Il seme di Pandora

Una serie di originali percorsi didattici a partire dal libro dell’antropologo e genetista Spencer Wells. Per riprendere in classe concetti scientifici classici (dal DNA ai meccanismi evolutivi, ai principi dell’ecologia) da una prospettiva insolita, che muove le mosse dal grande stravolgimento determinato da agricoltura e allevamento.

L’agricoltura è stata una trappola per la nostra specie. È quello che sostiene Spencer Wells, antropologo e genetista di popolazioni, direttore del Genographic Project del National Geographic, nel suo libro Il seme di Pandora (Codice edizioni, Torino 2011,). Wells non parla soltanto della moderna agricoltura industriale, con le sue criticità ambientali e sociali. Ma dell’invenzione che nutre buona parte degli esseri umani da circa 10 000 anni e da cui sono nate tutte le “civiltà”. L’autore osserva tale invenzione da una prospettiva insolita, attraverso le lenti della genetica, della paleoantropologia e di molte altre discipline. Ne ricostruisce le origini e la contestualizza all’interno della storia della nostra specie e del nostro pianeta. Il quadro che compone di pagina in pagina ci permette di vedere più in profondità la situazione di crisi globale che caratterizza il presente e fornisce spunti di riflessione per proiettarci verso il futuro. Fornisce anche ottimi spunti didattici per riprendere e far consolidare in classe concetti scientifici, a partire da quelli legati alla genetica e alla biologia molecolare, affrontandoli in modo interdisciplinare. Perché la conoscenza della struttura e della funzione del DNA ci fanno comprendere meglio chi siamo e cosa mangiamo? L’agricoltura è davvero stata una trappola? Ci salverà la genomica?

La lettura integrale del libro, fortemente consigliata agli insegnanti, potrebbe risultare impegnativa per gli allievi: nonostante il testo sia scorrevole e ricco di aneddoti, le oltre 200 pagine sono decisamente ricche di informazioni. È possibile tuttavia selezionare alcune parti da proporre alla classe a seconda degli argomenti che si preferisce affrontare. Ecco qualche suggerimento.

L’evoluzione nel DNA

Perché alcune persone digeriscono il latte, mentre altre no? Nel primo capitolo del libro, Spencer Wells racconta il suo incontro con Jonathan Pritchard, genetista all’Università di Stanford, tra gli autori di un importante studio sul genoma umano e sul processo di selezione che questo ha subìto nel tempo. Lo studio, pubblicato nel 2006 sulla rivista PLOS Biology, ha impiegato la HapMap, una mappa degli aplotipi umani. In poche pagine, Wells descrive il DNA, la sua funzione nelle cellule e come viene trasmesso di generazione in generazione, evidenziando i sistemi che garantiscono l’aumento della variabilità genetica in una popolazione, come la ricombinazione genica e la mutazione. Va precisato che, in questa parte del testo, il concetto di DNA viene presentato in modo riduttivo. Occorrerebbe integrare, ribadendo il ruolo fondamentale svolto dall’ambiente nell’espressione genica, citando, per esempio, i recenti sviluppi nel campo dell’epigenetica. A tale fine risulta di grande aiuto estendere la lettura al Capitolo 5. Tornando allo studio sulla HapMap, viene evidenziato come la nostra specie abbia subìto, circa 10 000 anni fa, un “pesante” periodo di pressione selettiva che ha coinvolto principalmente i geni legati al metabolismo del cibo. L’autore incrocia questi dati con quelli provenienti dal campo della paleoantropologia: Homo sapiens nasce circa 195 000 anni fa; intorno a 60 000 anni fa, la sua presenza sul pianeta è talmente ridotta da rischiare l’estinzione; poi succede qualcosa che genera un aumento della popolazione e, infine, circa 10 000 anni fa, succede qualcos’altro che accelera notevolmente tale tendenza. Quest’ultimo evento è legato proprio all’introduzione dell’agricoltura e dell’allevamento, fenomeno che stravolge ogni aspetto dello stile di vita dell’uomo, a partire dalla sua alimentazione. A livello genetico, l’esempio più evidente di questo stravolgimento è rappresentato dal caso della lattasi. Nel genoma delle popolazioni che, con l’allevamento, hanno introdotto il latte nella loro dieta è stata selezionata positivamente una variante di questo enzima che rimane attiva anche dopo l’infanzia, al contrario di ciò che normalmente succede, consentendo la digestione del lattosio anche agli adulti. L’autore mostra la distribuzione di questa variante nella popolazione attuale e considera altri geni che sono stati modificati in quel periodo straordinario della nostra storia. Attraverso la parte iniziale di questo libro è possibile consolidare concetti come quello di DNA o di evoluzione, a partire dall’esperienza personale degli allievi, come la loro capacità di digerire il latte. Per approfondire ulteriormente può essere utile dare uno sguardo con gli studenti all’articolo scientifico citato nel testo e al sito del progetto HapMap.

