Contro il matrimonio forzato
Una violazione dei diritti fondamentali
Ogni anno, il giorno 11 ottobre, ricorre la Giornata internazionale delle bambine, (International Day of the Girl Child), istituita dall’ONU nel 2011 per riflettere sulle violazioni dei diritti delle ragazze: tra questi soprusi rientrano, oltre alle violenze, alle discriminazioni di genere e al mancato accesso all’istruzione, i matrimoni forzati.
Che cos’è il matrimonio forzato
L’espressione “matrimonio forzato” indica un matrimonio in cui il consenso di almeno una delle parti non viene prestato in seguito a una libera scelta, ma viene estorto attraverso diverse forme di coercizione, tra le quali le violenze, gli inganni, le minacce, gli abusi psicologici. Si tratta di un’evidente violazione dei diritti umani, come si può evincere dalla lettura dell’art. 16, c. 2, della Dichiarazione universale dei diritti umani, che recita:
«Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi.»
La contrarietà ai matrimoni forzati è sancita anche, nell’ambito dell’ONU, dalla Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW, 1979) e dalla Convenzione sul consenso al matrimonio, l’età minima per il matrimonio e la registrazione dei matrimoni (CCM, 1962). Quest’ultima in particolare stabilisce che:
«Non verrà contratto legalmente alcun matrimonio senza il pieno e libero consenso dei partner».
Siamo di fronte a una realtà, legata a radici culturali e religiose, purtroppo molto diffusa a livello mondiale, non solo in Africa e in Asia, ma anche in Europa, Italia compresa. I numeri maggiori di matrimoni forzati in termini assoluti sono registrati in Asia e nella zona del Pacifico (65%), ma è negli Stati arabi che si registra l’incidenza più alta, cioè la percentuale più elevata in relazione alla popolazione.
Ricordiamo che, in base all’obiettivo 5.3 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, tutti gli Stati dell’ONU si sono impegnati a eliminare i matrimoni precoci e forzati.
Differenze tra matrimoni forzati, combinati e precoci
Dal punto di vista giuridico il matrimonio forzato va distinto da quello combinato, in cui i genitori indirizzano i figli a scegliere il futuro coniuge sulla base di ragioni prevalentemente sociali o economiche, ma in cui la decisione finale viene generalmente rimessa ai futuri sposi.
Diverso, ma molto grave, è anche il matrimonio precoce, dove uno degli sposi, praticamente sempre la donna, è minorenne: il numero di spose bambine nel mondo ai aggira intorno ai 12 milioni ogni anno, con diffusione soprattutto in India, oltre che in Iran, Afghanistan, Pakistan, Cina, Indonesia e Bangladesh. La causa principale di questa pratica è di natura economica: molte famiglie decidono di destinare al matrimonio le proprie figlie per sfuggire alle condizioni di estrema povertà in cui si trovano a vivere.
La diffusione dei matrimoni forzati in Italia
Anche nel nostro Paese, purtroppo, si verificano casi di matrimoni forzati. Nel 2023, per esempio, secondo dati del Ministero dell’Interno si sono registrate 28 denunce.
Il dato, di per sé già allarmante, è aggravato dal fatto che nel conteggio manca il sommerso, visto che la realtà dei matrimoni forzati avviene all’interno delle mura domestiche e le vittime, quasi sempre ragazze molto giovani, vengono obbligate ad abbandonare la scuola e si trovano nell’impossibilità, sia reale sia psicologica, di denunciare.
L’analisi per fasce d’età evidenzia che un terzo delle ragazze forzate a sposarsi non è ancora maggiorenne: il 9% ha meno di 14 anni, il 27% ha tra i 14 ed i 17 anni e, tra le maggiorenni, il 41% ha fra i 18 e i 24 anni. Le vittime sono soprattutto di origine straniera; oltre la metà sono di origine pakistana, seguite da ragazze originarie dell’Albania, dell’India, del Bangladesh, della Romania e di altre nazionalità.
Le conseguenze del matrimonio forzato
Nella maggioranza dei casi le donne che subiscono un matrimonio forzato si trovano esposte a conseguenze molto pesanti, quali la violenza domestica, l’isolamento sociale e relazionale, danni alla salute fisica (pensiamo per esempio alle gravidanze precoci) e psichica, l’abbandono scolastico e il mancato inserimento nel mondo del lavoro.
