Intervista a Maurizio Parodi
I compiti delle vacanze sono un ossimoro
Lei è favorevole o contrario ai compiti per le vacanze? Perché?
I “compiti per le vacanze” sono un ossimoro, una contraddizione in termini, un assurdo logico (e pedagogico), giacché le vacanze sono tali, o dovrebbero esserlo, proprio perché liberano dagli affanni feriali: vacanza deriva dal latino vacantia, dal verbo vacare, ossia essere vacuo, sgombro, vuoto, senza occupazioni.
Nessun'altra categoria di lavoratori accetterebbe di prolungare nel tempo libero, e men che mai di svolgere durante le ferie, compiti professionali imposti. Ma è del tutto normale che a una simile pretesa debbano assoggettarsi gli scolari.
Tengo a precisare che sono contrario ai compiti in assoluto, per le ragioni sintetizzate nella petizione: “Basta compiti!” che ha già raccolto quasi 15 mila adesioni.
Perché, allora, vengono assegnati i compiti per le vacanze?
"Perché i ragazzi si esercitino e non dimentichino tutto quello che hanno imparato", così dicono gli insegnanti. Evidentemente si ritiene che gli apprendimenti avvenuti durante l'anno scolastico (soprattutto con lo studio domestico) siano davvero ben poco significativi (allora cosa e come hanno “insegnato” i docenti?). Ma è proprio così: le nozioni ingurgitate attraverso lo studio domestico per essere rigettate a comando (interrogazioni, verifiche...) hanno durata brevissima; non “insegnano”, non lasciano il “segno”, dopo pochi mesi restano solo labili tracce della faticosa applicazione, attivano solo la memoria a breve termine; si tratta di un sapere usa e getta.
Pare accertato che la “permanenza” delle informazioni apprese attraverso l’insegnamento e lo studio domestico non superi i tre mesi, e che il 70% delle conoscenze sia oggi acquisito da parte degli studenti al di fuori della scuola; in altre parole: si impara sempre meno a scuola e si dimentica sempre più in fretta ciò che a scuola si impara.
In base a quale metodologia didattica o a quale idea pedagogica si assegnano i compiti per le vacanze?
Nessuna idea pedagogica, ma una sorta di accanimento didattico nel quale si può ravvisare il richiamo a un'etica dell'abnegazione, del sacrificio (fine a sé stesso) cui si associa il convincimento che lo studio debba essere comunque sofferenza, più o meno inutile, insensata. L’esatto contrario di quello che diceva un grande maestro, Gianni Rodari: “Perché imparare piangendo una cosa che si può imparare divertendosi?”
Più in generale, si pone il problema del rapporto scuola–famiglia con la tendenza dell'una a prevaricare l'altra, a trasformare quella scolastica in un’esperienza totalizzante. Mi spiego. Tutti i docenti rivendicano il rispetto dei ruoli; dicono: gli insegnanti devono fare gli insegnanti e i genitori devono fare i genitori; e i genitori non devono permettersi di dire ai docenti cosa devono fare in classe con i loro studenti. Peccato che siano i docenti a decidere cosa debbano fare i genitori a casa propria, con i propri figli, costringendoli nel ruolo di insegnanti di complemento, controllori, carcerieri, allorché siano obbligati, loro malgrado (e sempre che lo sappiano e lo possano fare), ad aiutare gli “studenti” nello svolgimento degli esorbitanti compiti a casa, o più semplicemente (si fa per dire) a imporne, in modo più o meno violento, l'adempimento. Peccato che siano i docenti a decidere del tempo libero degli studenti e delle loro famiglie, colonizzato, spesso esaurito, dagli impegni scolastici, da uno studio sempre più “matto e disperatissimo”, già a partire dai primi anni di scuola, per effetto della moltiplicazione di insegnamenti e insegnanti, con l'indecente corollario delle “lezioni private” (per chi possa permettersele).
Che utilizzo fanno i professori dei compiti per le vacanze?
Molti nemmeno li controllano (ma allora chi deve verificarne la correttezza?); altri li correggono tutti, sottraendo tempo ed energie a impegni professionali ben più utili e sensati.
Solitamente, gli insegnanti fanno finta di credere che gli alunni amministrino razionalmente i compiti delle vacanze, e si affliggano con metodo, ripartendo il lavoro complessivo nei tanti giorni a disposizione (destinati alle occupazioni più libere e gradite), in un penoso esercizio di quotidiana mortificazione. Ma sanno bene che così non è. Gli studenti più astuti, volitivi, capaci esauriscono nei primi giorni tutti i compiti assegnati, dedicandosi poi con sollievo al godimento della meritata libertà – sempre che il "carico" non sia tale da rovinare tutti i giorni a disposizione (come spesso accade). I meno saggi, i più pigri, i più svogliati rinviano quotidianamente il supplizio, che in questo modo li assilla per tutta la durata delle agognate vacanze, “riducendosi agli ultimi giorni”, durante i quali essi si impegnano in un tour de force che difficilmente esonera i familiari: quei genitori che li hanno tormentati durante tutto il periodo della vacanza, tormentati a loro volta dalle prescrizioni scolastiche. Naturalmente, per i più disgraziati, la consueta reprimenda. Ma che tanto disagio, per non dire sofferenza (pianti, litigi, punizioni...), serva a qualche cosa, nessuno si è mai peritato di verificarlo.
Quali possono essere le alternative ai compiti per le vacanze?
Semplice. Non assegnarli, per le ragioni già espresse e riassunte nella lettera che consegnai all'insegnante di mio figlio quando ancora frequentava la scuola primaria.
Con la presente informo che mio figlio non svolgerà i compiti assegnati per le vacanze,
- perché come tutti i lavoratori (e quello scolastico è un lavoro oneroso e spesso alienante) ha “diritto al riposo e allo svago” – diritto inalienabile sancito dall’Articolo 24 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo;
- perché le vacanze sono degli studenti e non (solo) dei docenti, ai quali nessuno si permetterebbe di infliggere un simile castigo;
- perché così potrà finalmente dedicarsi, senza l’assillo di magistrali incombenze, a occupazioni creative e ricreative, dalla scuola trascurate o ignorate;
- perché insieme potremo fare piccole e grandi cose, divertenti, appassionanti, quelle che l’impegno scolastico (protraendosi a dismisura oltre l’orario di lezione) non permette;
- perché starà con gli amici al mare, in montagna, nella natura, all’aria aperta dopo essere stato recluso per ore, giorni, mesi (interminabili) in aule anguste, disadorne, quando non addirittura squallide, asfittiche (vere e proprie aree di compressione psichica);
- perché leggerà per piacere e non per dovere;
- perché giocherà moltissimo;
- perché voglio fare il genitore e non l'insegnante di complemento, il carceriere, l'aguzzino. La responsabilità di tale decisione è solo mia e l’assumo in quanto legittimo esercente della potestà famigliare, perciò non potrà essere motivo di qualsivoglia azione o provvedimento, men che mai disciplinare.
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