Un “caffè letterario” sul romanzo di formazione
Inneschi e confronti per una scorciatoia fino al Novecento
Caratteristiche e potenzialità del “caffè letterario”
Nel numero precedente di “Folio.net” ho accennato, fra l’altro, a quella particolare modalità didattica che ho chiamato “caffè letterario”. Prima di procedere oltre, vorrei cercare di illustrarne, brevemente, le caratteristiche e le potenzialità, con l’avvertenza, a scanso di equivoci, che il “caffè letterario” non può e non deve sostituire le forme più tradizionali e collaudate della didattica letteraria, a cominciare dalla spiegazione e dall’analisi dei testi. Propongo, perciò, un uso circoscritto di questa tecnica, che può essere una valida alternativa didattica solo a patto che non esca dal suo ruolo di espediente occasionale, da adottare per fini specifici. Nel caso concreto, suggerisco di valersi del “caffè letterario” limitatamente all’obiettivo di anticipare opere letterarie del Novecento mentre si studiano gli autori della tradizione, per creare, insomma, uno spazio didattico sui generis, distinto dagli altri e immediatamente riconoscibile per la sua singolare modalità di esecuzione.
Suggerimenti per la riuscita dell’esperienza
1. Un approccio più informale
Per la buona riuscita di queste fughe in avanti rispetto alla progressione cronologica del programma di letteratura, mi pare utile cambiare modalità didattica, correndo tutti i rischi, ma cogliendo anche tutte le opportunità, di un approccio più informale, da lettori comuni che discutono e si scambiano opinioni. È della massima importanza che i ragazzi avvertano uno stacco rispetto alla lezione abituale.
2. Cambiare fisicamente ambiente
Valuterei, a tale scopo, anche l’ipotesi di cambiare fisicamente ambiente (la biblioteca, ad esempio, se sufficientemente accogliente, potrebbe essere una sede interessante; con la bella stagione non scarterei nemmeno la soluzione del “caffè” all’aperto…), o almeno la disposizione dei banchi, tenendo presente che la struttura più adatta ai nostri fini è quella del cerchio, figura, al tempo stesso, dell’unione tra i membri di una comunità (l’anello) e della loro perfetta pariteticità (basti pensare ai cavalieri della tavola rotonda).
È bene che anche l’insegnante, per l’occasione, lasci la cattedra e si mescoli con la classe, prima/us inter pares.
3. Un momento a sé stante
Le ore del “caffè letterario” devono essere vissute dai ragazzi come un momento a sé stante, quasi come una “ricreazione”, certo non frivola ma più easy e accattivante, rispetto allo studio della civiltà letteraria, dei classici e delle opere del canone.
Sia chiaro: non ho mai pensato che la scuola debba diventare un lunapark, né che ci si debba per forza divertire quando si impara qualcosa. Tra gli obiettivi di educazione alla cittadinanza che rientrano nella mission della scuola c’è anche l’addestramento all’impegno, alla fatica e alla costanza, senza i quali sarebbe poi ben difficile, nella vita, raggiungere dei traguardi all’altezza delle aspettative.
Ma se vogliamo che gli studenti si appassionino davvero alla letteratura e si lascino interrogare dai testi, dobbiamo creare, a latere dell’apprendimento ordinario, una sorta di “zona franca” in cui le opere cessano di essere dei monumenti di pietra da ammirare con compunta deferenza ed esaminare diligentemente in ogni dettaglio: nello spazio del “caffè letterario” si devono creare le condizioni per un incontro significativo e fondante, che ci aiuti a comprendere il mondo e noi stessi e che potrebbe perfino cambiarci la vita.
4. Ascolto e immedesimazione
Leggere un libro, o anche soltanto una pagina, deve poter diventare un momento di ascolto profondo, come se quelle parole fossero state scritte apposta per noi da un amico o da un fratello maggiore e sollecitano, quindi, una risposta. Deve poter scattare, ogni volta, quel piccolo miracolo che ci tira dentro l’opera e rende significativa un’esperienza di lettura; e questo può avvenire solo quando ci si accorge, per citare la prima Satira di Orazio, che mutato nomine, fabula de te narratur, o in altri termini, che quella determinata opera non è un relitto del passato, ma sta parlando proprio di noi e del nostro mondo e ci obbliga a darle torto o ragione, ad aprire comunque gli occhi e a crescere, diventando più consapevoli dei nostri atti, dei nostri giudizi e delle nostre scelte.
