un compito tutt’altro che semplice. Reso ancora più difficile da stili di vita e abitudini che, anziché aiutare i nostri musicisti a leggere quietamente la loro partitura, sembrano far di tutto per metterli nei guai. Ritmi quotidiani irregolari, alimentazione scorretta, stress, impegni sociali o lavorativi, sono tutti elementi che contribuiscono a rompere i delicati equilibri che regolano l’organismo. E gli effetti si vedono: gli studiosi sono concordi nell’affermare che l’uomo contemporaneo dorma sempre meno e sempre peggio. Come correre ai ripari? Cominciando a conoscersi, per esempio, e osservando poche regole che possono fare la differenza. «Non siamo tutti uguali: il numero di ore di cui ciascuno ha bisogno varia con l’età – ne servono di più da giovani – e da individuo a individuo. La quantità di sonno che ci è necessaria per stare bene, infatti, è determinata geneticamente. Esistono per esempio i cosiddetti brevi dormitori, persone che possono dormire anche solo 4-5 ore per notte ed essere perfettamente funzionali. Per gli altri, valgono le canoniche sette ore di sonno filato» spiega Lombardi. Ognuno di noi, poi, ha uno specifico cronotipo, che distingue i “gufi”, ossia coloro che preferiscono andare a letto e svegliarsi tardi, dalle “allodole”, che si coricano e si alzano presto. «Anche questo è un fattore individuale che dovrebbe essere assecondato per rispettare il nostro fabbisogno di sonno, facendo però i conti con la nostra vita quotidiana. Questo riguarda anche i più giovani: è chiaro che gli adolescenti, che amano andare a letto tardi ma al mattino devono alzarsi presto per andare a scuola, si possono trovare in difficoltà per mancanza di una corretta quantità di riposo.» Che, per loro, secondo le ricerche, dovrebbe essere di 9-10 ore a notte.
Poche regole per un sonno migliore
Attenzione poi a tutto ciò che contribuisce a mettere in difficoltà i sistemi che regolano i meccanismi sonno-veglia. Spiega Lombardi: «Bisogna evitare gli stimolanti, come il caffè dopo le 16, l’alcol e il fumo e l’attività fisica serale deve essere moderata. Attenzione anche alla luminosità, perché la stanza in cui si dorme deve essere silenziosa e buia. Per questo niente tablet, monitor o videogiochi accesi fino a tardi, abitudine sempre più comune tra ragazzi e adulti, perché la loro illuminazione interferisce con il processo di addormentamento e con la qualità del sonno. Infine, occorre rispettare le nostre “porte del sonno”, ossia gli orari in cui tendiamo fisiologicamente ad addormentarci e che sono regolate dai ritmi biologici individuali e, in parte, dal condizionamento esterno. Conoscerle e rispettarle significa dormire di più e meglio e, di conseguenza, aumentare il nostro benessere».
Malattie del sonno
I disturbi relativi al sonno sono tanti e più comuni di quanto si possa pensare. L’insonnia, che consiste nell’incapacità di addormentarsi o di conservare un riposo continuativo oppure in un risveglio prematuro, è il più noto. Ma ne esistono altri, come la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, caratterizzata da un’ostruzione delle alte vie aeree che si ripete più volte durante il riposo. Favorita da un peso corporeo eccessivo, sempre associata a russamento e più comune nei maschi, questa condizione si presenta di solito al di sopra dei 30 anni e porta a problemi a breve termine ma anche sulla lunga distanza, soprattutto a carico del sistema cardiovascolare. Ricordiamo anche la narcolessia, malattia neurologica rara che si manifesta con crisi caratterizzate da un profondo e irresistibile bisogno di dormire accompagnate talora a manifestazioni come la perdita improvvisa del tono muscolare o le allucinazioni. La causa? Sta nella mancata azione di una sostanza chiamata orexina, che fa parte del “sistema attivatore ascendente”, deputato a mantenere il nostro cervello nella fase di veglia. Un caso a parte è rappresentato dall’insonnia familiare fatale (IFF): rarissima ed ereditaria, questa patologia si presenta come una progressiva perdita della capacità di dormire associata ad altri sintomi (delirio, allucinazioni, demenza) di gravità crescente fino alla morte in un tempo che va dai pochi mesi a tre anni. L’IFF è una malattia causata da prioni, gli stessi agenti responsabili del morbo della mucca pazza. Al momento, purtroppo è senza cura.
Il sonno degli animali
Anche gli animali dormono, seppure spesso in modo molto diverso da noi: persino il piccolissimo nematode Caenorhabditis elegans sembra presentare stati simili a quello che noi definiamo “sonno”.
Per i mammiferi dormire è indispensabile alla sopravvivenza visto la completa deprivazione del sonno porta alla morte degli individui in un tempo piuttosto breve.
Tra i primati, l’uomo è quello che dorme di meno. Le sue sette ore di media, in effetti, sembrano poca cosa rispetto alle 13-17 ore al giorno dormite dall’aoto dalle tre strisce, dal tamarino edipo o dal microcebo murino. Il nostro sonno, però, sarebbe più profondo, più efficiente e con una percentuale di fase REM maggiore rispetto a quello di tutti gli altri primati. Più in generale, negli animali, le modalità di riposo sembrano differire parecchio tra predatori e prede. Mentre i primi possono concedersi periodi anche prolungati di sonno diurno o notturno, a seconda delle abitudini, i secondi sono costretti ad adattarsi per non fare una brutta fine. Per questo, molte specie, dormono a brevi intervalli. Le giraffe, in particolare, riposano non più di 5 minuti per volta, quasi sempre in posizione eretta. Una strategia particolarmente efficace è quella messa in atto da delfini e foche in cui a dormire è un emisfero cerebrale per volta: mentre uno dorme, l’altro presenta il pattern dello stato di veglia, permettendo così all’animale di mantenere attiva la guardia ed evitare i pericoli.
PER APPROFONDIRE
- Sleep and dreaming: The how, where and why, raccolta di articoli sul sonno su New Scientist.
- The power of Sleep, in Scientific American, 2015, Vol. 313, pp. 51-57.
- Quando gli emisferi cerebrali dormono a turno, in lescienze.it, 22 aprile 2016.
- Extent and Health Consequences of Chronic Sleep Loss and Sleep Disorders, in Sleep Disorders and Sleep Deprivation: An Unmet Public Health Problem, National Academies Press 2006.
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