L’italiano al servizio della matematica
Spunti e riflessioni per ragionare sul linguaggio scientifico
Può il docente di lettere favorire un miglior apprendimento della matematica? «Ovvio», verrebbe da dire, «visto che anche la matematica si studia generalmente nella lingua ufficiale». Ma il supporto potrebbe essere decisamente maggiore se gli insegnanti di lettere tenessero ben presenti alcune peculiarità dello studio della matematica e delle discipline scientifiche in generale.
L’argomentazione
Partiamo da una diversa sfumatura sull’argomentazione. In un testo di italiano, quando ad alunni e alunne viene chiesto di argomentare, ci si aspetta che riportino più punti di vista riguardo a una determinata tesi. In matematica, la capacità di argomentare correttamente comincia con la capacità di mettere sul tavolo più possibilità, valutare la loro correttezza e la sostenibilità, avere il coraggio di scartarne molte e arrivare a una sintesi che nasce dalla pulizia e dalla chiarezza del pensiero, magari conservando una sola idea di quelle iniziali. In entrambi i casi è richiesta la coerenza logica, ma in matematica è richiesto anche un importante esercizio di sintesi, di una sintesi che nasce dall’uso di vocaboli con significati propri ben precisi.
La brevità della spiegazione, se corretta nell’uso dei termini e dei concetti, è considerata un pregio. La storia stessa della matematica insegna che, con l’evolversi della disciplina, il linguaggio si è affinato ed è diventato essenziale. È interessante vedere con quante parole Euclide descrivesse i suoi postulati, mentre oggi gli stessi vengono presentati in una sola riga e sono molto più chiari e inequivocabili.
Sarebbe quindi importante educare alunne e alunni a sintesi estreme che però racchiudano tutti i concetti portanti: formulare una frase per le slide, il motto di un progetto, la rappresentazione di un’attività in poche righe… Non sempre accorciare è più facile che allungare, soprattutto se si devono conservare alcuni contenuti indispensabili. Ma saper accorciare bene denota chiarezza mentale in merito all’argomento trattato.
Significato e contesto
Sarebbe molto utile, inoltre, far capire a studentesse e studenti che un vocabolo può cambiare significato a seconda del contesto in cui lo si usa, che esiste quindi un linguaggio specifico delle discipline che a volte non è così generico come quello di uso comune.
Prendiamo per esempio la parola equivalente. In italiano significa che ha lo stesso valore. Per esempio, “non ti do del denaro ma ti do l’equivalente in prodotti del mio orto”. Ma in algebra, due frazioni sono equivalenti se rappresentano lo stesso numero razionale; in geometria due figure sono equivalenti se hanno la stessa area e, quindi, anche un triangolo e un quadrato potrebbero essere equivalenti fra di loro. Analogamente in chimica, in fisica, la parola “equivalente” assume molteplici significati, a seconda dell’ambito in cui ci si trova. Sarebbe importante individuare alcune parole che in base al contesto hanno accezioni diverse (per esempio: rapporto, tra persone, fra due numeri, come relazione finale; divisione, discordia, divisione fra due numeri, divisione come settore dei ministeri o delle forze armate, divisione dei beni; punto, vertice…) e analizzarle nei loro molteplici usi. Questo esercizio semantico potrebbe favorire un approccio più consapevole allo studio dei vocaboli scientifici o, in generale, allo studio dei vocaboli contestualizzati.
Leggere la matematica come la poesia
Lo studio della lingua e della letteratura italiana offre, inoltre, un’ottima opportunità per favorire la lettura di un testo di matematica. Può il teorema di Pitagora essere letto con la stessa enfasi di una poesia di Ungaretti? Sì, anzi deve essere letto come una poesia, con le pause al posto giusto e con l’accento su alcune parole chiave. Invece, troppo spesso, il libro di matematica viene letto in un modo così piatto che lascia trasparire il desiderio di finire la lettura nel minor tempo possibile.
