Per uno sguardo “altro” nei confronti delle discipline

Una sinergia tra prospettiva interculturale e interdisciplinare

Un approccio interdisciplinare nella didattica rappresenta un valore indispensabile per favorire nei ragazzi lo sviluppo di capacità critiche, di confronto e interconnessione dei saperi. Ma se la scuola deve formare la persona e il cittadino è possibile fare un passo oltre e promuovere in classe una sinergia tra la dimensione interdisciplinare e una prospettiva interculturale, che faccia emergere le relazioni storico-culturali con l’altro.

Il filosofo e sociologo francese Edgar Morin sostiene che ci sia «un’inadeguatezza sempre più ampia, profonda e grave tra i nostri saperi disgiunti, frazionati, suddivisi in discipline da una parte, e realtà o problemi sempre più polidisciplinari, trasversali, multidimensionali, transnazionali, globali, planetari dall'altra. Invece di opporre correttivi a questi sviluppi, il nostro sistema di insegnamento obbedisce loro. Ci insegna, a partire dalle scuole elementari, a isolare gli oggetti dal loro ambiente, a separare le discipline aperte (piuttosto che a riconoscere la loro solidarietà), a disgiungere i problemi, piuttosto che a collegare e a integrare» (2000, pp. 5-6).
Continua ancora: «le discipline sono pienamente giustificate intellettualmente a condizione che mantengano un campo visivo che riconosca e concepisca l’esistenza delle interconnessioni e delle solidarietà» (2000, p. 120).
Dunque, se la scuola deve formare la persona e il cittadino, la necessità di porre attenzione a una dimensione interdisciplinare nasce dall’esigenza innanzitutto di avvicinare la scuola alla vita e alla complessità e interconnessione dei fenomeni umani che, oggi più che mai, trovano evidenze nella globalizzazione, nell'internazionalizzazione degli scambi economici e commerciali, negli imponenti fenomeni migratori, nella politica (si pensi alle connessioni tra politiche nazionali ed europee) e, con tragica rilevanza, nelle varie implicazioni della pandemia.

Riteniamo che la scuola debba rispondere in modo proattivo alle trasformazioni della società e anche prevedere possibili scenari futuri proponendo modelli educativi che sappiano non solo interpretare i tempi sviluppando pensiero critico e autonomo (per arrivare a «farsi carico della propria personale costruzione di significato» come indicava Novak, 2001, p. 20) ma anche investire sulle abilità strategiche per il futuro.

L’inter- di cui vorremmo occuparci brevemente in questa sede è, appunto, l’interdisciplinarità alla quale aggiungiamo una riflessione sull’approccio “interculturale” alle discipline. Mettiamo tra virgolette il termine interculturale in quanto vogliamo fornire un’accezione specifica che andremo a precisare.

Cos’è l’interdisciplinarità a scuola

Un punto di partenza per la nostra riflessione è rappresentato dalle parole di Jean Piaget il quale definisce l’interdisciplinarità come «collaborazione fra discipline diverse o fra settori eterogenei di una stessa scienza (per addivenire) a interazioni vere e proprie, a reciprocità di scambi, tale da determinare mutui arricchimenti». In una scuola organizzata per discipline, l’interdisciplinarità è da intendersi quindi come una interazione che arricchisce tutti gli “attori”.

Una visione interculturale dell’interdisciplinarità

In questa sede vorremmo proporre una lettura interculturale di questo termine in quanto riteniamo che, proprio in una scuola organizzata saldamente in discipline, tale arricchimento sia innanzitutto dato dalla possibilità di avere uno sguardo “altro” nei confronti della propria disciplina.

L’intercultura, infatti, muovendo dalla consapevolezza della parzialità e relatività di ogni sguardo sulla realtà, non prevede solo un incontro con l’altro ma, grazie all’incontro con l’altro, offre la possibilità di rinegoziare sé stessi e i propri “significati” proprio in virtù della differenza che porta l’alterità: alterità linguistica e culturale in genere, qui epistemologico-disciplinare, quindi anche culturale, poiché ogni disciplina elabora una sua cultura e microlinguistica.

