Dalla filosofia si apprende che nella vita tutto scorre e non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, perché ogni esperienza è soggetta nel tempo a mutamenti inevitabili. Dalle scienze, invece, si può imparare che nelle droghe e nelle piante medicinali tutto cambia e, per esempio, non si può mai bere due volte lo stesso caffè. Quello che bar, moka e distributori ci offrono è infatti la combinazione di mille variabili, dal luogo in cui si coltiva la pianta fino al modo con il quale si prepara la bevanda e questo ha conseguenze che spaziano dalla salute alla gastronomia.
Uniformità o variabilità?
Partiamo dalle conclusioni: quando si parla di piante portiamo in tavola ingredienti e cibi dalla composizione chimica estremamente variabile, che per medicina e gastronomia conducono a due esiti opposti. Per la prima la variabilità è un problema da evitare, per la seconda è il cardine fondante delle tipicità geografico-culturali e dell’esperienza sensoriale. La prima, per garantire effetti salutari certi e ripetibili per tutti, spinge verso l’uniformità, mentre la seconda esalta la diversità. Non c’è necessariamente conflitto tra le due visioni, basta esserne consapevoli e usare in modo onesto i dati in funzione del contesto.
Un tema da inchiesta
Si parlava di caffè. Nella primavera del 2014 un’indagine della trasmissione televisiva Report ha descritto il percorso del caffè dalla piantagione al bancone del bar illustrando le differenze commerciali o di trattamento industriale tra diversi tipi e marche di caffè. Il programma ha spiegato aspetti economici ed etici, ma anche la variabilità nella lavorazione e nella gestione della macchina da espresso al bar, toccando il tema della qualità organolettica nel senso gastronomico del termine. È stato anche intervistato un esperto che ha indicato i vantaggi attribuiti al caffè nella prevenzione di patologie cardiovascolari e di alcuni tumori.
Tra benefici ed effetti sgraditi
Le indicazioni date dall’esperto coincidono con quello che sanno nutrizionisti e medici: il caffè è effettivamente capace di agire sul sistema nervoso, aumentando lo stato di veglia e modulando l’umore grazie all’alcaloide caffeina. Inoltre, se assunto regolarmente ma in dosi moderate per limitare gli effetti collaterali della caffeina, può ridurre il rischio di contrarre malattie metaboliche o degenerative come diabete, morbo di Alzheimer e alcuni tumori grazie a miscele di polifenoli, tra i quali spiccano i derivati dell’acido clorogenico. Quanto sia forte l’azione, quale sia l’entità dei vantaggi per la salute e quale l’impatto degli effetti collaterali, tuttavia, dipende sì dal numero di caffè assunti, ma soprattutto dalla quantità di sostanze chimiche in essi contenute. Tra i consigli dei nutrizionisti si trova per esempio l’indicazione di non bere più di 2-3 caffè al giorno, per evitare effetti sgraditi come ipereccitabilità, insonnia, tachicardia e gastrite. Per alcune categorie a rischio, come le donne in gravidanza, la caffeina è contingentata a 200 mg al giorno e nel doping sportivo essa è sottoposta a precisi limiti: nelle urine degli atleti non sono ammessi più di 12 microgrammi per millilitro di caffeina.
Un pieno di molecole
Sia gli effetti sul gusto sia quelli benefici o collaterali non sono dovuti al caffè come entità astratta, ma alla tipologia e alla precisa quantità di sostanze chimiche che esso contiene. Il caffè, come qualsiasi altro preparato a base di erbe, non è infatti un’entità magica ma una soluzione acquosa di molte sostanze, tra le quali spiccano proprio caffeina, polifenoli e sostanze volatili. Mentre polifenoli e caffeina sono presenti già nel seme prodotto dalla pianta, le sostanze volatili che conferiscono l’aroma al caffè si generano durante la tostatura dei chicchi. Non si tratta di sostanze del tutto naturali, ma del prodotto di trasformazioni operate dall’uomo e pertanto la loro presenza dipende sia dal tipo di seme di partenza sia dallo stile della tostatura. Anche i polifenoli, che influenzano il sapore amaro e sono ritenuti responsabili di vari effetti benefici, calano drasticamente in base all’entità della tostatura e quelli che troviamo nella tazzina non sono identici agli originali prodotti dalla pianta. Una conseguenza è che un caffè molto tostato, come quello italiano, offre vantaggi per la salute minori di quello anglosassone, che subisce una tostatura più blanda. La quantità di caffeina, invece, non cambia con la torrefazione, ma con la fonte: il caffè della varietà robusta contiene fino a 4 volte più caffeina dell’arabica, ma genera un aroma meno intenso.
Una tazzina, tanti caffè
Tutte insieme, queste variabili influenzano fortemente il caffè che beviamo e sebbene permettano di ottenere prodotti molto diversi tra loro come sapore e come aroma, non consentono di sapere con precisione quanta caffeina e quanti polifenoli si assumono con un espresso, ovvero rendono difficile prevedere gli effetti di un caffè. Per esempio, come si può determinare se si assumono più o meno di 200 mg di caffeina al giorno? E come si può prevedere il superamento del limite antidoping? E se volessimo conoscere i consumi medi di caffeina e polifenoli in un’intera popolazione, basterebbe contare i caffè bevuti ogni giorno? È molto difficile, perché dovremmo effettuare analisi precise e complicate per ogni tazzina bevuta. Quando alcuni ricercatori hanno analizzato i caffè serviti in diverse città nel mondo, si è avuta la conferma: nei bar non si beve mai due volte lo stesso caffè. La caffeina assunta con una singola tazzina può variare da 100 a 270 mg a Glasgow, da 100 a 130 a Pamplona, da 70 a 130 a Parma, da 260 a 560 a Baltimora, da 25 a 210 a Melbourne. In vari casi basterebbero già due caffè a superare i limiti. Al tempo stesso, i polifenoli responsabili di amaro e salute possono variare da 7 a 160 mg, determinando una maggiore o minore protezione dalle malattie citate. In particolare, le differenze finora elencate per la fonte vegetale sono amplificate dal modus operandi del barista, spesso legato al gusto locale: grado di macinatura, pressione dell’acqua, quantità di caffè e grado di pressatura, contribuiscono a determinare grandi variazioni nel contenuto di composti estratti nel caffè che beviamo.
