Nelle intenzioni dell’Unesco, l’Anno Internazionale della Luce ha tra i suoi obiettivi anche quello di promuovere nelle scuole la conoscenza degli innumerevoli aspetti scientifici e tecnologici connessi alle radiazioni luminose, tutti facilmente riconducibili ai programmi di fisica, chimica, biologia, matematica, e anche a discipline umanistiche. Suggeriamo qui una serie di attività di laboratorio ispirate alla fisica e alle applicazioni della luce, in piena adesione al principio del “fare per capire”, una modalità didattica che è senza dubbio la più diretta per educare al metodo scientifico, con gli effetti collaterali di divertire e affinare la manualità. Una costante di queste attività è il ricorso a materiali poveri e di uso quotidiano, da utilizzare però creativamente in modo da suscitare negli studenti curiosità e meraviglia.
1. VEDERE O GUARDARE?
Il punto di partenza più logico per un laboratorio sulla luce è il nostro sensore per la radiazione luminosa: l’occhio.
Data per scontata una descrizione della sua anatomia, si farà una distinzione tra l’hardware (occhio anatomico) e il software (elaborazione e interpretazione delle immagini, che avvengono nel cervello). La sperimentazione della camera oscura servirà alla comprensione dell’hardware, le illusioni ottiche faranno intuire la complessità del software che agisce nella percezione visiva.
Camera oscura
La camera oscura è un modello semplificato dell’occhio ed è la parte essenziale delle macchine fotografiche e delle cineprese. In ogni telefono cellulare oggi abbiamo una piccola camera oscura. Il suo funzionamento comporta la comprensione di temi dell’ottica come i fenomeni di rifrazione e diffrazione, il concetto di distanza focale, le proprietà delle lenti.
È consigliabile costruire con gli studenti due tipi di camera oscura. La prima, a foro stenopeico, e quindi senza lenti, si può fare con una scatola da scarpe nella quale uno dei due lati corti viene in gran parte sostituito da un foglio di carta oleata che funziona da schermo; l’obiettivo sarà un semplice foro praticato al centro del lato opposto. Il rapporto focale dovrà essere intorno a 1/100. Poiché la scatola avrà una lunghezza di 30-32 centimetri, il diametro del foro non dovrà superare i 3 millimetri. Perché l’immagine sia più nitida, il foro deve essere il più possibile regolare.
L’altro tipo di camera oscura permette di fare un’esperienza immersiva ed emozionate che equivale a “entrare dentro un occhio”. Occorre procurarsi una scatola di cartone cubica di 50x50x50 cm e una lente convergente da 2 diottrie che verrà applicata sopra un foro praticato in un lato della scatola. Sulla parte interna opposta si metterà un foglio bianco che funziona da schermo. Il lato inferiore della scatola avrà un’apertura tale da potervi infilare la testa. La lente dovrà essere a un’altezza tale che il suo cono di luce non venga intercettato dalla testa del soggetto che fa l’esperimento. Il materiale necessario costa pochi euro e può essere ordinato sul sito online.
L’esperimento della camera oscura pone domande su: perché l’immagine si formi anche in assenza di lenti; perché le immagini della camera oscura invertano alto e basso e destra/sinistra; perché le immagini che noi vediamo non ci appaiano capovolte e ribaltate. Quest’ultimo aspetto introdurrà il discorso sull’elaborazione delle immagini che avviene nel cervello.
Illusioni ottiche
Le illusioni ottiche sono un modo efficace e divertente per mettere in evidenza l’intervento del cervello nell’interpretazione delle immagini, un dato di fatto che normalmente passa inavvertito. Molto materiale si trova in siti web. Si può partire da lì per realizzare in classe una mostra delle illusioni più spettacolari. Utilissimo può essere il libro Illusioni ottiche di Editoriale Scienza (2015). Contiene i materiali per 20 esperienze divertenti e per costruire sei illusioni ottiche. Da non perdere quella del Drago che sembra seguirti con lo sguardo.
Un altro semplice esperimento relativo alla visione stereoscopica consiste nell’allargare le braccia e poi riavvicinarle davanti a sé, facendo toccare le punte degli indici delle due mani. Con entrambi gli occhi aperti è facilissimo ma se si chiude un occhio non sempre ci si riesce.
Alla fine di questo laboratorio si introdurrà la distinzione tra “vedere” e “guardare”: vedere è la semplice conseguenza dell’hardware (occhio) e del software (cervello) all’origine della percezione visiva; guardare implica una intenzionalità, una volontaria attenzione selettiva a ciò che si vuole osservare, e questo è l’atteggiamento tipico dello scienziato.