La domesticazione e la nostra dieta

Perché mangiamo così tanto grano, riso e mais? Le proprietà del genoma vengono rimesse in campo per raccontare il processo di domesticazione delle specie selvatiche alla base dell’invenzione di agricoltura e allevamento. Le piante impiegate (grano e orzo in Medio Oriente, riso tra India e Cina, mais nel Messico) hanno tutte la caratteristica di possedere un’elevata plasticità genetica. In altri termini, il loro genoma è in grado di modificarsi rapidamente da una generazione a quella successiva. Questo grazie al fatto di essere poliploidi e di contenere nel loro genoma un grande numero di elementi trasponibili, proprietà spiegate efficacemente in poche righe nel Capitolo 2 (pagine 50-53). Wells mostra che, oltre alla plasticità genetica che ha permesso di selezionare con una certa rapidità i tratti desiderati, nel processo di domesticazione sia stato fondamentale il controllo della riproduzione di piante e animali, vale a dire la capacità di gestire autonomamente i semi (o i piccoli, nel caso dell’allevamento) senza dover “tornare nell’ambiente” per procurarsene di nuovi. Questo aspetto può fornire spunti di riflessione sulla situazione degli agricoltori moderni che non gestiscono quasi più i semi e devono rivolgersi alle ditte semenziere per acquistarli.

Per ottenere ulteriori riscontri su come si è modificata nel tempo la dieta di Homo sapiens, l’autore racconta le analisi chimiche che vengono effettuate sulle ossa dei nostri antenati. Il rapporto tra gli elementi chimici stronzio e calcio, per esempio, può dirci se la dieta seguita da una persona era più vegetariana o carnivora. Mentre il rapporto tra gli isotopi del carbonio 13 e 12 fornisce indicazioni sul tipo di piante di cui si nutriva, se di tipo C3 (più antiche, di cui si cibavano i cacciatori-raccoglitori) o di tipo C4 (come il mais, selezionate “recentemente” dagli agricoltori). Questa parte di testo (pagine 43-49) offre la possibilità di riprendere alcuni concetti di chimica e genetica, applicandoli per comprendere meglio il metabolismo delle piante e la dieta dell’uomo.