Sulla scia di Wenger secondo cui «un significato è sempre il prodotto della sua negoziazione […], non esiste né in noi, né nel mondo ma in quella relazione dinamica che è il vivere nel mondo» (2006, p. 54), riteniamo che il saper negoziare i significati muova dall’idea che l’attribuzione dei significati sia da cercare nella co-costruzione di un discorso comune che espliciti il più possibile quegli impliciti culturali che spesso creano divisioni e separazioni.

Il risultato di questo dialogo così inteso, nella rinegoziazione dei significati che esso comporta, è la creazione di un’entità nuova che, pur riconoscendosi (e in questa sede valgano le identità disciplinari), si trasforma.
Interessante, a questo proposito, il concetto di creolizzazione che Armando Gnisci (2001) rielabora partendo dallo scrittore caraibico francofono Édouard Glissant. Tale concetto integra l’idea generica di “meticciamento” o di “ibridazione” aggiungendo un aspetto creativo proprio dell’incontro: come le lingue creole sono lingue pidgin (cioè frutto dell’incontro di parlanti lingue diverse) nativizzate, la creolizzazione introduce un’idea di creatività e di imprevedibilità propria di quello che la comunicazione è sempre: una costruzione di significati originali tra persone che interpretano delle culture (qui, lo ribadiamo, si intendano le culture disciplinari).

La nostra prospettiva sull’interdisciplinarità

Avvicinandoci a una dimensione metodologico-didattica, riteniamo che lo sguardo “altro” di cui parlavamo può assumere tre forme e parta da uno spostamento del focus dalla disciplina stessa alle studentesse e agli studenti che apprendono e al contributo che la disciplina e l’interdisciplinarità possono offrir loro.

1. Il presupposto: la mente è unica, la mente è intelligente, la mente è sociale

La centralità dello studente e del gruppo classe risponde alla prospettiva di facilitazione dell’apprendimento rispetto a quella di insegnamento (focalizzata sul docente). Senza togliere nulla al ruolo indispensabile della trasmissione di contenuti e di metodi di studio, nella nostra lettura dell’interdisciplinarità va posta al centro l’idea che lo studente rielabora, ricostruisce in modo personale (e quindi unico e in parte differente) il sapere trasmesso.
In termini operativi:

  • più si trovano strategie didattiche differenziate, più si allinea metodologicamente la didattica (almeno tra discipline affini come l’italiano e le lingue straniere/classiche) sui principi generali di apprendimento (si pensi agli apporti delle neuroscienze e della psicopedagogia alle didattiche) e più si favorirà un apprendimento efficace > la mente unica;
  • più si favoriscono la connessione esplicita tra le discipline (considerata la natura plurale e stratificata di ogni disciplina, di cui diremo al prossimo punto) e l’invito al pensiero autonomo e critico a vedere l’interconnessione tra le discipline e più si favorirà un apprendimento efficace dei contenuti anche disciplinari > la mente intelligente cioè connettiva;
  • più si favorisce un lavoro guidato e autonomo tra pari (si pensi al Cooperative Learning e al tutoraggio tra pari, cfr. Caon, 2008, 2020), più si invita a una riflessione creativa e condivisa sui collegamenti tra le informazioni anche provenienti da altre discipline (per esempio attraverso compiti di realtà, attività con modalità di classe capovolta, attività di Service Learning, progetti cooperativi strutturati) e più si fa crescere l’intelligenza “sociale” di cui il socio-costruttivismo (cfr. Caon, 2016) si fa promotore > la mente sociale.
2. Ogni disciplina è interdisciplinare

Come abbiamo visto grazie alle parole di Morin riportate in apertura, l’organizzazione disciplinare del sapere è appunto un modo di organizzare la realtà che di fatto è interconnessa e interdipendente sia sincronicamente sia diacronicamente.

