La riforma del processo civile
Gli aspetti principali della cosiddetta “riforma Cartabia”
La riforma Cartabia mira all’introduzione di un modello processuale innovativo che porti a risparmi di tempo, a minori dispendi economici e a una maggiore tutela dei diritti.
Le necessità e gli obiettivi della riforma
Da tantissimo tempo si cerca di affrontare un problema molto grave in Italia, quello della irragionevole durata dei processi civili (oltre che di quelli penali).
Basti pensare al fatto che, mediamente, per giungere alla sentenza di una causa civile di primo grado serve un anno e mezzo, mentre ne occorrono quasi tre per arrivare al secondo grado e quattro per arrivare al terzo grado. In pratica, circa otto anni dalla denuncia alla sentenza definitiva: una situazione che spesso scoraggia le persone ad attivarsi per la tutela dei propri diritti.
È in atto una riforma del processo civile (la “riforma Cartabia”, dal nome dell’ex ministro della Giustizia che l’ha promossa), in adeguamento alle disposizioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: essa mira all’introduzione di un modello processuale innovativo che porti a risparmi di tempo, a minori dispendi economici e soprattutto a maggiore tutela dei diritti.
Il decreto legislativo n. 149/2022, in attuazione della legge n. 206/2021, contiene i provvedimenti volti a rendere più efficiente il processo civile, in considerazione della durata eccessiva delle cause, dell’intasamento delle aule giudiziarie e del rischio che i diritti contesi cadano in prescrizione prima della sentenza definitiva.
L’obiettivo della riforma è quello di semplificare e di razionalizzare il processo civile, anche attraverso il potenziamento degli strumenti alternativi di composizione delle controversie. Il decreto legislativo prevede pertanto specifici interventi di modifica al codice di procedura civile e al codice civile, oltre che a numerose leggi speciali.
Ma quali sono attualmente le fasi per procedere in sede civile?
Le fasi del processo civile
La mediazione, la negoziazione assistita e la citazione in giudizio
Le parti tra cui esiste una controversia possono richiedere la mediazione (cioè la risoluzione pacifica della lite) attraverso un soggetto iscritto in un apposito registro tenuto presso il Ministero di Giustizia. Ciò è possibile quando esiste già una prima forma di accordo, o se è il giudice a ordinare un tentativo di conciliazione prima di emettere una sentenza.
In alcune tipologie di controversia, prima di rivolgersi alla magistratura le parti sono tenute a cercare di trovare una soluzione condivisa tramite l’assistenza dei propri avvocati. È, questa, la negoziazione assistita. Essa è obbligatoria nelle cause in materia di risarcimento dei danni da circolazione di veicoli e in quelle relative a pagamento di somme inferiori a determinati importi. Negli altri casi è invece facoltativa.
Se la mediazione fallisce l’attore può procedere alla citazione in giudizio, in seguito alla quale il convenuto è tenuto a fornire una risposta, specificando i motivi della propria difesa.
Il processo di cognizione
Attraverso la citazione in giudizio da parte dell’attore ha inizio il processo di cognizione, volto a verificare quale situazione giuridica esista effettivamente tra le parti.
L’atto di citazione deve contenere, a pena di nullità, tutti gli elementi previsti dalla legge (tra cui le ragioni che lo giustificano) e comprende l’invito al convenuto di presentarsi davanti al giudice nella data fissata per l’udienza di comparizione. Il convenuto può costituirsi in giudizio attraverso una comparsa di risposta, in cui presenta le eccezioni che oppone all’attore.
Nell’udienza di comparizione le parti, assistite dai propri avvocati, devono indicare in modo definitivo le proprie ragioni.
Il processo prosegue poi con una serie di udienze, stabilite dal giudice, in cui le parti forniscono le prove, che il giudice acquisisce. L’onere della prova compete alla parte che vi ha interesse: l’attore ha l’onere di provare i fatti in base ai quali ha presentato la propria domanda, mentre il convenuto ha l’onere di provare le proprie eccezioni.
Terminata l’acquisizione delle prove, ogni parte è tenuta a esporre di nuovo le proprie ragioni, dando luogo a una discussione che può svolgersi in modo orale (modalità adottata sempre per le cause di cui è competente il giudice di pace) o scritto, secondo la scelta del giudice.
Il giudice, valutate le prove che ha acquisito e applicata la legge, dirime la controversia tramite una sentenza, che deve essere adeguatamente motivata, con riferimento agli elementi sia di fatto sia di diritto che la giustificano. La sentenza viene resa pubblica tramite il suo deposito in cancelleria.
Contro la sentenza di primo grado è possibile presentare appello e, per contestare quella emessa dal giudice di secondo grado, ci si può rivolgere alla Corte di Cassazione, che potrà confermare la sentenza o, per motivi di diritto, annullarla, rendendo così necessario un nuovo processo.
