La tecnica che rivoluziona l’ingegneria genetica

Per le riviste Nature e Science è stata una delle grandi svolte scientifiche del 2015: parliamo della tecnica CRISPR-Cas9, che promette di rivoluzionare il mondo della genetica e quello biomedico, grazie alla possibilità di inattivare o modificare singoli geni in modo mirato. Vediamo come è stata scoperta e come funziona esattamente.

Emmanuelle Charpentier, 48 anni, è una microbiologa francese che ha passato la vita a studiare i batteri. Jennifer Doudna, 51 anni, è invece una biochimica americana che si occupa di RNA. Quando si incontrarono per la prima volta nel 2011, nessuna delle due avrebbe potuto immaginare che solo quattro anni dopo sarebbero finite nella lista delle 100 personalità più influenti secondo la rivista Time. Né che la scoperta che stavano per fare insieme avrebbe rivoluzionato completamente il mondo della genetica e quello biomedico, aprendo scenari eccitanti quanto eticamente problematici.

La lezione dei batteri

La storia comincia nel porto di Santa Pola, sulla costa orientale della Spagna. Era il 1993 e un giovane biologo, Francisco Mojica, stava studiando una specie di archeobatteri alofili, cioè con un’estrema tollerabilità a elevate concentrazioni saline. Analizzando alcuni frammenti del DNA di questo organismo, Mojica aveva scoperto una cosa molto curiosa: la presenza in essi di copie multiple e quasi identiche di una sequenza palindroma di circa 30 basi. Queste strane sequenze ripetute erano separate da tratti di DNA altrettanto caratteristici, sempre lunghi 36 basi. Continuando le sue ricerche, Mojica individuò tratti di DNA con caratteristiche simili anche in altre specie di batteri filogeneticamente molto distanti, da cui dedusse che dovevano avere una funzione importante, dato che si erano conservati lungo l’evoluzione.

Li chiamò CRISPR (si pronuncia crisper), da Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats (brevi ripetizioni palindrome interspaziate in modo regolare). Nel 2002, Mojica aveva scoperto la presenza di CRISPR in circa 40 specie di batteri, ma quanto al loro ruolo non c’era ancora alcuna certezza. Fu solo quando si concentrò sui tratti di DNA spaziatore (spacer), che arrivò l’intuizione giusta. Scoprì che uno spacer presente nel batterio Escherichia coli presentava la stessa sequenza di basi di un virus, il batteriofago P1, che infetta proprio questi batteri. Eppure, il particolare ceppo di E. coli analizzato da Mojica risultava immune all’infezione: Mojica iniziò a sospettare che ci potesse essere una correlazione tra la resistenza all’infezione e la presenza del DNA virale nei batteri.

Nel giro di pochi giorni, scoprì, inoltre, che non era un caso isolato: trovò in vari batteri altri spacer uguali a sequenze nucleotidiche presenti nei batteriofagi e arrivò a formulare la sua ipotesi: cioè, che le CRISPR contenessero le istruzioni per innescare un meccanismo in grado di proteggere i batteri dalle infezioni virali. In pratica, una sorta di sistema immunitario. Altri ricercatori in Francia, intanto, stavano giungendo alle stesse conclusioni e un’ulteriore conferma arriverà nel 2007 dal laboratorio di un’azienda danese di prodotti caseari. Qui tecnici e ricercatori stavano cercando di selezionare ceppi di Streptococcus thermophilus, un batterio comunemente utilizzato per la produzione di yogurt e formaggi, resistenti alle infezioni virali. A un certo punto scoprirono che se i batteri presentavano sequenze spacer simili a tratti di DNA presenti in alcuni virus, erano immuni all’infezione da parte di questi ultimi. Non solo: scoprirono anche che il DNA spacer è proprio DNA virale, strappato a virus che hanno infettato i batteri in precedenza. In pratica, a ogni invasione virale, frammenti di DNA del nemico sono integrati nei CRISPR, come nuovi spacer, costituendo una specie di sistema immunitario che, in qualche modo, protegge i batteri da successive invasioni.