Una prospettiva disciplinare che non considera la complessità dei fenomeni storici anche in termini interculturali (siano essi nella storia socioculturale di un popolo, siano della storia di una lingua delle scienze, della matematica, dell’arte), non evidenziandone cioè le relazioni con le “alterità” anche in termini di “debiti culturali” e di “contaminazioni”, rischia di compiere un’operazione etnocentrica e scorretta nella sua parzialità.
Lanternari lamenta proprio che nell’insegnamento sia mantenuta l’assoluta prevalenza di un’educazione «preconcettualmente etnocentrica, chiusa alla considerazione minimamente autonoma di culture diverse specialmente extra-europee chiuse» (1999, p. 58).
Come afferma Tassinari, una didattica che dà forte rilievo alla «specificità delle discipline può correre il rischio di identificare i “saperi” con gli aggregati di conoscenze di cui rimangono ignote le radici, i processi di pensiero e le relazioni del contesto storico-culturale e sociale. […]» (2002, p. 19).
Invece, continua ancora Tassinari «il riconoscimento della pluralità delle culture è collegato all'affermazione di un principio più generale, ossia al riconoscimento dell’alterità in quanto elemento che concorre alla costruzione sia dell'identità personale sia delle identità dei gruppi sociali» (2002, p. 23).
Dal punto di vista metodologico, può essere funzionale il «riconoscimento del debito culturale» (cfr. Caon, Battaglia, Brichese, 2020) il quale muove dall’idea che non vi è una “purezza” culturale, ma che tutto ciò che ci circonda è frutto, nel tempo, di migrazioni, di scambi e di incroci. Tutto quello che pensiamo sia “nostro” e che ci identifica, a uno sguardo più approfondito (e in questo la prospettiva storica è fondamentale) risulta essere anche “altro”. In questo non essere non totalmente mio né totalmente altro riconosciamo uno straordinario dispositivo per poter proporre la categoria del “nostro” che invita, oltre al riconoscimento del debito culturale, anche al senso di interdipendenza, di responsabilità e di valore che l’incontro con l’altro può dare se “gestito” interculturalmente.

3. Le discipline sono in contatto

Muovendo dalla constatazione dell’ibridazione tra varie discipline all’interno della stessa disciplina, è conseguenza coerente favorire percorsi espliciti di interdisciplinarità condotti secondo due modalità:
a. all’interno della propria disciplina: si pensi a percorsi tematici diacronici, come l’evoluzione della figura femminile nel tempo, o sincronici, come le diverse figure femminili nei poemi omerici; collegamenti tra temi affini sviluppati da autori diversi vissuti e cresciuti in tempi e/o luoghi diversi e lontani fra loro;
b. con colleghi di altre discipline, alla ricerca di elementi che accomunano o avvicinano le discipline e che allo stesso tempo ne mostrino le frammentazioni e separazioni:

  • creando dei percorsi di cittadinanza transdisciplinari in cui, per esempio, il tema del cyberbullismo venga trattato da prospettive diverse e integrate dai docenti di tecnologia e di informatica ma anche da quelli di inglese e italiano;
  • realizzando progetti d’Istituto come, per esempio, spettacoli teatrali che coinvolgano docenti di italiano, musica, arte o lingue;
  • lanciando semplici richiami espliciti in cui si chiede agli studenti – previo accordo preliminare coi docenti coinvolti – di approfondire un tema, per esempio il pensiero di Galileo Galilei, con gli apporti derivanti dal docente di matematica e scienze per un approfondimento sul metodo scientifico, con quello di storia e italiano per una correlazione tra lo studioso e il suo tempo.
4. Il metodo allarga lo sguardo

Come abbiamo già accennato, il cambiamento o la pluralità dello sguardo sulla disciplina può essere strutturato non solo attraverso proposte contenutistiche ma anche attraverso metodi didattici. Job e Tonzar affermano che: «i vari modi di insegnamento e apprendimento coinvolgono forme di rappresentazione e operazioni mentali in parte diversi e la metodologia scelta può rendere più facile o più difficile l’acquisizione di una certa conoscenza o di una certa abilità» (1994, p. 39).

Integrare proposte contenutistiche con metodi che, strutturalmente, potenzino particolarmente il pensiero critico, divergente e la cooperazione diventa una soluzione ideale per poter facilitare un processo di apprendimento efficace. La proposta metodologica che noi identifichiamo coerente con questa impostazione è quella dei metodi dell’intercultura (per una panoramica, cfr. Caon, Battaglia, Brichese, 2020) e dei metodi a “mediazione sociale” i quali, pur non escludendo momenti trasmissivi, procedono piuttosto per costruzione di conoscenze e non per ricezione passiva di informazioni e «spostano al centro del processo di apprendimento gli allievi, considerati risorse e origine dell’apprendimento, attivamente impegnati nella costruzione della loro conoscenza. L’interazione verticale docente-allievo lascia così spazio all’interazione orizzontale e multidirezionale studente-studente, recuperandone tutto il valore sociale, espressivo e cognitivo, quasi completamente trascurato negli approcci tradizionali» (Caon, Melero, Brichese, 2020).
Fanno parte dei metodi a mediazione sociale l’apprendimento cooperativo e il tutoraggio tra pari, e prevede elementi sociali anche la didattica ludica.
Si possono riunire in questo cappello, pur ognuno nella sua specificità (cfr. Caon, 2016), poiché tutti mirano a sviluppare contemporaneamente competenze linguistico-comunicative, sociali, metacognitive e metaemotive, culturali e interculturali aderendo a quella idea olistica dell’apprendimento rivolta alla persona – unica e irripetibile e in un contesto specifico anch’esso unico e irripetibile – che apprende.
Tale attenzione metodologica si arricchisce di una didattica metacognitiva (Caon, 2008) che, nell’interdisciplinarità, favorisce in modo esplicito la trasferibilità di strategie di studio e di collegamento tra aree di conoscenza differenti.

