Consumo e produzione responsabili
Una lettura e un’attività didattica per avvicinarsi ai temi ambientali
Gli effetti inquinanti dei principali gas antropogenici, in particolare dei gas serra, sono noti da oltre un secolo: lo svedese Svante Arrhenius (Vik, 19 febbraio 1859 – Stoccolma, 2 ottobre 1927) descriveva l’effetto serra nella sua teoria delle glaciazioni, sostenendo che tali glaciazioni dipendessero soprattutto da una diminuzione delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera, in particolare di diossido di carbonio. Nel 1906 Arrhenius sottolineava l’importanza di tali gas e sosteneva che l’emissione di CO2 generata dall’uomo potesse essere sufficiente per prevenire future glaciazioni. Anzi, l’incremento di temperatura conseguente avrebbe consentito di migliorare le condizioni di vita dell’uomo e la produttività delle colture. Siamo andati sicuramente oltre, ma le previsioni di Arrhenius sono forse il primo chiaro tentativo di esposizione di una teoria capace di mettere in relazione il riscaldamento globale con le emissioni di diossido di carbonio antropiche, cioè quelle derivanti dalla combustione di fonti fossili.
Dagli anni Settanta in poi le espressioni effetto serra, buco dell’ozono e piogge acide diventano d’uso quotidiano. Da quel momento, la crescente sensibilità dell’opinione pubblica verso l’ambiente ha spinto la politica a prendere decisioni atte a favorire la riduzione degli agenti inquinanti e clima-alteranti. In particolare, negli anni Novanta si registra una svolta epocale: si passa dal sistema command and control per la regolamentazione delle emissioni di CO2, in cui si fissavano dei limiti e dei controlli sulle attività inquinanti, in modo da incidere direttamente sugli operatori, a un sistema cap and trading (cioè un mercato delle emissioni), in cui si definisce un target a livello internazionale che garantisca il rispetto dei vincoli ambientali imposti dal protocollo di Kyoto e raggiungibile attraverso la quotazione monetaria e il commercio delle emissioni tra stati diversi. Oggi, molto probabilmente, stiamo vivendo una nuova fase di questa particolare evoluzione: trasformare le emissioni di CO2 da rifiuto a commodity, passare cioè da considerare il diossido di carbonio un costo a prenderlo in considerazione come possibile fonte di guadagno.
A prescindere dal sistema in essere e dai teorici sforzi che la società e la politica mettono in atto, il 27 maggio 2020 un report dal titolo Still Digging - G20 Governments Continue to Finance the Climate Crisis, elaborato dalle organizzazioni statunitensi Friends of the Earth USA e Oil Change International, ha denunciato chiaramente come l'Italia, e non solo, destini ancora 2,3 miliardi di euro l'anno a progetti di sfruttamento dei combustibili fossili rispetto ai 215 milioni di euro assicurati alle fonti energetiche pulite. Dalla firma dell'Accordo di Parigi, i Paesi del G20 hanno impiegato circa 71 miliardi di euro l'anno in finanziamenti pubblici a petrolio, gas e carbone: un investimento decisamente maggiore rispetto a quanto destinato per le rinnovabili.
La relazione energetica italiana
La relazione energetica nazionale del 2020, recentemente pubblicata dal Ministero della Transizione ecologica, evidenzia come il numero di raffinerie attive in Italia sia rimasto invariato rispetto all’anno precedente: undici impianti tradizionali e due bioraffinerie, con una capacità di raffinazione complessiva di 87,25 milioni di tonnellate, nonostante una flessione del consumo interno lordo di petrolio e di prodotti petroliferi del 16,7% rispetto all’anno precedente. Una flessione solo apparentemente legata alla pandemia. In questi ultimi decenni, infatti, gli esperti hanno concentrato la loro attenzione sul pericolo che un giorno l'oro nero cominciasse a scarseggiare, cioè che si raggiungesse il cosiddetto peak oil, trascurando la questione della domanda. Si scopre solo adesso che, molto probabilmente, il fabbisogno di petrolio, cioè il peak demand, è destinato a diminuire ben prima dell'esaurimento delle riserve disponibili. Ahmed Zaki Yamani, ex-voce ufficiale dell'Opec (Organization of the Petroleum Exporting Countries), in un’intervista degli anni Settanta sosteneva che: “L'era del petrolio non finirà per mancanza di petrolio, così come l'età della pietra non finì per mancanza di pietre”. Non aveva forse tutti i torti: l’emergenza climatica ha innescato una faticosa transizione verso energie e materiali non petroliferi, coinvolgendo tutti i settori industriali.