2. LUCE E COLORI
Un modo innovativo di presentare il classico esperimento di Newton della dispersione della luce bianca nei suoi colori oggi ci è offerto da dispositivi a Led reperibili in qualsiasi negozio di apparecchi elettrici per illuminazione. In questo caso non si parte dalla luce bianca per estrarne i colori ma si sommano luci colorate per ottenere luce bianca.
La dispersione della luce bianca nei suoi colori si può ovviamente ottenere con un prisma, di solito disponibile in ogni scuola, ma ancora meglio sarà utilizzare un CD qualsiasi, che sotto certe inclinazioni, dal lato che reca l’incisione dei dati, mostrerà tutti i colori dell’arcobaleno (ciò si presta a un’interessante spiegazione sui forellini che rappresentano musica e immagini in codice binario e sul fatto che le loro dimensioni sono comparabili con la lunghezza d’onda della luce).
Ci si procurerà poi una striscia di Led che associno i tre colori additivi fondamentali: rosso, verde e blu (RGB, in vendita per esempioonline). Questi, tramite un piccolo telecomando, possono essere accesi separatamente, variamente miscelati, e infine accesi tutti insieme, ottenendo così luce bianca. Lo stesso principio è applicato negli schermi dei computer e dei televisori. Con una lente d’ingrandimento per uso filatelico è facile distinguere i singoli pixel con i loro colori fondamentali.
Il Nobel per la fisica 2014 è stato assegnato ai giapponesi Akasaki, Amano e Nakamura per l’invenzione dei Led blu e a luce bianca. Si può partire da questo dato di attualità per raccontare come all’inizio degli anni sessanta del secolo scorso si sia arrivati ai primi diodi a emissione luminosa e come poi la tecnologia si sia sviluppata. Led e laser sono tra l’altro le sorgenti di luce usate nella comunicazione su fibra ottica, e quindi in Internet. Una sola fibra ottica oggi è in grado di veicolare l’intero traffico telefonico mondiale.
3. ONDE O PARTICELLE?
Il dualismo onda/particella è un tema complesso, che meglio si adatta alle scuole secondarie di secondo grado. Tuttavia alcuni esperimenti permettono di affrontarne le basi concettuali.
Emissione e assorbimento
L’aspetto corpuscolare della luce è più evidente in fenomeni di emissione e assorbimento e ancora meglio nelle celle fotovoltaiche, che funzionano sulla base dell’effetto fotoelettrico spiegato da Albert Einstein nel saggio del 1905 che gli procurerà il premio Nobel per la fisica nel 1921. Una banale calcolatrice alimentata a celle fotovoltaiche servirà da supporto alle spiegazioni. Meglio se si dispone di un piccolo pannello fotovoltaico con cui accendere una lampadina. Il punto di arrivo potrà essere il problema della radiazione di corpo nero che indusse Max Planck a introdurre il concetto di “quanto d’azione” (donde poi il lavoro di Einstein e infine, negli anni venti, la definizione, anche linguistica, del “fotone”).
Il radiometro di Crookes
Un caso di studio interessante per chiarire come funziona la ricerca scientifica è dato dal radiometro di Crookes, dispositivo acquistabile in negozi di strumenti didattici per poche decine di euro. Esso è costituito da quattro lamelle di mica leggerissime che possono girare con piccolo attrito dentro un bulbo a forma di lampadina nel quale è stato fatto un vuoto parziale. Esposte a una luce intensa, le lamelle, che hanno un lato nero e uno bianco, si mettono a girare. Il fenomeno fu spiegato da Crookes come un effetto della pressione della luce: il lato nero assorbe la luce e il lato bianco la riflette, generando la spinta. Ciò è ben interpretabile con la teoria corpuscolare della luce ed è compatibile anche con la teoria ondulatoria. La realtà però è che le lamelle entrano in rotazione per un fenomeno diverso: l’agitazione termica del gas residuo nel bulbo, che è più forte presso il lato nero delle lamelle in quanto esso si scalda maggiormente. La questione originò un dibattito durato decenni e sostenuto da esperimenti e contro-esperimenti. Solo negli anni venti del secolo scorso si riuscì a costruire un radiometro di Crookes così raffinato da funzionare effettivamente per la pressione della radiazione luminosa.
