No fake, sì bufala… ma non si tratta di mozzarella
Notizie false e infondate
Abbiamo già ospitato in questa rubrica un articolo sulla pervasività presunta o reale degli anglicismi nella lingua italiana; una delle espressioni inglesi che più spesso sentiamo usare o leggiamo nei giornali e in rete è fake news, che pare avere la meglio rispetto a espressioni italiane, non rare, come bufala o disinformazione, o più semplicemente notizia falsa.
L’espressione trumpiana per eccellenza
Si fa un gran parlare di fake news: il presidente Trump ne ha fatta un’arma politica prima di propaganda ora di governo e ha impresso all’espressione un’evoluzione di significato, facendola diventare l’espressione trumpiana per definizione; il presidente americano, infatti, definisce fake news non propriamente una notizia falsa o infondata, ma qualsiasi opinione contraria alla sua o notizia che sia per lui critica o negativa.
Tutti ricordano anche come importanti cariche del nostro stato si sono esposte in prima persona nel dibattito nato intorno alle fake news: nell’ottobre 2017 la Presidente della Camera, Laura Boldrini, e la Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli, presentarono un decalogo contro le bufale, per permettere alle ragazze e ai ragazzi di difendersi dalle false notizie che circolano in rete.
A conferma dell’attualità del tema, soprattutto per studenti e ragazzi che devono imparare a valutare con attenzione tutto ciò che si trova in rete, segnaliamo una bella iniziativa che si ripete ogni anno, promossa da “Articolo 21, liberi di…”, un’associazione di giornalisti, giuristi ed economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome). Si tratta di un concorso che propone a studenti delle scuole superiori di rileggere e riscrivere l’articolo 21, quest’anno proprio tenendo conto che “il diritto all’informazione è messo a dura prova - soprattutto nei social network - da campagne di disinformazione”, che minano il “rispetto della persona e dei criteri di obiettività, completezza e trasparenza delle notizie e delle fonti”.
Fake news: cosa significa e quando l’espressione è entrata nell’uso corrente
La locuzione inglese che significa “notizie false” è entrata nell’uso corrente nel primo decennio del XXI secolo per designare “un’informazione in parte o del tutto non corrispondente al vero, divulgata intenzionalmente o inintenzionalmente attraverso il Web, i media o le tecnologie digitali di comunicazione”, secondo la definizione di Treccani.
Il neologismo conosce grande diffusione a partire dal 2016 ed entra nel lessico giornalistico grazie all’impiego che ne fa, come abbiamo ricordato, Donald Trump. Ma l’espressione compare in inglese già nel corso del XIX secolo, come ricorda il sito del dizionario Merriam-Webster, insieme a quella del tutto analoga false news.
Licia Corbolante (in blog.terminologiaetc.it) ricorda che l’adozione di fake news è influenzata da altri due anglicismi già prima diffusi:
- fake, sostantivo che indica siti, documenti o profili social, quindi online, falsi o contraffatti;
- news, usato come sinonimo di notizia, sinceramente evitabile e superfluo.
Inoltre, in italiano il termine fake ha acquisito curiosamente due generi (blog.terminologiaetc.it); il maschile in riferimento al significato appena presentato di sito, profilo o documento online falso (“quella foto è un fake”), e il femminile come abbreviazione di fake news (“quella pubblicata oggi è una fake”) .
Il corrispettivo italiano è bufala
In italiano abbiamo espressioni abbastanza diffuse e che possono tranquillamente essere impiegate in concorrenza con quella inglese; falsa notizia, la traduzione letterale dell’espressione inglese; disinformazione o il termine piuttosto frequente bufala.
A quest’ultima parola Riccardo Cimaglia ha dedicato una riflessione pubblicata nelle pagine di consulenza linguistica del sito dell’Accademia della Crusca.
Sono ovviamente le accezioni figurate del termine quelle che ci interessano, non certo quella zoologica solitamente associata a uno dei prodotti italiani più noti al mondo: la mozzarella di bufala, quella prodotta con latte di bufala e non di mucca, tanto famosa che, per ellissi, semplicemente bufala indica proprio questo formaggio (“Per me una margherita con la bufala”).
Secondo il dizionario Sabatini-Coletti, bufala può però anche significare "notizia clamorosamente infondata, errore madornale" e "produzione artistica noiosa e scadente". Stando al GRADIT di De Mauro, quest’uso è attestato dal 1960 e deriva dal romanesco; secondo altre testimonianze la sua comparsa risala anche a qualche anno prima: Cimaglia stesso l’ha retrodata al 1956 e se ne trova un esempio sicuro in uno sketch con Nino Manfredi in Canzonissima del 1959.
L’origine del significato: due possibili spiegazioni
Ma qual è l’origine di questo significato figurato? La sua genesi sarebbe da ricercare in ambito gastronomico, non con riferimento alla mozzarella di bufala, ma alla carne: dice Cimaglia che “alcuni ristoratori romani disonesti, infatti, avevano il malcostume di spacciare la carne di bufala invece della più pregiata carne di vitella; di qui il termine avrebbe assunto il valore di fregatura e quindi di notizia falsa e di produzione artistica/cinematografica scadente.”
Passando in rassegna altre possibili spiegazioni del termine, Cimaglia conclude, dando per certa l’origine dell’uso in ambito romanesco, che “ora, anche grazie alla rete, da cui vengono diffuse notizie e informazioni che si rivelano poi solo delle... bufale, la parola è d'uso comune sull'intero territorio nazionale”.
Non è d’accordo con la spiegazione di Cimaglia Massimo Arcangeli (in “Perché si dice “bufala”? C'è chi dice che derivi dal romanesco, ma è una fake news”).
Arcangeli riconduce l’origine di bufala a “prendere per il naso” che, in senso figurato, rimanda all’azione compiuta nel tirare un animale che, con l’anello al naso, si lascia guidare senza opporre resistenza. L’immagine è la stessa del mite e ottuso bue (bufalo o bufolo) che, presente in un’espressione già usata nell’Ottocento, popolo bue, definisce qualcuno che è stupido, sprovveduto o ignorante, tanto da comparire in molte espressioni idiomatiche: parco buoi; testa di bue; imparare il bue a mente…
In realtà anche Cimaglia cita questa spiegazione nel suo intervento, quando ricorda come la V edizione del Vocabolario della Crusca (vol. II, 1866) riporti “la locuzione menare altrui pel naso come un bufalo/una bufala, nel senso di ‘raggirare qlcn’ ”.
Insomma, l’espressione nata in un ambito locale, bufala, grazie alla rete, diventa parola usata da tutti a livello nazionale, ma subisce la spietata concorrenza dell’inglese dominante del mondo della comunicazione, specie del web, e così deve fare i conti con le fake news. Da paladini del made in Italy, o meglio dei prodotti tipici italiani, la nostra preferenza ovviamente va alla bufala, e non solo alla mozzarella.
Referenze iconografiche: Alistair Scott/Shutterstock