Le Indicazioni Nazionali del Ministero dell’Istruzione includono le nanotecnologie solamente come uno dei possibili approfondimenti per le classi quinte dei licei scientifici, opzione scienze applicate. Eppure, si tratta di un argomento interdisciplinare di straordinaria attualità, che ben si adatta a differenti gradi di trattazione. Proprio sulla base di tale presupposto, il Settimo Programma Quadro della Commissione Europea ha sviluppato uno specifico progetto rivolto agli insegnanti, con l’obiettivo di aumentare e migliorare le conoscenze che i giovani possiedono riguardo alle nanotecnologie: il progetto NanoYou.
Una definizione
Ma cosa sono esattamente le nanotecnologie (NT)?
Possiamo definirle come lo sviluppo e l’applicazione di materiali e processi che riguardano la nanoscala, corrispondente all’incirca alle dimensioni di una singola molecola. Per rendere l’idea, si può paragonare il nanometro (miliardesimo di metro) alla quantità di unghia umana che cresce in un secondo, oppure al diametro di un capello suddiviso in circa 50 000 parti. Attualmente le NT ricoprono un vasto campo di ricerca con numerose possibili applicazioni per esempio nell’ambito della medicina, dell’energia e delle comunicazioni.
Nanotecnologie a scuola: perché?
Sebbene molte applicazioni delle NT siano già in utilizzo e altrettante si stiano sviluppando rapidamente, la maggior parte dei cittadini pare scarsamente interessata o non correttamente informata. È possibile che ciò dipenda dall’interpretazione semplicistica del nanomondo spesso proposta dai media, soliti indicare le NT come qualcosa di “magico” o pericoloso, concentrandosi prevalentemente sui rischi potenzialmente connessi. Nonostante questa scarsa consapevolezza, l’impiego delle NT sta avendo una ripercussione sulla vita dell’individuo forse paragonabile a quanto accaduto nel XIX secolo con la scoperta dell’energia elettrica o più recentemente con le applicazioni dell’ingegneria genetica. Gli adolescenti delle scuole superiori rappresentano un pubblico ideale per promuovere informazione e interesse sulle nanotecnologie, grazie anche al loro enorme potenziale didattico.
Il progetto NanoYou
Dal 2010 è attivo il sito del progetto NanoYou (letteralmente, Nano for Youth), dedicato alla didattica delle nanotecnologie. Il portale è un valido supporto per tutti i docenti che desiderano affrontare l’argomento e offre un ricco archivio di materiali tradotti in diverse lingue, compreso l’italiano.
Nel sito si trovano filmati e poster esplicativi, esperimenti virtuali ed esercizi interattivi, ma soprattutto protocolli di laboratorio corredati di schede sia per il docente sia per lo studente.
Le attività hanno tutte lo scopo di avvicinare gli alunni al nanomondo, facendo loro comprendere come molto spesso ciò che osservano ad occhio nudo è legato a quanto accade nell’ordine di grandezza dei nanometri.
Le nanotecnologie nella 3A K
Come insegnante di scienze, ho proposto il mio “nanopercorso” in una classe terza di un liceo scientifico, dedicando al modulo circa 10 ore di lezione e spaziando il più possibile dalla biologia alla chimica; l’ideale sarebbe coinvolgere anche il docente di fisica, in modo da poter affrontare gli argomenti con più tempo, secondo molteplici prospettive e scendendo maggiormente nel dettaglio.
Per introdurre l’argomento e stimolare la curiosità negli alunni sono partito dall’analisi e dal commento in classe di una serie di articoli di quotidiani, riviste e siti internet nei quali comparissero riferimenti alle nanotecnologie. Sono poi passato a una trattazione più teorica, utilizzando ampiamente i filmati, le presentazioni e le schede presenti nel sito. Una volta consolidati i concetti di base ci siamo spostati in laboratorio, dove gli studenti, divisi in gruppi, hanno condotto quattro esperienze pratiche secondo un ordine di complessità crescente. Ognuna delle attività ha previsto una breve introduzione teorica, l’esecuzione di quanto riportato sul protocollo di laboratorio e infine una spiegazione conclusiva che riprendesse il nocciolo dell’esperienza.
Imitare la foglia di Loto
Sono partito dall’attività inerente alle superfici superidrofobiche, che rappresentano sia un facile punto di contatto tra le caratteristiche macroscopiche e nanometriche della materia, sia una necessità tecnologica facilmente intuibile. In campo ambientale, infatti, si pone il problema di creare nuove superfici impermeabili all’acqua, che si mantengano pulite e limitino l’impiego di prodotti inquinanti per la detersione. Per fare ciò è possibile imitare alcune superfici naturali, come quella della foglia di loto, attraverso lo sviluppo di specifiche nanostrutture. Gli studenti hanno dunque confrontato il comportamento dell’acqua a contatto con superfici differenti, prendendo come campioni un vetrino portaoggetti, una lastra metallica, una striscia di plastica tagliata da un raccoglitore per fogli e un qualsiasi tessuto nanostrutturato reperibile in commercio. Gli alunni hanno osservato (e fotografato) come sulle superfici idrofile l’acqua aderisca maggiormente grazie alle forze adesive, mentre su quelle nanostrutturate il contatto sia assai limitato e le forze coesive facciano assumere alle gocce una forma pressoché sferica, che permette loro di rotolare via lasciando la superficie asciutta e pulita. L’unico inconveniente nell’allestire l’attività può essere la non immediata reperibilità del tessuto, ma organizzandosi in anticipo è possibile comprarne qualche scampolo da una delle varie ditte produttrici, oppure domandare direttamente a queste ultime un campione omaggio per scopi didattici.