Il matrimonio forzato come reato
La legge n. 69/2019, nota anche come “Codice rosso”, ha introdotto una norma specifica volta a punire i matrimoni forzati, inserendo nel Codice penale l’articolo 558-bis (Costrizione o induzione al matrimonio), secondo il quale:
«Chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
La stessa pena si applica a chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile.
La pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto.La pena è da due a sette anni di reclusione se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni quattordici.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando il fatto è commesso all'estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia».
L’obiettivo della norma è chiaramente quello di evitare i matrimoni indotti mediante pressioni di natura fisica o psicologica, favorendo la piena libertà di scelta come base fondante di ogni unione.
All’integrazione del Codice penale con l’art. 558-bis si aggiunge l’approvazione da parte della Camera dei deputati (non ancora da parte del Senato) della cosiddetta “Legge Saman”, che prevede un’importante innovazione al Testo Unico sull’immigrazione: chi denuncia la costrizione al matrimonio potrebbe ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, di durata annuale e rinnovabile.
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Il caso Saman Abbas
Perché si parla di “Legge Saman”? Perché si ricorda il caso di una giovane ragazza di origine pakistana che ha pagato con la morte la sua opposizione a un matrimonio combinato e forzato. «Saman Abbas voleva "vivere all’occidentale". Non a caso aveva scelto per il suo profilo Tik Tok il nome utente italian girl nel tentativo, forse, di rivendicare la propria identità di giovane donna libera. Quella libertà che le era stata negata dai genitori per essersi opposta alle nozze combinate col cugino, più grande di lei, nel Paese d'origine. da ilgiornale.it, 28/11/2023 |
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Anche l’Unione europea affronta il tema dei matrimoni forzati. Nel 2024 il Consiglio e il Parlamento hanno raggiunto un accordo per modificare le regole che prevengono e combattono il traffico di esseri umani, includendo nel campo di applicazione della direttiva i matrimoni forzati.
Il matrimonio forzato come violenza di genere
Considerata la quasi totalità di vittime femminili, i matrimoni forzati corrispondono indubbiamente a una forma di violenza di genere, come ha stabilito anche la Corte di Cassazione, in particolare con l’ordinanza n. 12647/2022: la violenza di genere rientra tra le ipotesi di riconoscimento della protezione internazionale e il matrimonio imposto con la violenza fisica e psichica consumate nei confronti di una donna costituisce violenza di genere. L’obbligo a contrarre matrimonio non va considerato come fatto di natura privata, ma rientra pienamente nell’ambito della violenza di genere.
L’importanza dell’educazione
Le previsioni normative sono importanti, ma purtroppo non bastano a eliminare il fenomeno dei matrimoni forzati, che sono diffusi in contesti culturali e sociali che sfuggono ai controlli. È essenziale in tal senso l’educazione alla libertà e alla consapevolezza dei propri diritti, compreso quello di denunciare i soprusi affidandosi alla collaborazione di adulti consapevoli, tra cui insegnanti e assistenti sociali, pronti ad avviare l’iter necessario per uscire da una terribile spirale.Per le giovani vittime, la scuola in particolare può rappresentare un primo spazio in cui denunciare, come nel fatto di cronaca riportato di seguito:
Tenuta a digiuno e picchiata per aver rifiutato un matrimonio forzato
da ilfattoquotidiano.it, 27/4/2023 |
Che cosa si può fare concretamente se si è esposti al rischio di un matrimonio forzato? Oltre alla possibilità di rivolgersi a un docente o ad altro adulto responsabile, è possibile:
- contattare il 1522, numero gratuito di pubblica utilità antiviolenza, che fornisce le informazioni di prima assistenza con garanzia dell’anonimato;
- contattare le forze dell’ordine tramite il numero 112 (numero di emergenza unico europeo);
- scaricare l’app YouPol, gratuita, che permette di inviare segnalazioni, anche in forma anonima, alla Polizia di Stato.
Referenze iconografiche: juliachernetskaja/Shutterstock