Nello studio di una poesia si comincia con l’analisi strutturale, poi si procede con la parafrasi, con l’analisi semantica e stilistica cercando di capire il valore di ogni vocabolo. Così dovrebbe essere anche in matematica. L’insegnante di lettere può aiutare a capire che questo approccio vale ogni volta che si presenta un linguaggio di sintesi, un po’ “ermetico”, in cui la lettura acquista significato pieno solo dopo la comprensione della struttura del testo e di ogni termine o simbolo.
Le ripetizioni
Un ulteriore aspetto a cui porre molta attenzione sono le ripetizioni. Chi di noi, da studente, non ricorda il segno rosso dell’errore se la stessa parola compariva in due righe vicine? E allora si cercavano altri vocaboli, a volte un po’ meno efficaci, ma che consentivano di non ripetersi. Nel descrivere un alpeggio, per non creare ripetizioni, al posto di mucca, si può usare il termine più generico di bovino. Ma se in geometria, per evitare ripetizioni, si usa la parola quadrilatero al posto di quadrato, si rischia di cambiare significato. Infatti, il quadrato è un quadrilatero ma con alcune caratteristiche specifiche: ha tutti i lati e tutti gli angoli congruenti. La generalizzazione fa perdere la peculiarità di quell’elemento geometrico e crea confusione. Pertanto, il divieto delle ripetizioni andrebbe dichiaratamente circoscritto e motivato in base ai contesti, riconoscendone invece la necessità in contesti scientifici dove ogni vocabolo ha una sua specificità.
L’uso di quantificatori e connettivi logici
L’aspetto più critico riguarda però l’uso di quantificatori e connettivi logici; in particolare, quelli di cui parleremo sono la negazione, la congiunzione e la disgiunzione, l'implicazione e la doppia implicazione.
a. La negazione
Nello studio della lingua italiana, si punta molto sull’uso dei contrari. Non a caso esiste addirittura il dizionario dei sinonimi e dei contrari. Purtroppo, a volte si generano misconcetti, ovvero interpretazioni personali delle procedure e dei concetti che portano ad applicare in modo corretto procedure scorrette. Infatti, in questi casi, l’errore non nasce da negligenza o mancanza di studio, ma dall’aver imparato in modo errato, spesso usando analogie e generalizzazioni in contesti totalmente differenti. Sono molti gli alunni che confondono la negazione di un’affermazione con il suo contrario e arrivano a pensare che se non è bianco, è nero. Ma non è così. In matematica si lavora molto sul valore di verità di una proposizione: vero o falso. È un approccio completamente diverso, soprattutto quando ci sono di mezzo i connettivi e i quantificatori. Infatti, è facile valutare la correttezza di una proposizione semplice, ma non è così immediato studiarne la validità se è preceduta da una negazione o unita a un’altra da una congiunzione.
Per esempio
Prendiamo per esempio la frase “Tutti hanno fatto i compiti”. La negazione di questa frase non è “Nessuno ha fatto i compiti”, bensì “Non è vero che tutti hanno fatto i compiti” e quindi c’è almeno un alunno che non li ha fatti. La negazione di tutti non corrisponde a nessuno, ma corrisponde a più situazioni, nelle quali c’è almeno un elemento che non si comporta come tutti (potrebbero essere anche due o tre o più).
Viceversa, se neghiamo la frase “Nessuno ha fatto i compiti”, intendiamo dire che c’è almeno uno studente che li ha fatti, ma non necessariamente tutti. Se, infine neghiamo la frase “Qualcuno ha fatto i compiti”, significa che non è vero che qualcuno ha fatto i compiti e quindi che nessuno li ha fatti.
La situazione si complica di fronte a una doppia negazione: “Non è vero che tutti non hanno fatto i compiti”. In questo caso c’è qualche studente diligente che ha fatto i compiti.
b. I connettivi logici “e”/“o”
Altro punto critico è costituito dai connettivi logici “e”/“o”. Rispetto al connettivo “e”, a tutti è chiaro che se ci sono due condizioni devono valere entrambe. Sul connettivo “o” c’è qualche problema in più. Infatti, “o” significa: o uno o l’altro o entrambi.
