La bambina che leggeva i giornali
Racconto ispirato a una storia vera
La storia della giovane lettrice di quotidiani, protagonista del racconto, è lo spunto per affrontare in classe un percorso di lettura più articolato e complesso, che allarghi lo sguardo anche al contesto in cui viviamo, fatto soprattutto di notizie in rete, di siti e social che diffondono informazioni, di grandissime aziende che sono in possesso e gestiscono i cosiddetti big data e che possono condizionare non solo il modo in cui le notizie sono diffuse ma anche la vita concreta di cittadini e stati. A fine articolo proponiamo alcuni suggerimenti di lettura su questo tema.
In quel piccolo villaggio tra le montagne nessuno sapeva leggere a parte il Chato. E il Chato l’aveva insegnato alla sua nipotina, Sofia. Era il 1932 e il piccolo villaggio si trovava in mezzo a due grandi nazioni che non andavano d’accordo tra loro: la Bolivia e il Paraguay. C’era aria di guerra, ma non si capiva bene perché. Si pensava che tra quei monti si nascondesse il petrolio, o, meglio, qualcuno aveva messo in circolazione l’idea che ci fosse il petrolio e, da quando la voce aveva cominciato a girare, sempre più persone ci avevano creduto, anche se poi, magari, il petrolio non c’era affatto. E mentre, lontano da lì, si discuteva di queste cose, in quel piccolo villaggio la vita non era cambiata molto.
Alla mattina si andava tutti al lavatoio, nella piazza centrale del paese, il Chato prendeva la sua sedia pieghevole di legno, la metteva sotto al fico, faceva sedere Sofia sulle ginocchia e la invitava a leggere il giornale per tutti gli altri. Il giornale era un grande pezzo di carta, piegato quattro volte. Si chiamava Los Andes ed era un giornale molto importante, fondato nel 1883 da Adolfo Calle in Argentina (e se questi nomi non vi dicono niente, non preoccupatevi, anche per la piccola Sofia era così, ma sapeva che erano importanti perché il nonno, ogni volta che li pronunciava, si gonfiava in petto e nello scandire le parole ”Adolfo Cile” e “Argentina” usava il suo fiato migliore).
All’inizio, i primi giorni in cui il Chato le fece leggere le notizie per il villaggio, Sofia leggeva lentamente, una lettera per volta, ed era un po’ faticoso stare lì ad ascoltarla (ma nessuno protestava, perché era la nipote del Chato) poi, giorno dopo giorno, ci prese gusto, le lettere divennero parole, le parole frasi e con la confidenza nella lettura la sua vocina si fece forte e squillante. E il suo pubblico attento.
Li si poteva vedere, dalle espressioni che facevano, quanto erano attenti. Quando c’era una certa notizia, come quella delle dive del cinema, o dei grandi incontri in ambasciata, le donne del lavatoio si fermavano ad ascoltare, senza perdere una sillaba. Alcune, poi, riprendevano a lavare sorridendo, perché se l’erano immaginata proprio così. Altre si guardavano tra loro, stupite. O sognanti. E chissà com’era, poi, questa ambasciata.
Dopo certe altre notizie, invece, i vecchi del paese, seduti sui muretti di calce, incuranti del sole, come se nessun caldo o freddo potesse ormai penetrare la loro pelle indurita e i cappelli di lana, si giravano invece a guardare il Chato, per essere sicuri che la notizia fosse giusta. Lui annuiva, serio. Sofia stava leggendo bene. La notizia era giusta. I vecchi, allora, o annuivano o scuotevano il capo, a seconda della notizia. Anche loro certe cose le sapevano già. E altre sapevano da che parte sarebbero andate. Era la vita, andava sempre a finire nello stesso modo e loro la conoscevano meglio di tutti gli altri.
Così, tra gli sguardi e le occhiate, Sofia poteva finire tutto quanto il giornale, fino alle pagine dello sport, dove si parlava delle Olimpiadi (si tenevano a Los Angeles, Los Angeles era negli Stati Uniti e gli Stati Uniti erano per alcuni un grande amico che avrebbe portato dollari e, per altri, un grande nemico che avrebbe portato via tutto). Le notizie che piacevano di più, però, erano quelle sul calcio: tutti avevano giocato a calcio nella piazza del lavatoio e tutti avevano seguito l’eterna sfida tra le due grandi squadre del Sud America, il Boca Junior e il River Plate (anche se il Chato aveva sempre tifato, chissà perché, per il San Lorenzo de Almagro).
Alcune notizie del giornale erano molto belle e misteriose, come quelle di Clark Gable e Greta Garbo che andavano al Festival di Venezia. In pochi erano stati al cinema, solo due persone avevano visto Greta Garbo e nessuno Venezia, e solo al raccontare di come potesse essere stata quella visita trascorrevano intere giornate. Altre erano strane e confuse, come quelle su Franklin Delano Roosvelt, che era diventato il nuovo presidente degli Stati Uniti. Per capire bene se era un bene o un male, il Chato a volte gliele faceva leggere due volte. Altre, poi, erano semplicemente brutte, come quelle che riguardavano Daniel Salamanca, il presidente della Bolivia. Lui al petrolio ci credeva, lo voleva ed era pronto a fare una guerra. Le donne non ascoltavano. I vecchi scuotevano il capo. Sofia leggeva senza capire, e spesso il Chato le consigliava di saltare alla notizia successiva. Nessuno voleva sentir parlare di una possibile guerra.
