La transizione verso l’idrogeno
Superare la dipendenza dalle fonti energetiche fossili
Nell’anno passato, insieme alla grande ondata di informazioni riguardanti la pandemia, sono emersi nella comunicazione di massa i termini transizione energetica e transizione ecologica, poiché entravano prepotentemente nella politica e nelle istituzioni. È stata così l’occasione per tutti di avvicinarsi all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, prendendo atto tuttavia che, dal momento della sua approvazione (risalente al 2015), troppo tempo era passato nel disinteresse generale.
In altri termini, si è estesa all’intera collettività la priorità della sostenibilità declinata in tutti i suoi vari aspetti, dei quali quello centrale è certamente il tema dell’energia. Il punto fondamentale è il superamento della dipendenza delle attività umane dalle fonti energetiche fossili (carbone, petrolio e gas naturale): in primo luogo perché sono risorse naturali esauribili e, in specie per il petrolio, è ormai segnato il destino in termini di convenienza di estrazione, raffinazione e distribuzione rispetto alle riserve e alla qualità dei giacimenti; in secondo luogo, per il danno enorme che si è generato dal loro massiccio utilizzo negli ultimi 150 anni in termini di inquinamento locale di aria, acqua ed ecosistemi ma, soprattutto, per l’immissione di gas serra nell’atmosfera terrestre con le conseguenze devastanti del global warming e del climate change.
Questo superamento potrà avvenire solo con gradualità e da ciò deriva il termine transizione. Ma transizione verso che cosa? Certamente verso fonti energetiche rinnovabili e non inquinanti, tra queste alcune (idraulica, eolica ecc.) sono già in uso e sostenute da tecnologie efficienti; considerato però che l’80% dell’energia primaria delle attività umane deriva ancora da fonti fossili, nessuna di quelle rinnovabili è da sola capace di sostituirle, né potrà farlo un semplice mix aumentato di quelle già in uso, anche per vari impedimenti tecnici.
Percentuali delle fonti di energia primaria mondiale e di energia elettrica (che costituisce circa il 20% di quella totale) con dati pre-pandemia.
Un contributo rivoluzionario e molto rilevante dovrebbe invece arrivare dall’idrogeno, specialmente con la finalità di alimentare i mezzi di trasporto, ma non solo. L’idrogeno è l’elemento più comune in natura e anche sulla Terra, però non si presenta quasi mai nella sua forma utile, che è la molecola biatomica gassosa (H2). L’utilità di questa molecola sta nel fatto che facendola reagire con l’ossigeno dell’aria (O2) genera solo acqua, liberando un notevole quantitativo di energia, indicativamente tre volte quello della benzina (a parità di massa consumata). Insomma, è una combustione pulita e conveniente perché, a differenza delle altre, non genera CO2 e ha resa energetica molto maggiore. Si tratta però di produrre H2, stoccarlo e distribuirlo, e infine utilizzarlo in motori capaci di controllare la reazione con l’ossigeno e generare energia sotto forma di lavoro. Vediamo dunque, in sintesi, i punti chiave di questi tre aspetti.
La produzione dell’idrogeno
Il metodo più semplice per produrre idrogeno H2 è l’elettrolisi dell’acqua, che chimicamente è il processo inverso di quello che combina H2 e O2 e, perciò, necessita di energia.
2 H2(g) + O2(g) ⇄ 2 H2O(l) + Energia
L’ideale è utilizzare energia rinnovabile e in tal modo si genera il cosiddetto idrogeno verde; in altri casi, si utilizzano combustibili fossili, distinguendo così l’idrogeno blu dall’idrogeno grigio a seconda che il CO2 prodotto venga o meno intrappolato. È evidente che l’obiettivo vero di sostenibilità è la produzione solo di idrogeno verde, ottenuta in centrali più o meno grandi e variamente distribuite sul territorio nelle quali vi sia disponibilità di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Va detto però che, al momento attuale, una buona parte dell’idrogeno gassoso viene prodotta a partire dal metano CH4 per mezzo del reforming a vapore, processo che utilizza vapore d’acqua e libera anche CO2; perciò, secondo il criterio illustrato, questo idrogeno può essere solo blu o grigio. In tutti i casi, va evidenziato che l’idrogeno non può essere considerato una vera e propria risorsa energetica, e infatti viene più propriamente definito come vettore energetico perché accumula e libera energia che deriva da altre fonti primarie.
