Studiare il Novecento a scuola

Cosa, come, quando?

La ridistribuzione della letteratura italiana secondo le Indicazioni nazionali ha come obiettivo quello di dare maggiore spazio al Novecento. Ma come muoversi all'interno di un secolo in cui non esiste ancora un canone letterario? Proviamo a dare qualche suggerimento, partendo dall'idea che, di fronte a un'offerta di pagine così ricca ma anche dispersiva qual è quella dei manuali scolastici, sia meglio privilegiare un numero limitato di testi la cui lettura dovrà essere opportunamente stimolata dall'insegnante.

Come è noto, le Indicazioni nazionali hanno riformulato la distribuzione della letteratura italiana negli ultimi tre anni delle scuole superiori, nell'intento di dare maggiore spazio al Novecento o, diciamo, ora che siamo nel 2017, alla modernità e alla contemporaneità. La scelta non è senza conseguenze, anche negative: nel secondo biennio si dovrebbe dare agli studenti la conoscenza di veri e propri colossi quali Dante, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, Ariosto, Tasso (primo anno). Nel secondo anno va un pochino meglio, ma solo perché sul Seicento perdura un generalizzato quanto ingiustificato discredito: accennato rapidamente a Marino (forse) e a Galileo, restano solo (solo!) Goldoni, Parini, Alfieri, Foscolo, Manzoni.
Arrivati in questo modo all'Unità d'Italia, l'ultimo anno comincia con Leopardi (almeno nei licei), estrapolato a forza dal contesto storico-culturale in cui solo è comprensibile per proiettarlo in un Novecento col quale non si avrà né il tempo né le conoscenze per dimostrarne i legami; saltato o quasi Carducci, tocca a Pascoli e a d'Annunzio. Nel frattempo, l'alternanza scuola-lavoro ha ulteriormente ridotto le ore di lezione: può darsi che sia un vantaggio…
Occorre pur dire che le Indicazioni nazionali presentano almeno due problemi: innanzitutto, comprimono in troppo poco tempo il meglio della tradizione culturale e letteraria d'Italia, il lunghissimo periodo in cui l'Italia, grazie proprio alla sua tradizione umanistica, ha dettato legge al mondo in pressoché tutte le discipline.
In secondo luogo, paiono basarsi su due postulati erronei. Il primo è che il Novecento sia più "facile". Può darsi che, in generale, sia vero: ma certo Montale non è più comprensibile di Dante, né la prosa di Gadda più accessibile di quella di Boccaccio.
Il secondo è che il Novecento interessi maggiormente lo studente, perché sarebbe più vicino ai suoi "problemi" di adolescente/giovane (ormai del Duemila inoltrato, a dire il vero): con il che, si invalida la natura stessa del "classico", il quale indipendentemente dalla sua età, è il libro che non ha mai finito di dire quel che deve dire, per citare Calvino. Ora invece impariamo che un classico vecchio non è più tale. Inoltre, chiunque ha esperienze di insegnamento, o comunque di rapporto con i giovani, sa bene che essi vivono o almeno tendono a vivere nel presente e che gli avvenimenti di solo qualche anno prima sono per loro lontani quanto la civiltà dei sumeri. Proprio per questo motivo, proprio per consentir loro di imparare il senso storico, di riconoscere la differenza tra i diversi periodi storici, di relativizzare e radicare un presente che tendono a vivere come assoluto (ab-solutus: privo di legami) sarebbe importante far loro conoscere meglio il passato: in particolare quel passato in cui la civiltà italiana ha prodotto, per sé e per il mondo intero, i suoi frutti migliori. Solo in tal modo potranno diventare cittadini in grado di costruire il futuro, loro personale e della comunità, più o meno estesa, di cui fanno parte.
Fin qui la diagnosi, offerta non per il gusto del lamento, ma nella speranza di alimentare un dibattito che consenta qualche correttivo. Passiamo alla proposta. Se tutto è andato bene, se l'insegnante è preparato e creativo e ha goduto di buona salute, se la classe risponde e collabora, dopo la lunga cavalcata così brevemente descritta saremo pressappoco alla fine del primo quadrimestre o comunque, poiché anche questa ripartizione non è universale, a fine gennaio. Tocca al Novecento. Che fare? Tanto più che il manuale di letteratura italiana dedica al Novecento all'incirca un quarto delle sue pagine totali: un'offerta, quindi, di grande ricchezza, ma anche tendenzialmente dispersiva.