L’aspetto ondulatorio
L’aspetto ondulatorio della luce è più evidente in fenomeni di riflessione, rifrazione, dispersione, polarizzazione e diffrazione. È molto facile sperimentare la rifrazione infilando un bastoncino in una vaschetta di vetro piena di acqua e illuminata lateralmente: la bacchetta apparirà piegata. Per rendere più facile l’osservazione conviene “sporcare” l’acqua con qualche goccia di latte. I corpuscoli di grasso contenuti nel latte permetteranno anche di notare il fenomeno della diffusione della luce che si verifica quando i raggi luminosi incontrano ostacoli le cui dimensioni sono comparabili con la loro lunghezza d’onda. Innumerevoli sono poi gli esperimenti che si possono fare con prismi, lenti convergenti e divergenti, e con specchi piani, concavi e convessi.
Due filtri polarizzatori ruotabili uno davanti all’altro permetteranno di chiarire sperimentalmente il concetto di luce polarizzata, che tante applicazioni ha nella ricerca, in chimica e nell’industria. È possibile utilizzare lenti polarizzatrici di normali occhiali da sole.
Della dispersione della luce bianca del Sole nei suoi colori abbiamo già detto. Molto istruttiva è la ricomposizione della luce bianca, a completamento dell’esperimento di Newton. Con un puntatore laser si potrà dare una controprova: la luce monocromatica del laser non consente la dispersione, essendo un colore “puro”, cioè con una lunghezza d’onda ben definita (prospettiva ondulatoria) o, se si vuole, costituita da fotoni tutti con la stessa energia (prospettiva corpuscolare).
4. LUCE E MISURE
La velocità della luce è alla base delle misure di lunghezza e quindi di distanza. La stessa definizione del metro, l’unità di lunghezza, è agganciata alla luce: il metro è la distanza che la luce percorre in 1/299 792 458 di secondo. Il secondo, l’unità di tempo, a sua volta, è agganciata alla frequenza di oscillazione degli elettroni del Cesio: 1 s = 9 192 631 770 oscillazioni (siamo nella banda delle microonde).
La sperimentazione proposta richiede un metro-laser come quelli normalmente usati dai geometri e architetti, un metro da sarto arrotolabile, un metro da muratore a bacchette ripiegabili e un metro metallico del tipo retrattile. Gli strumenti oggi usati da geometri e architetti per misurare le dimensioni di stanze, cortili e altri spazi utilizzano un raggio laser e si basano sul tempo impiegato dalla luce a percorrere il viaggio di andata e ritorno. La loro precisione è dell’ordine di un millimetro in più o in meno su una distanza di 50 metri (costano intorno a 150 euro). Un laboratorio scolastico centrato sulla misura del lato di una stanza con vari tipi di metro (da sarto, a segmenti pieghevoli, metallico, laser) permetterà di comparare i diversi gradi di precisione e di chiarire il concetto di “incertezza” in metrologia.
Di qui si passerà all’uso di un ricevitore GPS, meglio se del tipo da trekking (costo a partire da 100 euro). Si dimostrerà così come la luce sia alla base del funzionamento dei dispositivi di navigazione satellitare oggi applicati su quasi tutte le automobili e in molte altre situazioni quotidiane e di ricerca scientifica. Ottima occasione, tra l’altro, per uscire dall’aula e svolgere un’attività all’aperto.
5. ILLUMINAZIONE E RISPARMIO ENERGETICO
Uno degli obiettivo dell’Anno Internazionale della Luce è portare l’illuminazione elettrica a quel miliardo di persone, una su sette della popolazione mondiale, che ancora non ne dispongono. Ciò oggi è possibile grazie alle celle fotovoltaiche e ai Led. Un altro obiettivo, non meno importante, è quello di promuovere sorgenti di luce a basso consumo. Un laboratorio di facile realizzazione può mettere a confronto i consumi elettrici di sorgenti a incandescenza come le vecchie lampadine (dal 2012 fuori legge nell’Unione Europea), i tubi e le lampade a fluorescenza e i Led.
L’inquinamento luminoso
Un discorso complementare riguarderà gli sprechi, e in particolare l’inquinamento luminoso prodotto da impianti di illuminazione pubblici e privati che disperdono luce verso l’alto anziché dirigerla verso il basso, dove serve. A causa dell’inquinamento luminoso gli abitanti dei paesi sviluppati hanno perso la possibilità di vedere la Via Lattea, cioè la nostra galassia.
Un fotometro (costo 50-100 euro) permette di misurare la luminosità presente in ambienti diversi, dalla piena luce del giorno a una stanza semibuia. Contare le stelle visibili, per esempio, nel trapezio della costellazione di Orione (oltre alle quattro principali che lo delimitano cioè Betelgeuse, Bellatrix, Rigel e Kappa Orionis) prima in città e poi in una località buia in montagna consente di valutare che cosa ci perdiamo per colpa dell’inquinamento luminoso.
