Proteggere il 30% del Mediterraneo per un futuro sostenibile

A cura di Giulia Prato, relatrice al convegno Un mondo possibile

Il Mediterraneo è uno dei mari economicamente più importanti al mondo: genera un valore economico annuo di 450 miliardi di dollari proveniente dalle attività e dalle risorse legate al mare. Tale economia dipende però dalla salute della biodiversità e degli ecosistemi marini, soprattutto per quanto riguarda i settori della pesca e del turismo.

Circa il 75% degli stock ittici studiati nel Mediterraneo è sovrasfruttato, e la biodiversità marina è diminuita drammaticamente. I cambiamenti climatici, la distruzione degli habitat e lo sviluppo economico minacciano di peggiorare la situazione: le temperature nel Mediterraneo stanno aumentando del 20% più velocemente rispetto alla media globale. Si prevede, inoltre, che alcune attività antropiche altamente impattanti, come l’estrazione di petrolio e gas, il traffico nautico e il turismo di massa, si espandano ulteriormente nei prossimi anni. È però evidente come la blue economy del Mediterraneo possa crescere e prosperare nel lungo termine in un mare che si sta impoverendo e riscaldando.

Per assicurare un futuro al Mar Mediterraneo e alle sue comunità è necessario proteggerne il patrimonio naturale e rigenerare le sue risorse. La nuova Strategia UE sulla Biodiversità prevede che, entro il 2030, il 30% dei mari europei siano protetti in modo efficace e il 10% di questi sia protetto in modo rigoroso. Il WWF chiede che tutti i paesi del Mediterraneo, europei e non, si impegnino a raggiungere questo obbiettivo attraverso un efficiente network di Aree Marine Protette (AMP), gestite in modo equo, e di altre efficaci misure di conservazione basate sulla protezione dello spazio marino.

Per assicurare un futuro al Mar Mediterraneo e alle sue comunità è necessario proteggerne il patrimonio naturale e rigenerare le sue risorse. La nuova Strategia UE sulla Biodiversità prevede che, entro il 2030, il 30% dei mari europei siano protetti in modo efficace e il 10% di questi sia protetto in modo rigoroso. Il WWF chiede che tutti i paesi del Mediterraneo, europei e non, si impegnino a raggiungere questo obbiettivo attraverso un efficiente network di Aree Marine Protette (AMP), gestite in modo equo, e di altre efficaci misure di conservazione basate sulla protezione dello spazio marino.

In uno scenario di status quo, in cui le attività proseguono uguali ad oggi, la biodiversità e gli stock ittici di valore commerciale continuano a diminuire nel tempo. All’opposto, la protezione di aree specifiche in particolare nel Mare di Alboran, Mediterraneo nord-occidentale, Canale di Sicilia, Mare Adriatico, Fossa ellenica, Mar Egeo e Mar Levantino, con l’obiettivo di raggiungere il 30% del Mar Mediterraneo, mostra che gli stock ittici commerciali e l’ecosistema marino possono rigenerarsi significativamente. Nel Mediterraneo Occidentale, la biomassa degli squali potrebbe aumentare fino al 45%, e il tonno rosso, la popolazione più iconica e commercialmente importante, potrebbe rigenerare la sua biomassa fino a un aumento record del 140%. Tre macro-aree su sei lambiscono le coste italiane. L’Italia è, quindi, una delle nazioni con la maggiore responsabilità per il raggiungimento degli obiettivi al 2030 nel Mediterraneo. Sin dal 2021 pertanto l’Italia deve mostrare un impegno concreto incrementando l’efficacia di gestione delle AMP esistenti, ancora afflitte da una forti pressione antropiche e illegali, e dei Siti Natura 2000, spesso ancora carenti di gestione. E deve inserire la rete di AMP e misure di protezione spaziale all’interno di una più ampia gestione marina integrata e basata sugli ecosistemi, sviluppando il proprio piano di gestione dello spazio marittimo, richiesto dall’UE entro marzo 2021 e su cui siamo gravemente in ritardo.

Proteggere il 30% del Mediterraneo non solo è possibile ma è anche necessario per assicurare il futuro del nostro mare e delle comunità che da esso dipendono, ma passi concreti vanno fatti da subito.

Referenze iconografiche:  korkeng/Shutterstock

FONTI

Giulia Prato

Ha studiato biologia marina all'Università di Pisa, con una tesi di laurea specialistica sullo scarto prodotto dalla pesca a strascico e i suoi impatti sull'ecosistema marino. Dopo varie esperienze di ricerca dalle Galapagos al nord Europa, sulle reti trofiche marine e le interazioni tra fauna ittica e habitat, si è specializzata all'Università di Nizza con un Dottorato di ricerca Marie Curie sullo studio e monitoraggio delle reti trofiche marine all'interno delle Aree Marine Protette, focalizzandosi in particolare sul ruolo chiave dei predatori apicali. Dal 2016 coordina al WWF diversi progetti legati alla gestione della pesca e alle aree marine protette e dal 2021 è responsabile del programma mare WWF Italia e di un giovane ma efficace team che gestisce e implementa in Italia e Mediterraneo progetti e iniziative sulla pesca sostenibile, la governance del mare e la salvaguardia di specie iconiche.