Il romanzo di formazione novecentesco: “fabula de te narratur”
Ma veniamo, finalmente, alle “scorciatoie”. La prima che vi sottopongo riguarda quel particolare sistema narrativo che è il romanzo di formazione. Per le caratteristiche anagrafiche dei suoi personaggi e per le questioni generazionali che solleva, esso si presta, meglio di tanti altri, a suscitare in una certa fascia d’età quell’interesse immediato e spontaneo che può generare il clima giusto da “caffè letterario”, stimolando una fruizione dei testi più personale e reattiva, più coinvolgente, capace di mettere in moto la riflessione, di interrogare le coscienze, di accendere in classe il confronto delle idee.
Seguire il filo rosso del romanzo di formazione nel Novecento consentirebbe di scoprire opere e autori di prima grandezza, come Con gli occhi chiusi (1919) di Federigo Tozzi, Il garofano rosso (1933-1934, 1948) di Elio Vittorini, Agostino (1944) di Alberto Moravia, Ragazzi di vita (1955) di Pier Paolo Pasolini o L’isola di Arturo (1957) di Elsa Morante. Ci si potrebbe spingere, naturalmente, molto più avanti, perché il Bildungsroman, nelle sue diverse configurazioni, attraversa tutta la modernità letteraria ed è ancora vivo e vegeto negli anni Duemila, come se fosse nato ieri; ma il tempo è tiranno e bisogna fare i conti, realisticamente, col monte ore. Già la cinquina di nomi e di titoli che ho avanzato è sovrabbondante e potrebbe richiedere, verosimilmente, qualche sacrificio…
1. Ipotesi iniziale: scegliere come punto d’innesco I promessi sposi
La prima decisione da prendere, in questo come in casi analoghi, concerne il punto d’innesco: quale classico della tradizione potrebbe fungere da trampolino per spiccare il salto verso i romanzi di formazione novecenteschi? Gli agganci non sono moltissimi, proprio perché il romanzo di formazione si afferma solo con la modernità, mentre a monte è abbastanza difficile imbattersi in protagonisti di età giovanile. Se, dunque, volessimo prendere le mosse da un altro romanzo di formazione italiano, non potremmo risalire più indietro dei Promessi sposi. Deciderà l’insegnante, sulla base del profilo della classe, se programmare questa “scorciatoia” già in seconda superiore, oppure rimandarla a tempi più maturi.
Modello originario vs modello novecentesco
Scegliere I promessi sposi come punto d’innesco del “caffè letterario” sul romanzo di formazione del Novecento avrebbe l’indiscutibile vantaggio di far individuare facilmente le differenze strutturali tra il modello originario di Bildungsroman e quello che invece si afferma nel Novecento, dopo la crisi dell’altro, segnata in Italia dalla parabola di ’Ntoni nei Malavoglia (romanzo di de-formazione, ovvero di traviamento) e dalla formazione negata, perché darwinianamente impossibile, del primo “inetto” sveviano, l’Alfonso Nitti protagonista di Una vita.
Il modello originario di Bildungsroman disegna, infatti, un percorso di “integrazione”, che prevede il soddisfacente (anche se non agevole) “inserimento” del giovane nell’ordine costituito della società adulta, trovando un compromesso più che accettabile tra il suo iniziale, e magari un po’ ingenuo, progetto di vita e le concrete circostanze storiche con cui esso deve fare i conti e venire a patti; mentre nel Novecento finirà per imporsi il modello opposto della “contestazione”, che inscena il conflitto generazionale, l’aperta “rivolta”, il rifiuto da parte del giovane di lasciarsi integrare nei ranghi e nei principi della cosiddetta morale borghese.
Di conseguenza, cambia completamente, nei due modelli, l’atteggiamento nei confronti della giovinezza: nel primo caso si guarda a essa come a un tempo di preparazione, che non ha alcun valore in sé, ma conta unicamente in vista dell’approdo; nel secondo, al contrario, essa è vista come l’unico periodo autentico della vita, libero dai condizionamenti, dalle ipocrisie e dal grigiore intellettuale e sentimentale di chi è già “arrivato”. Perciò, da una parte si avrà fretta di crescere, di diventare grandi, di trovare il proprio posto nel mondo; dall’altra si farà di tutto per inceppare il meccanismo, nel tentativo di prolungare indefinitamente il godimento dei privilegi esistenziali offerti dalla permanenza in questo limbo esclusivo. Se per gli uni la maturità costituisce l’agognato traguardo di un processo evolutivo, per gli altri essa rappresenta un abisso senza senso, che inghiotte e vanifica le speranze e i progetti accarezzati in precedenza.