L’arbitrato
Le parti coinvolte in una controversia hanno un’alternativa al processo civile, l’arbitrato, ammesso esclusivamente per le liti che hanno per oggetto diritti disponibili (cioè di natura patrimoniale e non personale).
Si tratta di un istituto in cui sono le parti a scegliere i soggetti che decideranno la loro controversia, gli arbitri. Gli arbitri sono soggetti privati a cui le parti affidano la soluzione di una lite tramite un accordo successivo al sorgere di essa (il compromesso). È possibile, e frequentemente adottato nella pratica, che il ricorso all’arbitrato venga preventivamente previsto dalle parti che concludono un contratto tramite la stipulazione di una convenzione arbitrale, denominata anche clausola compromissoria, con cui si deferisce a privati il potere di decidere controversie presenti o future, sottraendole al giudice ordinario.
La legge non richiede particolari requisiti per l’assunzione dell’incarico di arbitro, se non la piena capacità di agire; a garanzia della loro imparzialità, però, gli arbitri non devono avere interessi propri connessi alla controversia su cui si devono pronunciare.
La decisione adottata dagli arbitri prende il nome di lodo arbitrale ed è simile, per forma, a una sentenza, ma non ne ha la stessa efficacia. Per assumere forza sentenziale è necessario un procedimento giurisdizionale che prevede il deposito del lodo presso la Cancelleria del giudice competente per territorio e la successiva emanazione, da parte del giudice, di un decreto che lo dichiari esecutivo. Il lodo può essere impugnato presso l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente in primo grado.
Le principali novità del decreto legislativo n. 149/2022
Gli incentivi ai metodi alternativi di risoluzione delle controversie
Il decreto legislativo n. 149/2022 prevede importanti innovazioni nei metodi alternativi di risoluzione delle controversie, noti come ADR (Alternative Dispute Resolution).
Di seguito le principali:
- per la mediazione sono previsti incentivi di natura fiscale, come l’esenzione dell’imposta di registro di determinati atti;
- il ricorso alla negoziazione assistita viene previsto anche per le controversie di lavoro: datore di lavoro e dipendente possono tentare una conciliazione senza l’intervento del Tribunale con l’assistenza obbligatoria di avvocati o di consulenti del lavoro. La negoziazione può inoltre essere utilizzata allo scopo di raggiungere una soluzione consensuale tra i genitori per la disciplina delle modalità di affidamento e mantenimento dei figli minori nati fuori del matrimonio. Inoltre, nella negoziazione assistita è prevista la possibilità di ricorrere a modalità telematiche con collegamento da remoto, così da ridurre i tempi e le distanze tra le parti coinvolte;
- in materia di arbitrato, sempre che ci sia in tal senso la volontà delle parti, si riconosce agli arbitri il potere di emanare provvedimenti cautelari, come ad esempio il sequestro giudiziario. Si prevede inoltre l’obbligo, per ogni arbitro, di dichiarare, al momento dell’accettazione dell’incarico, la presenza di circostanze che potrebbero limitare la propria imparzialità.
Le semplificazioni per il giudizio di primo grado
In materia di svolgimento del processo civile di primo grado l’obiettivo principale è quello di garantire la semplicità e la ragionevole durata del processo. In tal senso sono state introdotte alcune novità, tra cui:
- in tutte le fasi del processo è obbligatorio il deposito telematico di tutti gli atti e documenti;
- la maggior parte delle attività giurisdizionali passa attraverso le piattaforme telematiche di gestione del processo civile telematico, situazione denominata da alcuni home-justice;
- sono ampiamente estesi i collegamenti e le udienze da remoto;
- sono innalzate le soglie di valore delle cause che rientrano nelle competenze dei giudici di pace, alleggerendo in tal modo il carico di lavoro dei Tribunali;
- sono ridotti i casi in cui il Tribunale opera in composizione collegiale;
- sono soppresse alcune udienze, tra cui per esempio quelle per nominare i consulenti tecnici d’ufficio;
- viene adottato il cosiddetto procedimento semplificato di cognizione per le controversie che richiedono un’attività istruttoria non complessa (per esempio perché la domanda è fondata su prove documentali);
- sono introdotti provvedimenti estremamente semplificati di accoglimento o di rigetto nei casi in cui la domanda è infondata, o, viceversa, si basa su fatti provati.
Ulteriori semplificazioni, di carattere prettamente tecnico, sono previste per il giudizio in appello e per quello in Cassazione.
La riforma del diritto processuale di famiglia
Allo scopo di semplificare la ripartizione di competenze tra il Tribunale ordinario e quello per i minorenni, è prevista l’istituzione del Tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie, cui saranno affidati i procedimenti in materia familiare e minorile. Si occuperà in particolare delle cause relative alle capacità delle persone, alle famiglie, alle unioni civili, alle situazioni di convivenza, ai minori.
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