Un esperimento per imparare a distinguere tra un’illuminazione pubblica buona e una cattiva si può fare avendo a disposizione un lampione qualsiasi e un lampione progettato per ridurre l’inquinamento. Se si ruota un fotometro intorno al lampione, si vedrà immediatamente che il lampione ben progettato disperde verso l’alto una quantità di luce minima, mentre invia verso il suolo la maggior parte del flusso luminoso.
Per le secondarie di secondo grado: con poco più di 100 euro si acquista un SQM – Sky Quality Meter, strumento che misura in magnitudini stellari la luminosità del cielo notturno per secondo d’arco quadrato.
6. LUCI INVISIBILI
È importante rendere gli studenti consapevoli del fatto che la luce visibile è solo una stretta finestra nell’ampio spettro delle radiazioni elettromagnetiche ed è possibile farlo mettendoli in contatto con tre bande che sono di uso quotidiano.
Infrarosso
In una giornata di sole (ma si può fare anche in aula con una lampada a incandescenza molto luminosa), disporre un prisma in modo da ottenere su uno schermo bianco uno spettro piuttosto ampio – almeno una decina di centimetri. Accanto al rosso collocare un termometro. Si vedrà che la temperatura segnata da questo strumento sale, benché in quel punto non arrivi luce visibile. Arriva però una radiazione invisibile, quella infrarossa, con una lunghezza d’onda maggiore. L’esperimento fu eseguito per la prima volta dall’astronomo William Herschel nel 1801.
I vetri delle finestre, specie se doppi (vetri camera), sono trasparenti alla luce visibile ma opachi per l’infrarosso: per questo trattengono il calore nelle case contribuendo al risparmio di energia. Inversamente, si può partire da qui anche per una lezione sull’effetto serra: biossido di carbonio, metano e altri gas dell’atmosfera lasciano passare la luce solare in arrivo ma fermano la radiazione infrarossa che viene riemessa dalla Terra durante la notte.
Il telecomando del televisore è un esempio di applicazione della radiazione infrarossa. È infrarosso il raggio di luce che ferma le porte automatiche degli ascensori al passaggio delle persone. Utilizzano radiazione infrarossa gli avvisatori acustici usati nei negozi per segnalare l’ingresso di un cliente. Irraggiano infrarossi i dispositivi antiintrusione volumetrici che fanno parte dei sistemi antifurto. Cade nell’infrarosso anche la “luce” normalmente utilizzata nelle fibre ottiche, oggi fondamentali per Internet e per tutte le telecomunicazioni.
Ultravioletto
Con una spesa inferiore ai 100 euro ci si può procurare una lampada di Wood, che è una sorgente di luce prevalentemente ultravioletta. La si potrà utilizzare per rendere luminescenti dei minerali o per distinguere banconote autentiche da banconote false. Banconote in euro sono anche un buon punto di partenza per parlare di ologrammi (bastano quelle da 5 euro…). L’acqua tonica diventa fluorescente se esposta alla luce ultravioletta perché contiene chinino: molti estratti vegetali sono fluorescenti. La luce di Wood deve essere usata con prudenza perché una lunga esposizione può danneggiare la vista e favorire la cataratta.
Raggi gamma
I raggi gamma sono la forma di radiazione elettromagnetica a più alta energia e a minore lunghezza d’onda. Benché ad alte dosi danneggino gravemente i tessuti degli organismi viventi, non abbiamo organi di senso che possano rivelarli. In piccola quantità i materiali radioattivi dell’ambiente emettono raggi gamma. È possibile metterli in evidenza con un contatore Geiger. Il costo di questo strumento è di alcune centinaia di euro. In un ambiente normale registrerà circa 2 microsievert al giorno. I raggi gamma hanno importanti applicazioni pratiche: per esempio nella sterilizzazione degli alimenti.
7. DAL PICCOLO AL LONTANO
La pupilla umana ha un’apertura massima, al buio, di 7 millimetri e può al massimo distinguere oggetti di 0,2 millimetri. Per raccogliere più luce l’uomo ha inventato il telescopio, e il microscopio per vedere oggetti fino a circa 1 millesimo di millimetro.