shutterstock_editorial_333265991_guarnieriSiamo ancora cacciatori-raccoglitori

Perché sempre più persone diventano obese o diabetiche? La nostra storia e quella dei nostri geni possono aiutarci a trovare una risposta anche a questa domanda. In Medio Oriente, prima dell’avvento dell’agricoltura le persone consumavano circa 150 specie diverse di piante. Subito dopo, questo numero è sceso a 8, tra le quali spicca il grano. La percentuale di carboidrati introdotti con la dieta è aumentata drasticamente, una sorta di “cancro nutrizionale”, come lo definisce Wells, con conseguenze sulla salute che sono diventate sempre più evidenti in epoca recente. Perché? Anche se il nostro genoma si è in parte modificato per adattarsi alla nuova vita da agricoltore-allevatore (come il caso della lattasi ci racconta), rimane in prevalenza quello di un cacciatore-raccoglitore. La capacità di mantenere in funzione l’organismo in condizioni di scarso apporto calorico è stato per un lunghissimo periodo un carattere fortemente adattativo. Questo ha generato il cosiddetto “genotipo frugale”. Molto utile quando c’è poco da mangiare, può essere controproducente se il cibo abbonda ed è ricco di carboidrati. In assenza di elevata attività fisica si creano le condizioni per lo sviluppo di obesità e diabete. Wells riporta il caso didatticamente molto efficace dei samoani. Per quale motivo sono così obesi? La loro storia è raccontata da pagina 72 a pagina 76, insieme alle ragioni evolutive per cui è spesso così difficile mangiare con moderazione. E inoltre, perché non sempre è così facile fare esercizio fisico? Perché i cibi industriali sono così ricchi di zuccheri aggiunti? La conoscenza del nostro “bagaglio evolutivo” da cacciatori-raccoglitori è un potente strumento per decodificare la realtà che ci circonda.

shutterstock_424915171_guarnieriInsegnare a scegliere… nella complessità

Wells attinge dalla geologia e dalla climatologia per mettere in relazione determinati eventi catastrofici con i cambiamenti climatici su scala globale che in passato hanno obbligato la nostra specie a “reagire”. Circa 70 000 anni fa l’eruzione del vulcano Toba in Indonesia potrebbe aver stimolato le capacità comunicative di Homo sapiens dando il via alla sua evoluzione culturale, di certo più veloce di quella biologica. Circa 13 000 anni fa, il crollo di una gigantesca diga di ghiaccio nell’America settentrionale ha provocato la miniglaciazione del Dryas recente che ha obbligato alcune comunità umane (stanziali e ormai troppo numerose) a darsi all’agricoltura, nonostante questa pratica li facesse stare peggio dei loro contemporanei cacciatori-raccoglitori. È questa la “trappola” che l’autore descrive con chiarezza e sempre più in dettaglio a partire dalle prime pagine del libro. E oggi? Considerato che siamo di nuovo di fronte a una situazione di cambiamento climatico globale, come possiamo reagire? Negli ultimi tre capitoli l’autore propone collegamenti tra argomenti apparentemente molto distanti tra loro: il fondamentalismo religioso, facebook, la crisi energetica e quella idrica, l’ansia generalizzata, l’inibizione dei jazzisti ecc. Tutti spunti utili per riflettere sul presente e sul futuro. E, per tornare a parlare di DNA, per contestualizzare l’evoluzione della ricerca nel campo della biologia molecolare. L’ingegneria genetica potrà salvarci dalle malattie e dalla fame? Il Capitolo 5 parla di test genetici e fecondazione in vitro, di terapia genica e di rapporto tra genotipo e fenotipo. Racconta con chiarezza come l’uomo abbia sempre “armeggiato con la natura” con strumenti via via sempre più potenti. Parla di complessità degli ecosistemi e di come il nostro intervento possa generare effetti indesiderati. Queste pagine forniscono all’insegnante molte idee per riflettere in classe su bioetica e non solo. L’ultimo capitolo e, in particolare, il paragrafo finale del libro, intitolato Volere di meno, è ricco di spunti per lavorare sul ruolo della scienza e sulla necessità di conoscere il nostro passato, anche genetico, per “scegliere” dove dovremmo andare domani. Perché, come riporta Spencer Wells, “poter fare qualcosa non significa che lo si debba fare”. Un punto di vista stimolante, anche per la scuola.

PER APPROFONDIRE

Referenze iconografiche: Marcoph97/Shutterstock; franco lucato/Shutterstock; VICPHOTOPICTURE/Shutterstock

Vincenzo Guarnieri

È chimico e ha un dottorato di ricerca in biochimica e biotecnologia cellulare. Si occupa di comunicazione della scienza. Ha pubblicato Maghi e reazioni misteriose (Lapis edizioni, 2007), una storia della chimica per ragazzi.