Le nanomicelle del latte
La seconda prova pratica è stata l’osservazione della nanostruttura del latte. Dopo aver preparato un colloide di gelatina (ottenuto a partire da un semplice preparato alimentare) e averne osservato il comportamento ottico con un puntatore laser (di quelli acquistabili in tabaccheria), gli studenti l’hanno confrontato con quello del latte, verificando come anche questo sia un colloide. Nel latte, infatti, il calcio è trasportato da proteine (caseine) aggregate in micelle di dimensioni caratteristiche proprio dei colloidi. Sarebbe auspicabile che questa prima parte fosse svolta in collaborazione con l’insegnante di fisica, al fine di spiegare meglio l’effetto Tyndall osservabile nei colloidi. Gli alunni hanno poi potuto rilevare come l’alterazione della struttura micellare del latte muti anche i suoi aspetti macroscopici; per esempio, aggiungendo dell’aceto (variando quindi il pH) si registrano cambiamenti di colore e odore, perché si provoca l’unione delle micelle di caseina in aggregati di dimensioni maggiori.
Sempre più difficile
Dopo queste esperienze più semplici, la classe ha affrontato due esperimenti di complessità maggiore. Per il loro svolgimento è necessaria una guida più attenta da parte del docente, ma soprattutto si deve avere l’accortezza di acquistare i reagenti in anticipo, prevedendo una certa spesa dedicata. Pur non essendo particolarmente economici, la quantità di materiali previsti per l’allestimento delle prove è relativamente modesta, consentendo di ripetere l’esperienza più volte con diverse classi, specialmente se gli studenti lavorano in gruppo.
I "colori liquidi"
Una delle due prove è stata la preparazione di quattro differenti campioni di cristalli liquidi, che gli studenti hanno poi steso in sottili strati chiusi tra due strisce di plastica adesiva trasparente (di quelle reperibili in cartoleria).
Ogni campione è stato successivamente introdotto in bagni d’acqua a differenti temperature e sono stati registrati i cambiamenti di colore. Questi ultimi avvengono perché la temperatura modifica la disposizione dei cristalli liquidi termotropici, nei quali le nanoparticelle che li costituiscono si avvolgono a spirale lungo un asse immaginario.
La distanza tra due punti successivi sullo stesso asse verticale, “pitch”, determina il colore che si osserva: con una spirale molto “distesa” (pitch ampio) gli studenti hanno visto colori tendenti al rosso, mentre per un pitch ridotto le lunghezze d’onda erano minori e il colore osservato tendeva al blu-violetto. Con questa prova si osserva come il colore, proprietà macroscopica, dipenda dalla disposizione delle particelle del cristallo, caratteristica nanoscopica.
L’oro rosso e blu
Per completare il percorso è stata fatta un’ultima prova, relativa alla possibilità di utilizzare l’oro come biosensore. Ogni gruppo ha preparato una soluzione di tetracloruro di oro idrato, quindi l’ha portata a ebollizione e l’ha trasformata in colloide con l’aggiunta di citrato di sodio. Ciò si verifica perché gli ioni del citrato circondano in parte gli atomi di oro, che si aggregano in complessi di diametro tra i 10 e i 15 nm.
A livello macroscopico si osserva che la soluzione assume una colorazione rossa, proprio in relazione al particolare stato della materia che modifica ai nostri occhi il tradizionale colore giallo dell’oro. Aggiungendo poi qualche goccia di una soluzione di sale da cucina, gli studenti hanno osservato come la soluzione diventasse improvvisamente blu.
Questo accade perché gli ioni del cloruro di sodio interagiscono con quelli del citrato e permettono alle particelle d’oro di aggregarsi in complessi più grandi, con conseguente variazione della lunghezza d’onda della luce riflessa e quindi del colore. Composti di questo tipo possono essere utilizzati come biosensori in campo medico-diagnostico, allo scopo di individuare determinati anticorpi o antigeni.
Senza tralasciare gli aspetti etici
Una volta terminate le prove di laboratorio, sulle quali ogni gruppo ha dovuto produrre una relazione scritta, gli studenti hanno mostrato una certa familiarità con l’argomento, quindi intavolare il dibattito sugli aspetti etici che le nanotecnologie portano con sé è stato il naturale epilogo del percorso. Per svolgere questa parte conclusiva ho sfruttato alcuni dei giochi di ruolo disponibili sul sito web, che spingono gli studenti a prendere posizioni personali in merito a specifici dilemmi, ma ho anche utilizzato alcuni articoli di quotidiani e riviste che facevano riferimento ai possibili rischi associati alle NT. Ammetto che lo sviluppo dell’intero nanopercorso ha richiesto un certo tempo e studio preliminare, ma come sempre l’entusiasmo dei ragazzi ha ripagato ogni sforzo: provate e non ve ne pentirete.
Referenze iconografiche: Terelyuk/Shutterstock, Optimismus/Shutterstock