Confini del Novecento e ripartizione interna

Le due proposte più interessanti in tal senso mi paiono quelle di Romano Luperini (Novecento, Loescher, Torino 1981) e di Giuseppe Langella (Letteratura.it, Pearson Italia, Milano-Torino, 2012). Non mi soffermo sulla prima, che è già stata illustrata e anche discussa da Guido Baldi in questa stessa rivista qualche anno fa (anno I, n. 4), limitandomi a ricordare che per il critico le due date spartiacque sono il 1925 e il 1956 e che le proposte di Luperini si fondano sul postulato, caro alla critica diciamo così sociologica, di una immediata e necessaria ricaduta dei mutamenti socio-politico-economici nelle grandi opere letterarie.
Langella propone una quadripartizone del secolo: primo Novecento, dal 1900 al 1918; secondo Novecento, dal 1919 al 1943; terzo Novecento dal 1943 al 1978; quarto Novecento, dal 1978 alla fine del secolo. Il primo Novecento sarebbe caratterizzato dallo smantellamento della tradizione (crepuscolari, anarchici, futuristi), necessario preludio alla fondazione del moderno. Il secondo Novecento ha come elemento caratterizzante il male di vivere, di cui sono emblemi Ungaretti, Svevo, Pirandello, Montale, Moravia, Gadda; il terzo periodo (1944-1978) è il tempo dell'impegno: gli intellettuali "decidono di riappropriarsi della responsabilità di intervenire attivamente nel dibattito politico e nella vita civile" (Calvino e Luzi, il neorealismo e la neoavanguardia). Langella fa iniziare il quarto Novecento nel 1978, anno del rapimento e dell'assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. L'antologia, uscita nel 2012, non indica una data di chiusura di questo periodo, che viene collocato sotto il segno delle Strategie di sopravvivenza, in cui si eserciterebbe, sostanzialmente, il postmoderno. Ne viene indicato come esemplare Il nome della rosa di Umberto Eco.

Un secolo lungo

La proposta è estremamente interessante: fa del Novecento un secolo lungo, anziché breve, come era diventato d'uso dire dopo che lo storico Eric J.E. Hobsbawm lo aveva definito tale (nel suo libro edito in Italia nel 1995 con il titolo di Il secolo breve; nell'originale del 1994 era The Age of Extremes): inizierebbe infatti nel 1914 e finirebbe nel 1991, con la dissoluzione dell'Unione Sovietica. Ma appunto: tra l'insieme storico e l'insieme letterario esistono certamente delle sovrapposizioni e delle interferenze, non un rapporto causale o, peggio, di causalità o, peggio, deterministico. Anzi: spesso la letteratura (o, almeno, le grandi opere letterarie) anticipano le svolte storico-culturali, assai più che confermarle. Le date proposte da Langella, che fanno a loro volta perno su avvenimenti storici o su cifre dall'elevato valore simbolico (il 1900) vanno quindi prese in senso orientativo. Allo stesso modo, le etichette proposte non pretendono di rendere ragione di tutte le opere letterarie scritte nel periodo preso in esame: si tratta solo di cogliere l'orientamento prevalente, la linea di tendenza. Fatte salve queste due avvertenze metodologiche, la quadripartizione può avere una buona efficacia didattica: da un lato, consente di inquadrare con uno sguardo d'insieme, che andrà richiamato di frequente, tutto il Novecento; dall'altro, consente di entrare nel dettaglio e di distinguerne diverse fasi, evitando di farne una sorta di melassa indifferenziata.

Partiamo dai testi

Entro questo quadro, di quali autori occuparsi? E di quali movimenti? Le costrizioni temporali possono aiutare a stabilire delle gerarchie. Poiché lo specifico della letteratura sono i testi, è da lì che bisogna partire: il che significa privilegiare le opere rispetto agli autori e gli autori rispetto ai movimenti letterari. Se non si avrà tempo di descrivere tutte le pieghe del neorealismo o del modernismo, pazienza: potrà bastare una definizione operativa, che poi la lettura dei testi si incaricherà di confermare o di correggere. Se non si riuscirà a raccontare la vita di un autore, poco importa: a parte che la si può trovare ovunque, su carta e in rete, basteranno pochissimi dati essenziali, anche per quegli autori in cui il legame tra vita e opere è importante. Gli autori vivono per le loro opere, non per la loro biografia. Lo stesso criterio selettivo, in tempi e con un pubblico che impone tagli anche dolorosi, deve valere per le opere: non tutte le opere, ma solo quelle veramente significative. Credo che l'insegnante debba sforzarsi di compiere una transazione tra due elementi a volte difficili da conciliare: l'indubbia importanza storica di alcune opere e la loro capacità di suscitare interesse negli studenti e in lui. Si badi: non parlo di un interesse aprioristico, sul quale evidentemente non si può più contare, ma dell'interesse che nasce in seguito a un lettura opportunamente stimolata. Il che significa che dai testi si deve partire anche per la scelta degli autori da proporre.

