Contro la violenza sessuale
Un reato odioso, lungamente sottovalutato
Diversi tipi di violenza sulle donne
Sappiamo che purtroppo, in Italia e nel mondo, le donne subiscono diversi tipi di violenza: fisica, psicologica, economica e sessuale. La violenza fisica si compie quando una donna viene picchiata in diversi modi o subisce comunque maltrattamenti fisici. La violenza psicologica avviene spesso all’interno del nucleo famigliare e consiste nel minacciare, umiliare, controllare, intimorire o insultare una donna da parte del compagno o di altri componenti della famiglia. Le violenze psicologiche possono essere considerate le meno visibili, soprattutto perché non intaccano l’aspetto fisico della donna, ma non per questo sono meno dolorose o pericolose. Infatti, le donne che le subiscono spesso non riescono a reagire, perdendo progressivamente la propria autostima e sentendosi impotenti di fronte a ogni situazione. Nella violenza psicologica rientra il reato di stalking, che consiste in un comportamento persecutorio, in cui l’autore segue ossessivamente la vittima, l’aspetta sotto casa o presso il lavoro, le telefona ripetutamente, minando la sua autonomia e la sua serenità.
La violenza economica si manifesta quando alle donne viene impedito di lavorare in modo da dover dipendere sempre da qualcuno, o quando si sfruttano le sue competenze di lavoro senza nessun tipo di retribuzione (per esempio nell’azienda familiare). È, dunque, una violenza soprattutto morale e psicologica.
La violenza sessuale è definita dall’articolo 609-bis del Codice penale, che afferma «chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni».
Nella violenza sessuale rientrano tutti gli atti sessuali che inducono la vittima a essere costretta, spaventata, intimorita o anche a non sentirsi a proprio agio per non aver potuto fare una libera scelta: sono attribuibili a questo reato per esempio le molestie, le carezze e i baci non desiderati, la pubblicazione di immagini sessuali su internet senza autorizzazione, l’alterazione di bevande o l’utilizzo di droghe per ridurre la capacità di agire a fini sessuali.
In base ai dati forniti dalla Direzione centrale di polizia criminale (dati relativi al 2021) nel nostro Paese viene denunciata una violenza sessuale contro donne ogni 131/132 minuti, una media di undici tra stupri e abusi ogni giorno. Si tratta di statistiche riferite alle sole denunce: il numero reale di crimini sessuali, se includiamo quelli taciuti, diventa davvero terribile.
Violenza sessuale: un reato contro la persona
Oggi la violenza sessuale è inquadrata giustamente come reato contro la persona; prima del 1996 rientrava invece nei reati contro la moralità pubblica e il colpevole poteva esserne assolto con il cosiddetto matrimonio riparatore. Affermava infatti il Codice penale (art. 544 del Codice Rocco) che «il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo». Era dunque sufficiente per il colpevole dichiararsi disponibile a sposare la vittima, anche se minorenne; inoltre erano spesso i familiari della donna a spingerla al matrimonio riparatore per difendere l’onore della famiglia.
Al riconoscimento del matrimonio riparatore si aggiungeva l’assurdità del delitto d’onore, previsto dall’articolo 587 del Codice penale, che prevedeva una pena significativamente ridotta per chi, «nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia», causasse la morte della coniuge, della figlia o della sorella «nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale». Inoltre, recitava sempre l’articolo, «alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella».
Gli articoli del Codice penale che prevedevano l’estinzione del reato in caso di matrimonio riparatore e il riconoscimento del delitto d’onore furono abrogati grazie alla legge n. 442/1981.
Il primo processo a porte aperte
In passato le donne vittime di violenza sessuale spesso evitavano di sporgere denuncia, non solo per paura delle ritorsioni dello stupratore, ma anche e soprattutto perché in caso di processo sarebbero state esposte al disonore e considerate esse stesse responsabili in qualche modo di quanto era successo. Nel febbraio del 1967, addirittura, la Corte di cassazione emise una sentenza in cui si affermò che «non può raffigurarsi violenza in quella necessaria a vincere la naturale ritrosia femminile, destinata a crollare al primo squillo di tromba come le mura di Gerico», motivazione che si collega al principio “vis grata puellae” (la violenza gradita alle donne), cioè all’assurda idea, diffusa in certe parti dell’opinione pubblica, che alle donne piacesse in qualche modo essere prese con la forza.
Nel 1976, a Verona, moltissime donne si mobilitarono a fianco di una giovane vittima di stupro e chiesero insieme a lei che il processo si svolgesse a porte aperte, richiesta che fu esaudita. In tal modo, oltre a esprimere solidarietà e vicinanza alla ragazza, si raggiunse l’obiettivo di sensibilizzare sia i cittadini sia le istituzioni alla gravità di questo reato, oltre a denunciare la parzialità della normativa in materia.
I progressi normativi
Dal 1996, anno in cui la violenza sessuale venne inserita tra i reati contro la persona, sono stati fatti importanti passi avanti per combattere la violenza sulle donne:
- la legge n. 119/2013, che ha portato all’applicazione dell’allontanamento urgente dalla casa familiare dei soggetti che commettono violenza di genere;
- la legge n. 69/2019, denominata Codice Rosso, che ha inserito nel Codice penale nuovi reati, tra cui il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (il cosiddetto revenge porn), il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, il reato di costrizione al matrimonio; tale legge ha stabilito pene specifiche per la violazione del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa;
- il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 dicembre 2020, che ha introdotto il Reddito di libertà, un sussidio economico per le donne vittime di violenza.
Un confronto europeo
Le pene previste in Italia per le violenze sessuali, che presuppongono violenza o minaccia e non solo “mancanza di consenso”, variano dai sei ai dodici anni. E in altri Paesi europei?
In molti Paesi europei viene considerata “stupro” ogni forma di sesso senza consenso: questo principio vale in Austria, Regno Unito, Irlanda, Belgio, Cipro, Grecia, Portogallo, Croazia, Lussemburgo, Danimarca, Svezia, Slovenia, Islanda e Germania. Ciò risponde a quanto prevede la Convenzione di Istanbul (2011).
La necessità di una riforma legislativa in Italia che incentri il reato di violenza sessuale sulla mancanza di consenso della vittima si ricava dalla sentenza n. 1559/2021 della Corte di cassazione, in cui si afferma che «ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico».
Nel dicembre 2021 il Parlamento europeo ha approvato una Risoluzione con cui si chiede alla Commissione di presentare una proposta di legge volta a inquadrare in tutta l’UE la violenza di genere come euro-crimine, vale a dire come atto che rientra tra le sfere di criminalità particolarmente gravi, e ad armonizzare le legislazioni degli Stati membri in materia di violenza di genere, a tutela non solo delle donne ma anche di tutte le persone LGBTQ+ (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer, cioè persone con orientamenti sessuali divergenti dalla media).
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