L’elettrolisi dell’acqua realizzata con semplici strumenti di laboratorio alimentandola con una comune batteria di automobile.
L’approvvigionamento e lo stoccaggio dell’idrogeno
Per quanto riguarda approvvigionamento e stoccaggio dell’idrogeno, un conto è la grande distribuzione di riserve gassose e un altro è il rifornimento di ogni singolo macchinario, per esempio un autoveicolo.
Le recenti sperimentazioni effettuate da alcune aziende hanno dimostrato che è possibile e semplice utilizzare gli attuali metanodotti per trasferire il gas idrogeno, miscelato in misura varia con il metano stesso, così da poterlo poi separare e utilizzare a sé nel luogo di destinazione. Per il futuro sono comunque previsti anche idrogenodotti specifici. Ove opportuno, inoltre, è possibile stoccare idrogeno in particolari anfratti della crosta terrestre, ossia pompandolo all’interno di cavità di strati rocciosi salini nelle quali si può conservare senza rischi né deterioramento e dalle quali può essere poi risucchiato a seconda delle necessità.
Il rifornimento per i veicoli, invece, ha rappresentato una notevole sfida tecnologica nel recente passato, perché si doveva poter immagazzinare una massa significativa di gas in serbatoi con volumi contenuti e, allo stesso tempo, limitare i rischi (di esplosione) legati al suo trasporto su mezzi mobili. Al momento i modelli di autoveicoli più all’avanguardia hanno massicci serbatoi ad altissima resistenza strutturale, capaci così di conservare in sicurezza alcuni kilogrammi di gas idrogeno compresso alla pressione di alcune centinaia di bar; per un rifornimento sicuro e ottimale le pompe si raccordano al bocchettone in modo serrato e immettono il gas a temperature molto basse.
L’utilizzo dell’idrogeno
Il macchinario con il quale si può utilizzare l’idrogeno e liberare energia nel veicolo è più assimilabile a una pila che a un motore: non a caso si chiama pila (o cella) a combustibile, universalmente fuel cell. In essa, infatti, gli elettroni degli atomi di idrogeno trovano un’unica via di trasferimento verso il compartimento in cui andranno a combinarsi con l’ossigeno, e in tal modo generano correnti elettroniche (del tutto analoghe a quelle generate dalle comuni pile) che permetteranno di produrre istantaneamente il lavoro utile. I protoni degli atomi di idrogeno (cioè i loro nuclei, che residuano dalla perdita degli elettroni), invece, sono costretti ad attraversare una particolare membrana per poi andare anch’essi a ricombinarsi con l’ossigeno (a questo punto ossigeno ridotto dalla combinazione con gli elettroni); in tal modo si forma l’acqua.
In altre parole, i veicoli a idrogeno sono veicoli elettrici “alternativi”; a differenza delle auto elettriche con batterie, non necessitano di materie prime esauribili e la cui estrazione e lavorazione sono molto impattanti, quindi rappresentano a pieno titolo il modello di veicolo a massima sostenibilità.
Schema essenziale del funzionamento di una fuel cell.
Al momento attuale ci troviamo ancora in una fase embrionale del grande progetto energetico sull’idrogeno, ma la strada è segnata e le cose potranno evolvere rapidamente nei prossimi anni e portarci a risultati interessanti già nel prossimo decennio. È certo che per una produzione a larga scala e conveniente di idrogeno verde sarà necessario un indirizzo politico condiviso accompagnato da ingenti investimenti sia in tecnologie sia in infrastrutture; tutto ciò risulterà fisiologicamente accompagnato da un’ulteriore evoluzione delle tecnologie di stoccaggio e rifornimento, ma anche di quelle relative ai veicoli di ogni genere; e con la diffusione di idee, veicoli e reti di distribuzione si alimenteranno nuovi investimenti che porteranno una significativa riduzione dei costi, con conseguente ulteriore ampliamento del settore.
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