Conclusioni

Ancora riprendendo le parole di Morin, il nostro discorso non vuole disconoscere l’impostazione disciplinare del sapere, ma tale impostazione va necessariamente integrata con una visione che riconosca l'esistenza delle interconnessioni e delle solidarietà. Le discipline, così come le concepiamo oggi, sono il frutto di incontri tra saperi differenti, di conoscenze che si sono ibridate, e hanno debiti reciproci proprio come le culture.

Concepire lo studio disciplinare in un’ottica interdisciplinare vuol dire riconoscere questa connessione ed esplicitarla sia diacronicamente (evidenziandone gli apporti plurali che l’hanno costituita) sia sincronicamente (evidenziando le diverse forme di rappresentazione possibile, si pensi al modo di svolgere le operazioni matematiche nel mondo) in un’ottica di riconoscimento e valorizzazione della pluralità di soluzioni.
A questo obiettivo si collega anche quello, proprio dell’educazione interculturale, di cogliere la natura stratificata e interconnessa della cultura, di come essa sia il prodotto di incontri e scontri, e di come anche l’essere umano sia il risultato di continue trasformazioni.

Le attività didattiche

Per passare dalla teoria alla pratica in classe, proponiamo ora delle attività operative che riprendono i quattro concetti appena analizzati; nello specifico ciascun allegato propone due attività connesse al tema, una per la Scuola secondaria di primo grado e una per quella di secondo grado:

  1. Il linguaggio: una riflessione metalinguistica sulla lingua delle discipline.
  2. Ogni disciplina è interdisciplinare: i prestiti linguistici.
  3. Tutte le discipline sono in contatto: i percorsi tematici.
  4. Il metodo allarga lo sguardo.

Quest’ultimo punto non sarà oggetto di una trattazione ad hoc ma sarà reperibile all’interno di tutte le schede. Il metodo, infatti, è un aspetto trasversale a tutti i punti precedenti e si allena attraverso la scelta di metodologie che privilegino l’incontro con l’altro (attività individuali, a coppie, a gruppi, in plenum) e di strumenti (anche integrativi) che possano avvicinarsi al mondo degli studenti e ai loro interessi (si pensi per esempio alla cittadinanza digitale che ha come elemento centrale l’uso dei social media e dello “strumento” web).

Ringraziamo la prof.ssa Michela Andreani per l’amichevole collaborazione nella progettazione delle attività.

Il linguaggio: una riflessione metalinguistica sulla lingua delle discipline Download
Ogni disciplina è interdisciplinare: i prestiti linguistici Download
Tutte le discipline sono in contatto: i percorsi tematici Download
Bibliografia Download

Referenze iconografiche: Africa Studio / Shutterstock

Fabio Caon e Annalisa Brichese

Fabio Caon è professore associato di Didattica delle lingue all'Università Ca’ Foscari di Venezia, dove insegna Linguistica educativa, Comunicazione interculturale e Didattica della letteratura. Dirige il Laboratorio di comunicazione interculturale e didattica (LABCOM) a Ca’ Foscari.

Annalisa Brichese è formatrice del Centro di Ricerca in Didattica delle Lingue (CRDL) sui temi della didattica inclusiva e della valutazione e cultrice di materia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Insegna italiano, storia e geografia nella Scuola secondaria di primo grado ed è docente di italiano L2 nella Scuola primaria, nella secondaria di primo e secondo grado nonché nei corsi per adulti.