Ritratti. Rita Levi Montalcini

«Una piccola signora dalla volontà indomita e dal piglio di principessa»: così Primo Levi definì la scienziata italiana Rita Levi Montalcini, una delle poche donne a ricevere il premio Nobel per la medicina.

Come negli altri campi della cultura, anche in quello della scienza la presenza delle donne, sin dall’antichità, non è stata irrilevante, anche se spesso ignorata. Eppure, fra il 1901, quando fu istituito, e il 2010, quaranta donne sono state insignite del Premio Nobel, 17 di queste per la fisica, la chimica e la fisiologia medica1.
La storia personale di Rita Levi Montalcini (Torino 22 aprile 1909 – Roma 20 dicembre 2012) è un esempio della lotta intrapresa contro le ideologie oppressive di genere. Nata a Torino da una famiglia ebraica, cresce in un ambiente colto, ma dominato da un capofamiglia, l’ing. Adamo Levi, molto rigido nel considerare il rapporto tra genitori e figli e i ruoli maschili e femminili.
Ma, come ebbe a dire lei stessa, «la mancanza di complessi, una notevole tenacia nel perseguire la strada che ritenevo giusta e la noncuranza per le difficoltà che avrei incontrato nella realizzazione dei miei progetti»2 la spingono a opporsi ai progetti educativi che il padre ha per lei, negandole la possibilità di iscriversi all’università. L’occasione di prendere in mano il suo destino le viene dal tumore che colpisce la sua tata, Giovanna. «Voglio iscrivermi a Medicina per curare Giovanna»3. E così fu. Laureatasi nel 1936, in Medicina e Chirurgia con il massimo dei voti, si specializza in neurologia e psichiatria. Nel frattempo entra, assieme a Salvador Luria e Renato Dulbecco4, nella scuola medica dell’istologo Prof. Giuseppe Levi (padre di Natalia Ginzburg), presso l’Università di Torino, che dà loro una formazione rigorosa in scienze biologiche, anche con l’introduzione del metodo della coltivazione in vitro5.
Nel 1938, espulsa dall’Università per l’entrata in vigore della legislazione razziale6, segue il prof. Levi in Belgio, fino all’invasione del paese da parte dei nazisti nel 1941. Tornata a Torino, non si perde d’animo. Determinata a portare avanti le sue ricerche, costruisce un laboratorio artigianale nella sua camera da letto, dotandolo di microscopi, bisturi, provette. Si procura, poi, girando in bicicletta per le colline piemontesi, delle uova che analizza, dando inizio alle ricerche che la renderanno famosa in tutto il mondo. Ricongiuntasi con il prof. Levi, ne diviene primo e unico assistente.
I bombardamenti alleati del 1941 sulla città la portano a rifugiarsi nell’Astigiano, dove continua i suoi esperimenti. Ma, dopo l’8 settembre 1943, con l’invasione tedesca, la famiglia decide di fuggire al sud, per sottrarsi alle deportazioni. Fermatisi a Firenze, Rita entra in contatto con le forze partigiane del Partito d’Azione. Quando gli alleati liberano la città, Rita diviene medico presso il Quartier Generale anglo-americano, con il compito di occuparsi di un’epidemia di tifo che sta seminando numerose vittime.
Dopo la guerra, tornata a Torino, riprende la sua attività a fianco del prof. Levi.
Nel 1947 accetta la cattedra di docente di neurobiologia alla Washington University di St. Louis. Quella che doveva essere una breve permanenza negli Stati Uniti durerà fino al pensionamento nel 1977.
Nel 1985 è insignita del Premio Nobel per la medicina insieme al suo già studente Stanley Cohen. Seguono altre importanti onorificenze, mentre è membro delle maggiori accademie scientifiche internazionali. Nel 2001 è stata nominata senatrice a vita «per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale».
La sua carriera negli USA non le impedisce di operare anche in Italia. Dal 1961 al 1969 fonda e dirige il Centro di ricerche di neurobiologia creato dal CNR, in collaborazione con l’istituto americano. Un suo interesse particolare è rivolto alla sclerosi multipla di cui continua a occuparsi tutta la vita.
Una vita interamente dedicata alla ricerca che la scienziata considerava non come una mera professione, ma una vera e propria missione a favore della conoscenza e dell’umanità sofferente. Missione che le impedì di costruirsi una famiglia, come lei stessa afferma: «non le fibre nervose, ma le idee germogliavano nel mio cervello, e in modo così tumultuoso da non lasciarmi il tempo di seguire altri pensieri»7. È morta il 30 dicembre 2012, all’età di 103 anni.
Oltre naturalmente alle sue scoperte, Montalcini lascia un importante messaggio di vita in queste parole: «Il fatto che l’attività svolta in modo così imperfetto sia stata e sia tuttora per me fonte inesauribile di gioia, mi fa ritenere che l’imperfezione nell’eseguire il compito che ci siamo prefissi o ci è stato assegnato, sia più consona alla natura umana così imperfetta che non la perfezione»8.