Per esempio
Se considero un numero divisibile per 2 e per 3 allora posso affermare che è divisibile per 6. In questo caso è chiaro a tutti che non posso prendere 16 perché non è divisibile per 3, o 27 perché non è divisibile per 2: il numero scelto deve essere divisibile sia per 2 che per 3.
Invece, se considero un numero divisibile per 6 o per 9, posso dire che è divisibile per 3. In questo caso posso prendere multipli solo di 6 e non di 9 (es. 24), solo di 9 e non di 6 (es. 27) o multipli di entrambi (es. 36). In tutti questi casi, i numeri che scelgo vanno bene.
C’è infine un “o” esclusivo, l’aut latino: o uno o l'altro, ma non entrambi. In italiano la differenza si è un po’ persa. In genere quando si vuole essere esclusivi si ripete il connettivo due volte.
Dal punto di vista grafico, i diagrammi di Venn rendono bene la differenza.
L’insegnante di italiano potrebbe rafforzare la conoscenza di obblighi e possibilità di scelta di fronte ai connettivi logici al fine di poter utilizzare in modo corretto le informazioni della proposizione composta.
Esempio di diagramma di Venn
c. Le implicazioni
Infine, sempre nell’ambito dell’attribuzione di un valore di verità alle proposizioni, in italiano si tende a confondere le varie implicazioni e a fare delle inferenze scorrette.
Per esempio
Se io affermo: “Se piove prendo l’ombrello”, come mi devo comportare se non piove? Quando questa proposizione è vera? Alunne e alunni tendono a dire “Se non piove non prendo l’ombrello”. In realtà non è così. Ho solo specificato cosa farò in caso di pioggia e per essere credibile (cioè VERO) se piove devo uscire con l’ombrello. Se non piove posso scegliere di uscire con l’ombrello o meno, senza contraddire quanto detto.
Diverso è se io dicessi “Soltanto se piove prendo l’ombrello”. In questo caso il vincolo per uscire con l’ombrello è chiaro: solo se piove. Se, invece, prendo l'ombrello quando non piove sono in contrasto con la mia affermazione (sono FALSO).
Queste due situazioni, in matematica, rappresentano l’implicazione semplice e la doppia implicazione. Nel primo caso, potrei avere l’ombrello anche in caso di tempo sereno (implicazione semplice); ciò che non posso fare è uscire senza ombrello quando piove. Nel secondo caso ombrello e pioggia vanno sempre assieme: se piove, ho l'ombrello, se ho l’ombrello, piove (doppia implicazione).
Esercizi come questo sono particolarmente difficili, soprattutto per alunne e alunni stranieri, e richiederebbero un po’ di allenamento perché stanno alla base delle dimostrazioni di matematica, in cui si chiede di dichiarare se una tesi è vera partendo da proposizioni composte. Sarebbe importante lavorare sul nuovo significato che assume, in termini di contenuto, una proposizione composta rispetto alle proposizioni di partenza. Saranno poi i docenti di matematica a proporre le schematizzazioni adeguate per capire come valutare la correttezza di un'affermazione, ma sarebbe utile partire con studenti che abbiano chiaro il ruolo dei connettivi logici e dei quantificatori. In caso contrario, i modelli proposti rischierebbero di essere vissuti come un gioco, senza alcun collegamento al testo di partenza.
Conclusione
L’ultimo servizio che i docenti di lettere potrebbero rendere nei confronti della matematica sarebbe quello di non dire più: “Io di matematica non ho mai capito nulla!”. È frequente sentire questa espressione pronunciata da persone colte e preparate che prendono le distanze dalla propria formazione matematica. Ma questo non fa che aumentare il divario fra la cultura umanistica e quella scientifica, portando quasi l’alunno e l’alunna a dover scegliere, quando invece, queste due culture avrebbero molto da donarsi a vicenda, non solo rispetto al linguaggio ma anche dal punto di vista logico e metacognitivo.
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