Il controverso discorso sull’energia rinnovabile e non rinnovabile è vivo e vivace anche all’interno della scuola, dove gli spunti di riflessione si sono estesi anche all’Educazione civica. In questo intervento si propone agli studenti che si avvicinano per la prima volta alle tematiche ambientali un breve percorso che nasce dalla piacevole lettura del libro Emergenza Energia (Edizioni Dedalo, Bari, 2020) di Nicola Armaroli, dirigente di ricerca presso il CNR, in cui le riflessioni di carattere generale, oltre a essere di estremo interesse, vanno ben al di là delle valutazioni che faremo insieme.
Quanto consumiamo in media?
Una famiglia italiana consuma in media 2700 kWh di elettricità, 1000 m3 di gas e 500 L di benzina, considerando 1 auto per nucleo familiare. Proviamo a vedere qual è il consumo medio annuale:
1 m3 di metano corrisponde a 10,69 kWh. In un anno il consumo energetico sarà:
1000 ∙ 10,69 kWh = 10 690 kWh/anno per nucleo familiare
1 L di benzina eroga un valore energetico di 9,6 kWh/L, che corrisponde a:
500 L ∙ 9,6 kWh/L = 4800 kWh/anno per nucleo familiare
In totale, la famiglia necessita di circa 18 190 kWh all’anno, che per comodità approssimeremo a 20 000 kWh/anno, un valore comunque in difetto rispetto a quello reale.
Ciclista quanto mi costi?
Supponiamo di far pedalare una persona per un’ora. Questa persona può sviluppare circa 50 Wh, cioè 0,050 kWh, che corrisponde all’energia prodotta in 60 minuti. La giornata lavorativa è di 8 ore, perciò in questo lasso di tempo il ciclista svilupperà 0,400 kWh. Il fabbisogno energetico è però distribuito sulle 24 ore: la famiglia necessita quindi di 3 ciclisti per produrre 1,2 kWh/giorno:
0,400 kWh ∙ 3= 1,2 kW a giorno
Questa quantità, tuttavia, non è sufficiente a soddisfare le richieste energetiche annuali. Quindi, quanti ciclisti deve reclutare il nucleo familiare?
20 000 kWh : 365 giorni = x : 1 giorno
x = 55 kWh nelle 24 ore
1,2 kWh/giorno : 3 ciclisti = 55 kWh/giorno : x
x = 138 ciclisti!
Bisogna assumere 138 ciclisti e farli lavorare tutti i giorni per 8 ore al giorno. Vacanze? Zero!
Il Ministero del Lavoro, con il D.D. n. 37/2021, ha diffuso le nuove tabelle recanti il costo medio orario del lavoro per il personale dipendente con decorrenza dal mese di giugno 2020. Se paragoniamo i ciclisti a operai di primo livello, con una retribuzione base di 17,07 €/ora, quanto dovrà investire la famiglia in un anno?
138 ∙ 8 ∙ 17,07 ∙ 365 = 6 878 527 €!
Questa semplice sequenza, inserita in un contesto più ampio che può riguardare il petrolio e le fonti rinnovabili, ha il pregio, con le dovute approssimazioni, di far toccare con mano ai ragazzi che, come scrive Armaroli: “…un litro di benzina contiene l’equivalente di circa 12 kWh di energia, che a sua volta equivalgono al lavoro di 9-10 ciclisti per 10 giorni, senza un secondo di sosta. Cerchiamo quindi di essere più sobri quando ci lamentiamo delle tariffe” e cerchiamo magari di essere tutti più attenti agli sprechi!
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