123RF_38468426_lel_moriconeIl sistema di difesa CRISPR-Cas9

Ma come funziona esattamente il sistema di difesa? In che modo la presenza di DNA spacer permette di evitare nuove infezioni? La prima cosa da dire è che queste sequenze vengono trascritte in particolari molecole di RNA a doppio filamento che funzionano come sentinelle, in grado di riconoscere tratti complementari di DNA virale. Se lo stesso tipo di virus al quale era stato “strappato” lo spacer torna a infettare il batterio, le molecole di RNA sentinella (o RNA guida), trascritte a partire da quello spacer, lo riconoscono grazie alla complementarietà delle basi. A questo punto, però, bisogna chiamare in causa anche un nuovo elemento, questa volta un enzima. Si tratta di una nucleasi, cioè un enzima in grado di tagliare le molecole di DNA e di RNA, chiamata Cas9. Cas sta proprio per proteina CRISPR-associated (associata a CRISPR) ed è codificata da geni omonimi che si trovano fisicamente vicini alle sequenze CRISPR. L’enzima Cas9 è associato alle molecole di RNA-guida: una volta che queste hanno legato il DNA virale, Cas9 si attiva e frammenta quest’ultimo, inattivandolo.

Il nuovo set "Taglia e Cuci"

Ci sono voluti molti anni di ricerche per arrivare a comprendere il sistema CRISPR-Cas9 e tanti scienziati, scoperta dopo scoperta, hanno contribuito a questo risultato. Charpentier e Doudna hanno il merito di aver posizionato alcuni pezzi importanti del puzzle al momento giusto. È il mese di agosto del 2012 quando Science presenta lo studio in cui le due biologhe mostrano che è possibile ricreare il sistema CRISPR-Cas9 in laboratorio, in vitro, e programmarlo per indirizzarlo verso un preciso punto a scelta del DNA. Di qualsiasi DNA, non solo quello batterico. In breve, è possibile farsi in casa un set “taglia e cuci” per l’editing genetico, cioè per intervenire in maniera puntuale su un gene: tagliarlo per renderlo inattivo (“silenziarlo”, dicono i biologi), o modificarlo a piacimento, cambiando anche una singola lettera della sequenza. È uno tsunami.

Perché è vero che si usavano già altre tecniche per l’editing genetico, ma questa presenta enormi vantaggi: è più semplice, più efficace, estremamente più veloce da mettere a punto, estremamente meno costosa. «Prima della fine di quello stesso anno, almeno sei studi su CRISPR-Cas9 erano stati presentati per la pubblicazione», racconta Doudna. A gennaio 2013, quattro team avevano già utilizzato la tecnica su cellule umane, e in capo a pochi mesi numerosi gruppi l’avevano applicata per togliere, aggiungere e modificare geni in topi, ratti, pesci, moscerini della frutta, lieviti, nematodi, cani, maiali, scimmie e varie specie vegetali. Oggi, la tecnica è ampiamente usata nei laboratori di biotecnologie di tutto il mondo. Non stupisce che le riviste Science e Nature l’abbiano eletta “Breakthrough of the Year 2015”, ponendola in cima alla classifica dei risultati scientifici più importanti dell’anno.

Dal batterio all’essere umano

Come fa un sistema batterico a funzionare anche in cellule eucariote, di piante e animali, compresi noi umani?
Semplificando, si può rispondere così: Cas9 taglia ovunque le CRISPR gli indichino di tagliare. In laboratorio è quindi possibile fabbricare CRISPR ad hoc, in cui gli spacer hanno le stesse sequenze del gene che ci interessa silenziare o modificare. «Il primo passo è trovare una breve sequenza di nucleotidi – ne bastano soltanto 20 – che sia presente in quel gene e che sia la più specifica possibile, cioè che non si trovi anche in altri geni. Esistono software gratuiti online che permettono di farlo», spiega Lorena Zentilin, biologa molecolare dell’International Center for Genetic Engineering and Biotechnology (Icgeb) di Trieste. «Questa sequenza viene riprodotta in laboratorio e permetterà di dare origine alla molecola di RNA guida in grado di individuare il gene bersaglio.»

I sistemi CRISPR-Cas9 che si usano oggi per l’editing sono molto più semplici rispetto alla versione batterica originale: «Sono stati ingegnerizzati in modo da venire prodotti facilmente – continua la ricercatrice – e sono state prodotte varianti di Cas9 che tagliano il bersaglio con maggiore precisione. Oggi CRISPRCas9 è uno strumento alla portata di qualsiasi biologo molecolare a un costo bassissimo: questa è una delle grandi differenze rispetto alle altre tecniche di editing genetico, che richiedono alta specializzazione e sono molto complesse».