Microscopio
Esistono oggi microscopi con camera a CCD collegabili a computer dal costo inferiore a 100 euro e in grado di dare da 20 a 200 ingrandimenti. Aprono una meravigliosa finestra di osservazione su oggetti di uso quotidiano, foglie, insetti, microorganismi invisibili a occhio nudo ma ben osservabili, per esempio, in una goccia d’acqua di stagno. Molto istruttiva è l’osservazione del moto browniano, che rivela indirettamente la presenza delle molecole e quindi degli atomi. Il primo a notarlo fu il botanico scozzese Robert Brown nel 1826 esaminando al microscopio del polline in sospensione in una goccia d’acqua.
Telescopio
È facile procurarsi telescopi relativamente economici che consentono già buone osservazioni astronomiche, oppure effettuare osservazioni nell’ambito di visite guidate presso osservatori astronomici o di accordi con associazioni di astrofili. Di notte l’oggetto più facile è certamente la Luna. Si noterà come i crateri possano apparire talvolta non incavati (come realmente sono) ma sporgenti come panettoni: è un’illusione ottica dovuta alla difficoltà che incontriamo nell’interpretarne la forma se non teniamo conto della direzione di arrivo dei raggi solari. Il fatto poi che il telescopio permetta di scorgere molte stelle invisibili a occhio nudo e di separare stelle vicine come le due componenti di Mizar nella costellazione dell’Orsa Maggiore (è la stella centrale del timone del “gran carro”) apre il discorso sulla quantità di luce raccolta, sull’adattamento della pupilla al buio e sul potere di risoluzione degli strumenti ottici.
Sono possibili anche osservazioni diurne. Estrema attenzione però bisogna fare se si punta il telescopio verso il Sole. Il filtro attenuatore deve sempre essere anteriore (cioè montato sull’obiettivo e non dentro l’oculare, dove facilmente il calore lo spezza), e conviene in ogni caso partire con un esperimento che chiarisca la pericolosità di una visione diretta: molto efficace è mostrare come una lente convergente in pochi secondi bruci una foglia, e ricordare che la nostra retina è molto più delicata. L’osservazione delle macchie solari permette di far notare quanto nella percezione visiva siano importanti i contrasti: le macchie che ci sembrano nere al confronto con la fotosfera, sono in realtà molto più luminose della Luna piena (fatto già descritto da Galileo Galilei). Se si ha la fortuna di compiere un’osservazione con un telescopio con filtro H-alpha sarà affascinante osservare le protuberanze solari e spiegare il meccanismo di emissione e assorbimento dell’atomo di idrogeno.
8. LUCE E VITA
La fotosintesi è alla base di ogni forma di vita sulla superficie della Terra. Disponendo di un intero anno scolastico, si può seminare una pianta a crescita rapida (Maria Montessori introdusse nelle aule le piante di fagioli) dopo aver pesato la terra del vaso, avendo cura di stabilirne anche il contento di acqua. A distanza di mesi si peserà la pianta e di nuovo la terra inumidita con la stessa quantità di acqua. Si vedrà che il peso della terra è rimasto pressoché uguale e ci si domanderà da dove venga la materia che costituisce la pianta. La risposta è che, a parte pochi sali minerali tratti dalla terra, la pianta si è formata utilizzando la luce del Sole per sintetizzare sostanze organiche la cui materia prima sono state l’aria (precisamente il biossido di carbonio) e l’acqua. Un ottimo punto di partenza per spiegare la fotosintesi e le catene alimentari. L’esperimento fu compiuto per la prima volta nel Seicento da Jean Baptiste van Helmont.
Fototropismo
Le piante si orientano verso la luce, fonte di energia che permette loro, tramite la fotosintesi, di nutrirsi e crescere. Si metta una pianta (il fagiolo va sempre bene!) in una scatola piuttosto grande con una parete forata rivolta verso una finestra. In pochi giorni si vedrà che qualche ramo si dirige verso il foro e magari ne esce. L’esperimento fu compiuto da Charles Darwin nel 1880.
Ritmi circadiani
Ogni forma vivente segue ritmi scanditi dall’alternanza della luce e del buio. Ma il meccanismo di questi ritmi è tutt’altro che semplice. Per introdurre il discorso in modo coinvolgente basta procurarsi da un vivaista, per pochi euro, una piantina di Mimosa pudica. Si vedrà che la piantina, al calare del Sole, chiude le sue foglie e le riapre all’alba. La cosa sorprendente è che il ritmo viene mantenuto per alcuni giorni anche se la piantina rimane sempre al buio in una scatola. L’esperimento fu eseguito per la pima volta dall’astronomo Jean-Jacques Dortous de Marain nel 1729.
Referenze iconografiche: PACO COMO/Shutterstock, Jose Angel Astor Rocha/Shutterstock, WathanyuSowong/Shutterstock, Kletr/Shutterstock