Un giorno il giornale non arrivò e nemmeno quello dopo. Si dovettero aspettare tre giorni per avere una copia nuova del Les Andes. Ed era del giorno prima. Che cosa era successo? Quando il Chato lo prese in mano e lesse velocemente il titolo in prima pagina, lo capì subito. Corse lui stesso sotto il fico a chiamare tutti gli altri. Chiamò anche gli uomini che di solito andavano a lavorare nei campi o con gli animali. Tutti dovevano sentire. Disse loro, agli uomini, che presto sarebbero dovuti partire. Sulla prima pagina del Les Andes era scritto che l’esercito di Daniel Salamanca marciava invincibile, con tanto di carri armati, nel territorio del Paraguay e che presto sarebbe arrivato. Dietro di lui, o meglio, con lui, c’era una compagnia del petrolio americana. Quindi avevano ragione quelli che non si fidavano, degli americani e delle loro belle Olimpiadi? Non poteva essere vero. Era solo una notizia. E non sempre le notizie sono vere. Però, il giorno dopo, tutti gli uomini del paese salirono sopra un vecchio camioncino. L’autista aveva una divisa stropicciata e una dozzina di fucili rotti. Il papà di Sofia, prima di partire, la strinse forte e le disse: pensa tu al Chato e alla mamma.
La settimana dopo il giornale non arrivò proprio. E comunque nessuno aveva voglia di sedersi ad ascoltare le notizie. Ascoltavano il cielo, il vento, la polvere. Le nuvole lontane avevano il colore del ferro. Di tanto in tanto si sentivano come dei temporali, ma non pioveva. E i vecchi dicevano, sottovoce, che quelli erano i carri armati.
Dopo un’altra settimana senza Les Andes, il Chato disse: «non arriverà più».
Nel villaggio, o meglio, sopra al villaggio, si stese come una patina di tristezza. Protetti dalla lunga strada impervia che bisognava fare per raggiungerli, rimasero come tagliati fuori da quanto accadeva intorno a loro. Ma non sempre essere tagliati fuori è una buona notizia.
Fu allora che Sofia si ricordò della cassapanca in cui avevano messo da parte tutti i vecchi giornali. Annate e annate di Les Andes, che il Chato aveva religiosamente ripiegato uno sopra l’altro, in ordine di data, dal più vecchio al più nuovo. Li andò a prendere, levò tutte le pagine che avevano delle fotografie (perché le fotografie si ricordavano bene) e lisciò le altre con il ferro da stiro. Si fece un giornale tutto nuovo, usando le pagine di quelli vecchi.
E la mattina successiva corse sotto al fico, prese la sedia del nonno e gridò: «buone notizie!»
Dovette gridarlo almeno dieci volte, prima che le donne e i vecchi del paese si decidessero a uscire dalle loro case per andarle a sentire. Anche il Chato. Sofia iniziò a leggere, molto lentamente, quasi come faceva quando aveva iniziato a leggere il giornale per tutti. A poco a poco prese confidenza e la sua vocina si fece forte e squillante. La guerra andava bene, diceva il giornale. Salamanca arretrava. Gli Uruguagi stavano vincendo. «E Roosvelt cosa dice?», domandarono alcune persone del villaggio. Sofia fece finta di controllare sulle pagine e poi, piano piano, lesse: «Roosvelt si scusa! A quanto pare, non c’è nessun petrolio!» Alcune donne lanciarono un grido. Altre sorrisero. Una disse: «l’avevo detto che non c’era». I vecchi, invece, guardavano il Chato. E il Chato, all’inizio, non diceva niente. Ascoltava, assorto. Teneva gli occhi socchiusi, e i granelli di sabbia si impigliavano sulle sue lunghissime ciglia.
Poteva sentire le loro domande anche se non le stavano facendo: «Allora, Chato, cosa ne pensi? Sono giuste, queste notizie?», «Come mai non ci sono fotografie su quel giornale, Chato?» Ci pensò un po’. A parte Sofia, lui era l’unico nel paese che sapesse leggere. Si alzò e disse: non ci sono le fotografie perché siamo in tempi di guerra, e le fotografie costano. E, così, diede la sua pubblica benedizione. Poi mise una mano sulla spalla della nipotina, la accompagnò a casa e disse: «forza!»
Da quel giorno, il Chato e sua nipote si inventarono il giornale per la mattina successiva. A volte, se al villaggio non saliva nemmeno una motoretta, dicevano che non era arrivato, altrimenti erano loro a decidere le notizie più importanti. Secondo la versione di Les Andes che si poteva ascoltare dalla sedia sotto al fico ormai la guerra era questione di poche settimane, la vittoria sarebbe stata un trionfo, Greta Garbo stava girando un film a Buenos Aires e, con grande sorpresa di tutti, il San Lorenzo de Almagro rischiava di vincere il campionato di calcio.
Più leggevano le loro notizie, più quella cappa grigia che si era stesa sopra al villaggio si sfilacciava e le persone del villaggio sembravano contente. Anche l’attesa sembrava più bella. E a un certo punto la guerra finì per davvero. E per davvero Salamanca fu sconfitto e l’esercito boliviano dovette ritirarsi, con tutti i suoi carri armati e i dollari americani. Il petrolio non c’era. Gli uruguagi avevano vinto. Era tutto vero, tutto come lo avevano inventato il Chato e sua nipote. Quasi tutto: il Boca Junior aveva vinto il campionato. Gli uomini che qualche mese prima erano partiti sul camioncino tornarono al paese. Non tutti, però. Il papà di Sofia tornò a piedi.
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