Il secondo Novecento: il canone è ancora in costruzione

Quello che nella ripartizione classica è il secondo Novecento, nella proposta di Langella diventa il terzo e il quarto Novecento. Langella propone tre classici in tutto: Italo Calvino e Mario Luzi per il terzo periodo, Giorgio Caproni per il quarto. La proposta è più che ragionevole e ben argomentata.
Per quanto riguarda il "terzo Novecento" mi permetto di apportare una sola vera correzione: a mio parere un libro che non si può non aver letto integralmente è Se questo è un uomo di Primo Levi. Troppo importante per troppe ragioni, innanzitutto letterarie, nonostante si tratti di quella che oggi forse si chiamerebbe non fiction: per il suo saldissimo radicamento nella tradizione italiana e per l'importanza di ciò che racconta. Non sono invece così sicuro che Italo Calvino nel borsino letterario sia una stella di prima grandezza nel firmamento letterario, anche se mi rendo conto che qui si tratta anche di gusti personali, che possono non essere condivisi, specialmente quando il canone è ancora incerto. Tra i narratori, segnalerei anche Beppe Fenoglio: se non Il partigiano Johnny, un capolavoro ma incompiuto e lungo, almeno uno dei suoi racconti lunghi o romanzi brevi, come Una questione privata.
Per quanto riguarda i poeti, a Luzi, e dopo Montale, il maggior poeta del nostro Novecento, si potranno accostare almeno Vittorio Sereni e Franco Fortini.
Pochi nomi, come si vede, ma comunque sempre troppi, per il tempo a disposizione: il che significa, ancora una volta, che tocca all'insegnante scegliere; e tanto più difficile si fa la scelta quanto più ci si avvicina ai nostri giorni. Fatta salva l'originalità di Giorgio Caproni, che ha anche il non trascurabile vantaggio di scrivere poesie per lo più molto brevi, terrei conto anche della voce di Giovanni Giudici; e proporrei Andrea Zanzotto, se non fosse per l'estrema difficoltà dei suoi versi.
Tra i narratori, se si colloca il quarto Novecento sotto l'etichetta del postmodernismo, il romanzo che meglio ne rappresenta le caratteristiche, anche nei suoi limiti, e le critiche dall'interno, è a parer mio Il pendolo di Foucault, di Umberto Eco. E credo valga la pena di esaminare un prodotto della serialità e un fenomeno massmediatico quali i romanzi di Elena Ferrante: il migliore è il primo, L'amica geniale.
Ma qui davvero la libertà e la creatività dell'insegnante diventano i criteri guida; e si potranno ascoltare anche le sollecitazioni provenienti dagli studenti, alcuni dei quali avranno un loro bagaglio di letture da valorizzare, anche se magari poco canoniche. Ma il canone è ancora in costruzione: e, del resto, la polverizzazione individualistica che è tipica dei nostri anni rende molto difficile l'instaurazione di un canone vero e proprio, che sia cioè ampiamente riconosciuto anche nelle sue linee essenziali, tanto più che ormai anche l'interferenza delle letterature straniere si fa molto forte.
Vorrei affrontare un ultimo punto: la maggior parte degli autori del secondo Novecento sono narratori, fatto che aggiunge difficoltà a difficoltà, poiché antologizzare un romanzo è impresa estremamente ardua, se si mira a restituire la complessità dell'opera a partire da un brano. Di qui la necessità di impostare un piano triennale (o addirittura quinquennale, se si riesce a trovare un accordo o almeno un raccordo con il collega del primo biennio): preparare un elenco di libri (di autori italiani e stranieri) tra i quali gli studenti ne dovranno scegliere alcuni da leggere durante le quattro estati che li separano dall'esame di stato. Leggeranno, non leggeranno, cercheranno un qualunque riassunto in rete? La riposta non è garantita, ma, se non altro, non saremo venuti meno al nostro compito di sollecitazione culturale e avremo cercato di porre rimedio al grande deficit da cui mi sembra che discendano tutti gli altri: la scarsa attitudine alla lettura.

Referenze iconografiche: Branko Devic/Shutterstock

Pierantonio Frare

è attualmente professore ordinario di Letteratura italiana presso la facoltà di Scienze della formazione all'Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Piacenza. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni, iniziative di aggiornamento di tipo didattico ed eventi culturali incentrati soprattutto attorno a Dante e, in particolare, a Manzoni. Ha pubblicato volumi e articoli su autori del Seicento (Tesauro e Marino), su Foscolo, su Manzoni, con qualche incursione nel Novecento (Ungaretti, Erba, Eco). Ha collaborato a diverse iniziative editoriali per la scuola.