Dentro le cellule

Una volta pronto, il sistema viene portato all’interno delle cellule di un organismo, di solito con un vettore virale (un virus modificato e innocuo, che fa da corriere). A questo punto CRISPR e Cas9 si attivano: riconoscono e tagliano entrambi i filamenti del DNA nel punto voluto. La cellula si attiva per riparare il gene così danneggiato, ma la maggior parte delle volte lo fa in maniera imperfetta. Il risultato è che quel gene non può più produrre la sua proteina: è silenziato. Ma abbiamo detto che è anche possibile modificare i geni. Come?

1087px-Anopheles_stephensi_moriconeFornendo uno “stampo” della sequenza bersaglio, con la modifica che desideriamo introdurre. Allora accade che la cellula userà questo stampo per riparare il danno, e noi avremo modificato il gene. È grazie a questo meccanismo che la tecnica permette di ottenere piante e animali geneticamente modificati e, potenzialmente, di correggere mutazioni genetiche alla base di alcune patologie. Poiché, inoltre, la tecnica funziona anche nelle cellule germinali (spermatozoi e ovociti) e negli embrioni, in linea teorica è possibile anche evitare che le malattie genetiche si trasmettano dai genitori ai figli. «Il sistema non è ancora perfetto né privo di rischi, ma è un campo in rapidissima evoluzione», chiosa Zentilin.

Distrofia, zanzare antimalaria e maiali per trapianti

Le potenzialità sono davvero enormi e la ricerca sembra andare alla velocità della luce. Alcuni degli ultimi studi pubblicati riguardano la distrofia muscolare di Duchenne: tre gruppi di ricerca sono riusciti a bloccare, in modelli animali, la progressione della malattia. Si lavora anche su tumori, malattie infettive e malattie genetiche come la beta-talassemia. Ancora, ricercatori dell’Harvard Medical School hanno modificato oltre 60 geni in embrioni di maiali con l’obiettivo di superare gli ostacoli che attualmente impediscono il trapianto degli organi di questi animali negli esseri umani. Padroneggiare l’ingegneria genetica significa anche poter agire sugli ecosistemi. Come? Gli scienziati dell’Università della California di Irvine, per esempio, hanno mostrato la possibilità di modificare con il sistema CRISPR-Cas9 il DNA della linea germinale della zanzara Anopheles stephensi, vettore del plasmodio della malaria, in modo da impedire la trasmissione della malattia. Questo apre alla possibilità di eradicare la malaria? Forse, ma nessuno è in grado di prevedere come gli ecosistemi potrebbero adattarsi a una simile modifica improvvisa, e quali potrebbero essere le conseguenze.

I test sugli embrioni umani

Era un’eventualità attesa: che prima o poi qualcuno provasse ad applicare CRISPR-Cas9 per modificare il DNA di embrioni umani.

I primi esperimenti di questo tipo sono già stati effettuati, e hanno riguardato zigoti e blastocisti non sani, che non avrebbero potuto svilupparsi in esseri umani. Il primato è del team di Junjiu Huang dell’Università Sun Yat-Sen di Canton, in Cina, che ha pubblicato lo studio ad aprile su Protein & Cell: i ricercatori hanno tentato di correggere la mutazione che causa la beta-talassemia. Allora, la tecnica era ancora immatura e Huang ha ottenuto soltanto 28 successi su 86 tentativi, con alcuni “effetti collaterali”, dal momento che CRISPR-Cas9 ha dato luogo anche ad altre mutazioni non volute, tagliando il DNA anche al di fuori della sequenza target.

La pubblicazione ha suscitato accese reazioni nella comunità scientifica. Intanto, proprio nelle scorse settimane un altro annuncio – questa volta dal Regno Unito – sta tenendo caldo il dibattito bioetico: per la prima volta un paese ha deciso di autorizzare – e di regolare in modo trasparente – l’editing con CRISPR-Cas9 del genoma di embrioni ottenuti tramite la fecondazione in vitro nelle cliniche della fertilità e donati alla ricerca. Il primo febbraio 2016, la Human Fertility and Embryology Authority (HFEA) ha infatti approvato il progetto della biologa Kathy Niakan del Francis Crick Institute di Londra, che mira a studiare le prime fasi dello sviluppo embrionale. Niakan modificherà i geni che risultano attivi nei primissimi giorni dopo il concepimento. Ciascun esperimento non potrà durare più di 7 giorni, trascorsi i quali gli embrioni dovranno essere distrutti.

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Referenze iconografiche: dpa picture alliance/Alamy Stock Photo, molekuul/123RF, Wikimedia Commons

Tiziana Moriconi

Giornalista scientifica, collabora con Galileo, Le Scienze, D la Repubblica online, Wired.it.