Un esame di coscienza generazionale
Come si vede, quelle sollevate dal romanzo di formazione sono questioni cruciali, talvolta drammatiche, per gli adolescenti di oggi, così fragili e spesso confusi, che fanno persino fatica a immaginare il loro futuro, tanto da preferire la navigazione a vista, privi come sono, i più, di bussole e fari, quando non anche di porti sicuri. Selezionando qualche passaggio nevralgico da uno dei romanzi summenzionati, la discussione dovrebbe decollare abbastanza in fretta.
Tutt’al più, se fosse necessario in fase d’avvio, l’insegnante potrà sollevare qualche domanda per orientare gli interventi verso una sorta di esame di coscienza generazionale. Eccone alcune, sollecitate dai testi stessi:
- Come vivono i loro anni?
- Li considerano una stagione (passeggera) della vita o una condizione permanente?
- Come giudicano i loro genitori?
- Che tipo di rapporto hanno stabilito con loro?
- Quali sono, se ne hanno, i loro modelli?
- E come concepiscono la vita adulta?
- Sanno cosa vogliono diventare da grandi?
- Pensano di doversi preparare alle sfide del mondo?
- E la scuola che cosa rappresenta, per loro, in tutto questo?
2. Altre ipotesi: ulteriori pedane di lancio e confronti
Ma se, per esigenze di programmazione, il “caffè letterario” sul romanzo di formazione novecentesco non si potesse agganciare ai Promessi sposi? In questo caso, bisogna affidarsi a qualche altra pedana di lancio. Non è detto che tra il testo di partenza e quelli del “caffè letterario” ci debba essere uno stretto rapporto di filiazione, perché anzi il confronto tra due opere genera tanta più conoscenza quanto maggiore è lo scarto, la frizione dialettica, che si produce tra loro.
In questo senso, altri punti di innesco non meno efficaci potrebbero essere, per esempio, con poco guadagno cronologico, Il Giorno del Parini o le Ultime lettere di Jacopo Ortis del Foscolo, o, volendo giocare la carta con più rilevante anticipo, una delle novelle del Decameron che si trovano in tutti i manuali scolastici, ovvero quella che ha per protagonista Andreuccio da Perugia.
Le domande potrebbero vertere, stavolta, sull’importanza dell’esperienza, evocando, per l’occasione, anche l’«orazion picciola» dell’Ulisse dantesco, il suo invito a «divenir del mondo esperti». Qualche esempio:
- A che servono le esperienze?
- Si può far tesoro degli errori e delle disavventure?
- Ci si può correggere o si rimane sempre gli stessi?
- E quali sono le esperienze più formative?
- I rapporti affettivi che peso hanno nella nostra formazione? E i rapporti sociali?
- Quanto contano i rapporti coi coetanei e quanto quelli con gli adulti?
- Quanto condizionano i modelli famigliari?
Suggerimenti per il confronto
L’esercizio, sempre ampiamente fruttuoso, del confronto può essere effettuato, naturalmente, anche tra le opere del “caffè letterario”, se si decide, come sarebbe auspicabile, di affrontarne almeno un paio. Ponendo al centro della raggiera Il garofano rosso di Vittorini, che certamente rappresenta l’esito più paradigmatico del romanzo di formazione del secondo tipo (quello novecentesco della “rivolta”), l’abbinamento con ciascuno degli altri romanzi può attivare una riflessione mirata intorno a ulteriori aspetti “delicati” della crescita:
- se, per cominciare, al Garofano rosso affiancassimo Con gli occhi chiusi di Tozzi, il focus dell’attenzione potrebbe benissimo convergere sul conflitto generazionale;
- accoppiandolo, invece, con l’Agostino di Moravia, l’interesse si sposterebbe quasi automaticamente sulla scoperta della sessualità e sui riti di iniziazione;
- mentre l’accostamento coi pasoliniani Ragazzi di vita farebbe emergere piuttosto i temi dell’autenticità, dell’immoralismo, della violenza, del branco, del malessere sociale;
- il motivo, infine, della “favola di vita”, come Vittorini definisce l’ideale di esistenza inseguito da Alessio Mainardi, protagonista del Garofano rosso, troverebbe un’originale ripresa nell’Isola di Arturo della Morante.
C’è solo l’imbarazzo della scelta, con la garanzia comunque di proporre il Novecento che conta.
Referenze iconografiche: Monkey Business Images/Shutterstock
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