La difficile interpretazione degli studi clinici
Non ci sono colpe per questo: fa parte del normale stato delle cose quando si parla di piante medicinali ed è una delle grandi differenze tra queste e i farmaci veri e propri, nei quali le molecole attive sono calibrate in modo regolare per ogni dose. Al tempo stesso, tutte queste variabili sono la leva sulla quale baristi e gastronomi agiscono per conquistare il nostro palato di consumatori e quanto descritto nel caffè avviene anche nel tè, nel cacao, nelle spezie e in qualsiasi tisana; le differenze chimiche corrispondono a un grande caleidoscopio di gusti, profumi e sapori ma anche a una grande diversità nelle risposte fisiologiche dell’organismo. Tutto questo ha ricadute anche nel modo in cui i medici studiano gli effetti benefici di questi prodotti. Se condotto senza una misurazione precisa delle doti chimiche del caffè e senza una spiegazione dettagliata della procedura seguita per prepararlo, uno studio medico sugli effetti dell’espresso nell’uomo fornirebbe una risposta irripetibile e impossibile da generalizzare a tutti i consumatori. In alcuni casi questo potrebbe portare anche ad errate conclusioni. Per esempio, uno studio sugli effetti della caffeina assunta con l’espresso dagli abitanti di Glasgow potrebbe dare risultati non validi per quelli di Parma, dato che il contenuto di questa sostanza tra le due città risulta molto diverso. Come anticipato, l’uniformità dei prodotti e delle procedure destinate allo studio scientifico delle piante si armonizza con difficoltà con la necessità gastronomica di creare gusti unici, che vadano incontro alla necessità di soddisfare palati diversi in nazioni diverse. Non esistono vincenti e perdenti, giusto o sbagliato: solo necessità di conoscere a fondo cosa si sta facendo e perché.
Due piante per un caffè
Il normale caffè è dato dalla tostatura dei semi di due diverse specie, Coffea arabica e Coffea robusta, coltivate in diverse parti del mondo. La prima possiede un aroma più gradito mentre la seconda, più amara, contiene il doppio di caffeina e spesso è usata anche per produrre caffè liofilizzato. Per ognuna esistono più varietà, tutte diverse per contenuto in caffeina, polifenoli, zuccheri e sostanze aromatiche. Come nel caso dei vini, una stessa varietà può produrre chicchi con caratteristiche organolettiche, ovvero profili chimici, differenti a seconda del luogo di coltivazione (piovosità, temperatura, altitudine, ombreggiatura). La somma di queste variabili provoca notevoli diversità tra un caffè e l’altro, amplificata dall’abitudine delle torrefazioni a produrre miscele delle diverse specie
Il futuro nei fondi di caffè
Ogni anno produciamo 10 milioni di tonnellate di fondi di caffè e gli studiosi di sostenibilità ambientale cercano di evitare che vadano sprecati. Dal caffè esausto si possono estrarre composti utili per produrre filtri solari e un olio simile all’olio di arachidi fonte di biodiesel. Un etto di caffè esausto contiene 500 mg di caffeina, recuperabile con sistemi di estrazione più efficaci di quelli che usiamo al bar e utilizzabile nei farmaci. Alcune grosse compagnie cedono gratuitamente gli scarti delle loro caffetterie, conferiti per esempio ad aziende che li fermentano producendo acido succinico. L’acido succinico è un acido carbossilico utile alla fabbricazione di polimeri biodegradabili come il polibutilene succinato, con il quale si fabbricano anche i bicchieri compostabili da usare per il caffè del distributore automatico.
Perché gli inglesi preferiscono il tè?
Il famoso tè delle cinque? Tutta colpa di un fungo. Già: la tradizione britannica predilige il tè per una combinazione di storia, geografia e botanica. Nel 1796 gli inglesi acquisiscono dall’Olanda l’attuale Sri Lanka, anche per rinforzarsi sul mercato globale del caffè. Nell’isola si coltiva poco tè in montagna e molto caffè in collina e pianura. Il piano però va a rotoli per l’arrivo dall’Africa nel 1867 di un fungo, che in pochi anni annienta la produzione di caffè. Hemileia vastatrix si diffonde grazie alla somiglianza genetica tra le piante coltivate, necessaria per ottenere chicchi uniformi a basso costo. I commercianti inglesi cercano di recuperare le perdite sostituendo le coltivazioni di caffè con quelle tè e diventandone monopolisti globali. Questo impone un cambio nei consumi in patria: il caffè non è più disponibile come prodotto inglese, il prezzo cresce e la distribuzione cala. Al contrario, il tè inizia a costare sempre meno e diventa bevanda nazionale.
Referenze iconografiche: New Africa/Shutterstock, Fotografas Edgaras/Shutterstock, Lertwit Sasipreyajun/Shutterstock