Un profilo di Luigi Einaudi
Economista e secondo Presidente della Repubblica italiana
Nel 1945 l’Italia esce dal secondo conflitto mondiale vittoriosa, ma devastata. Sale al potere un governo centrista guidato dal deputato democristiano Alcide De Gasperi (Presidente del Consiglio dei ministri dal 1946 al 1953) e sotto il suo governo vengono adottate diverse misure di natura politico-economica volte alla ricostruzione del Paese. Il loro esecutore è Luigi Einaudi (1874-1961), già giornalista economico (La Stampa, Il Corriere della Sera, The Economist), professore universitario (a Torino e a Milano) e, dopo la caduta del regime fascista che lo aveva costretto all’esilio a causa delle sue idee liberali, Governatore della Banca d’Italia (1945) e Ministro delle Finanze e del Tesoro (1947).
Il suo indirizzo di politica economica viene denominato linea Einaudi e prevede la stabilizzazione della lira in vista di un’apertura verso il mercato internazionale e l’incentivazione del risparmio per gli investimenti, al fine di innescare un circolo virtuoso che porti a un’accumulazione di capitali, a un incremento del reddito prodotto dalle imprese e, di conseguenza (come poi di fatto avverrà), a un amento dell’occupazione e del prodotto nazionale. Per realizzare il suo programma, in primo luogo, Einaudi deve combattere l’inflazione, il cui tasso ha raggiunto livelli preoccupanti già alla fine della guerra. Grazie a una serie di manovre finanziarie (aumento delle riserve obbligatorie e del tasso ufficiale di sconto), riesce ad arginarla e a ottenere un miglioramento della bilancia dei pagamenti, permettendo in tal modo all’Italia di inserirsi con successo nel mercato estero.
In secondo luogo, Einaudi cura l’attuazione del Piano Marshall (European Recovery Program, 1947), il piano di aiuti finanziari per la ripresa economica europea elaborato dal segretario di Stato americano George C. Marshall. Sotto una prospettiva geopolitica, l’adesione al Piano Marshall comporta la definitiva collocazione dell’Italia tra gli Stati appartenenti al c.d. “blocco occidentale” (l’insieme delle nazioni che, durante la Guerra Fredda, sono alleate con gli Stati Uniti, in contrapposizione al “blocco orientale”, che include i Paesi allineati con l’U.R.S.S.). Privilegiando le esigenze dell’industria (il denaro americano è speso in gran parte per la ripresa e/o creazione dell’industria meccanica, petrolchimica, siderurgica ed edile), Einaudi pone le basi e conduce alla realizzazione del c.d. miracolo economico italiano, ovvero quel breve periodo nella storia contemporanea italiana (1958-1963) caratterizzato da una rapida e straordinaria ripresa finanziaria ed economica (in tali anni il Pil cresce attorno al 7% annuo) che non solo trasforma l’Italia da Stato essenzialmente rurale in una delle principali potenze economiche occidentali, ma promuove anche lo sviluppo sociale della popolazione.
Nel 1948 Einaudi diventa Presidente della Repubblica (1948-1955). Nonostante la rilevanza dei ruoli politici ricoperti, Einaudi si reputerà sempre un economista o, come a lui stesso piace definirsi, il “consigliere dell’uomo di governo” per la soddisfazione dei bisogni pubblici.
Il pensiero economico di Einaudi trae ispirazione dai grandi classici della tradizione liberale, in particolar modo J.S. Mill, del cui saggio Sulla libertà (1859) scrive la prefazione all’edizione italiana curata da Piero Gobetti (1925). Tra gli economisti suoi contemporanei, apre un intenso e fruttuoso dialogo con Wilhelm Röpke, che bilancia l’individualismo tipico del pensiero liberale con i principi di collettività e solidarietà. Come Röpke, Einaudi individua le ragioni della crisi della civilizzazione occidentale del XX secolo nella trasformazione della “economia della concorrenza” in “capitalismo storico”, ovvero, quella forma di capitalismo posta in essere tra il 1840 e il 1940 che vede nel laissez-faire la dottrina di per sé sufficiente a mantenere in vita un’economia fondata sulla libera concorrenza.
Einaudi sostiene che l’ordine giuridico e l’ordine morale sono presupposti necessari e imprescindibili, non semplicemente per godere dei benefici del libero mercato, ma per garantirne la sopravvivenza. Egli pertanto, come Röpke, propone una “terza via” (1942), distante sia dal puro liberismo sia dal collettivismo: un’economia ordoliberale, ovvero, un’economia di mercato concorrenziale inserita in una cornice normativa, che limiti le concentrazioni monopolistiche e promuova la giustizia sociale attraverso un’equa politica redistributiva, mantenendo pur sempre fermo l’incentivo dello spirito imprenditoriale. In qualità di membro dell’Assemblea costituente, nel 1946 propone di aggiungere al testo costituzionale una clausola antimonopolistica che, tuttavia, viene rigettata.
Il liberismo economico di Einaudi poggia, dunque, su una filosofia liberale. A suo parere, lo Stato ha non solo il compito di garantire ai cittadini l’uguaglianza di condizioni di partenza al fine di permettere a tutti di partecipare ai giochi della libera concorrenza, ma anche la facoltà di porre ad essa dei limiti nel momento in cui generi forme di produzione incompatibili con il sistema liberale stesso, conduca a disuguaglianze eccessive, o riduca la popolazione in stato di povertà.
Come ricordato nel 2006 da Mario Draghi, allora Governatore della Banca d’Italia, in una comunicazione presso l’Ambasciata italiana a Londra, Luigi Einaudi è stato un intellettuale, prima che un politico e un tecnico dell’economia. Ha sostenuto sempre “la bellezza della lotta” (1924), non solo nella competizione economica, ma anche nella dialettica delle idee. Secondo Einaudi, il progresso non risiede nell’uniformità che, a suo parere, rappresenta un fattore di decadenza, ma nella varietà, nel contrasto e nel dialogo costruttivo. Analogamente a quanto da lui sostenuto per la concorrenza in economia, anche la preservazione della varietà implica la necessità di porre una cornice etico-giuridica che, nel rispetto dei reciproci diritti, permetta alle persone di sviluppare convinzioni e stili di vita diversi.
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