Note

  • 1Dal 2000 il portale “Donne nella Scienza”, un progetto, cofinanziato dal MIUR, attraverso le biografie di alcune grandi donne, in particolare italiane, che dall’antichità a oggi si sono distinte in ambito scientifico e tecnologico, si propone di favorire l’accesso alle discipline scientifiche delle giovani, fuori da ogni condizionamento e stereotipo di genere.
    (Legge 6/2000, bando 2012).
  • 2Rita Levi-Montalcini, Elogio dell’imperfezione, Baldini Castoldi Dalai, 2010, p. 17.
  • 3Rita Levi Montalcini, Cronologia di una scoperta, Baldini Castoldi Dalai, 2009, p. 54.
  • 4Insigniti entrambi del Premio Nobel, il primo nel 1969, il secondo nel 1975.
  • 5Metodo che analizza fenomeni biologici riprodotti in provetta e non nell’organismo vivente.
  • 6Un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi presi dal fascismo e entrati in vigore nel 1938 che privarono gli ebrei italiani dei diritti civili e politici e prepararono il terreno per le deportazioni, iniziate dopo l’8 settembre 1943.
  • 7Rita Levi-Montalcini, Elogio dell’imperfezione, p. 214.
  • 8Ibidem, p. 18.

Le ricerche scientifiche

Nei primi anni cinquanta, la Montalcini scoprì il fattore di crescita nervosa o NGF (Nerve Growth Factor), una piccola proteina fondamentale per la rigenerazione dei neuroni del sistema simpatico e sensoriale, senza la quale le cellule cerebrali sono destinate a esaurirsi.
Per la prima volta si capì che i neuroni sopravvivono solo se possono trarre da altre cellule sostanze nutritive. Una scoperta rivoluzionaria: se fino a quel momento si pensava che il cervello non potesse ricreare nuovi neuroni, per sostituire quelli morti, ora veniva dimostrato che poteva rigenerarsi ricorrendo a circuiti alternativi. Questo spiega perché il cervello riesce sempre a mantenere la sua vitalità, nonostante l’età. Come spiega in un saggio pedagogico dedicato agli adolescenti (Il tuo futuro, Garzanti, 1993, p. 94) «contrariamente all’opinione corrente, il cervello non va fatalmente incontro con gli anni a un processo irreversibile di deterioramento. Sia Tiziano che Michelangelo e molti altri artisti di straordinarie capacità creative – Picasso tra questi – continuarono a realizzare opere di eccezionale valore sino a tarda età».
Nel 1977, la Montalcini dimostrò che il NGF ha un’influenza sulle cellule appartenenti al sistema immunitario, e successivamente che esso viene prodotto da una varietà di cellule di difesa (linfociti) e ghiandole endocrine. Quindi questo NGF, agendo sinergicamente sui tre sistemi (immunitario, di difesa, endocrino) è un fattore fondamentale per l’equilibrio dell’organismo. La ricerca non si è interrotta. Nuove prospettive si stanno aprendo, per affrontare altre gravi patologie, quali l’Alzheimer, la sclerosi multipla (Sla) e i tumori.

Referenze iconografiche:  Universal Images Group North America LLC / Alamy Stock Photo

 

Cecilia Cohen Hemsi Nizza

Enseignante à la retraite à Milan, vit maintenant en Israël et elle est l'une des responsables des activités culturelles dans la Communauté italienne de Jérusalem. Elle est membre du COMITES (Comitato degli Italiani Residenti all'Estero) et collaboratrice de Sanoma Italie dans le domaine de la littérature et l'histoire françaises.