Le proteste studentesche contro la guerra a Gaza
Il diffondersi delle manifestazioni nelle università statunitensi e il dibattito sulla libertà di espressione
Nella primavera del 2024 decine di atenei negli Stati Uniti sono stati interessati da proteste studentesche provocate dal protrarsi del conflitto in Medio Oriente fra Israele e una serie di attori regionali ad esso ostili.
In particolare, le contestazioni criticavano lo Stato ebraico per la sua violentissima offensiva nella Striscia di Gaza lanciata all’indomani dell’attacco del 7 ottobre 2023, quando i miliziani del gruppo islamista Hamas e di altre sigle della militanza palestinese hanno invaso il sud di Israele uccidendo circa 1.200 persone e sequestrandone più di 200. Da allora decine di migliaia di palestinesi di Gaza sono rimasti uccisi nell’ambito di una guerra che si è trasformata in un conflitto su scala regionale, con il coinvolgimento:
- di Hezbollah, una formazione politica e militare legata alla popolazione musulmano-sciita libanese e sostenuta dall’Iran;
- degli Huthi, un gruppo di ribelli sciiti a loro volta sostenuti dall’Iran che controllano una regione dello Yemen orientale;
- dello stesso Iran, il cui regime è controllato al clero sciita.
In questo quadro si sono acuiti anche gli scontri nella Cisgiordania, una regione sulla riva occidentale del fiume Giordano amministrata dall’Autorità nazionale palestinese, ma occupata da Israele dal 1967.
La carta mostra la situazione precedente all’ottobre del 2023.
Le contestazioni studentesche sono iniziate subito dopo l’inizio della guerra ma sono finite sotto i riflettori solo nell’aprile 2024, quando si sono propagate in tutti gli Stati Uniti nella forma di accampamenti pro Palestina nei campus universitari. Il primo di questi accampamenti è nato su un prato nel cuore del campus della Columbia University di New York, un ateneo considerato punta di diamante del pensiero liberal americano, ovvero di area culturale di sinistra vicina al partito democratico. Columbia vanta fra i suoi ex allievi diversi personaggi illustri, per esempio l’ex presidente americano Barack Obama. Non stupisce, insomma, che la protesta abbia subito attirato su di sé l’attenzione dei media, e ispirato l’emulazione di altri studenti in tutto il Paese.
Nella sostanza, la richiesta rivolta dai contestatori al governo americano, e nel suo piccolo all’amministrazione universitaria, era quella di fare il possibile per frenare la guerra totale sulla Striscia di Gaza da parte del governo più di destra della storia di Israele, guidato da Benjamin Netanyahu, con misure di pressione fra cui l’interruzione di partnership con università o progetti di ricerca israeliani o il disinvestimento da aziende o fondi israeliani, richieste queste avanzate dagli studenti anche in Italia e in Europa. Ma gli slogan duramente antisraeliani hanno scatenato un caso. Si sentiva: «Non vogliamo due Stati, vogliamo tutto il territorio del 1948[1]», «globalizziamo l’Intifada[2]», «la Palestina è araba», «dal fiume al mare[3] la Palestina sarà libera», frasi che esprimono le posizioni più radicali della lotta palestinese. Il dibattito era infuocato: quei cori superavano una linea rossa, imponendo all’amministrazione universitaria l’obbligo morale di fermare la protesta? Oppure la gravità della situazione nella Striscia di Gaza li giustificava? Rientravano nei parametri del principio di libertà d’espressione, oppure incitavano alla violenza e tracimavano nell’antisemitismo[4]?
Gli eventi hanno messo in luce due aspetti: una diversa percezione di Israele tra i giovani americani e la difficile posizione degli Stati Uniti nel conflitto. Il movimento studentesco è stato visto come un sintomo di un nuovo modo di vedere il conflitto delle nuove generazioni, confermato dai sondaggi. Per molti giovani americani, infatti, Israele non è più lo stato fragile, rifugio di profughi e sopravvissuti della Shoah, ammirato come tale da genitori e nonni. Quanto, piuttosto, una potenza regionale arrogante che occupa territori palestinesi.
Gli Stati Uniti sono un alleato storico di Israele, basti pensare che lo Stato ebraico è il primo Paese al mondo per aiuti militari americani. Washington svolge un ruolo fondamentale nel determinare gli equilibri di potere nel conflitto. Il suo sostegno quasi incondizionato e tradizionalmente bipartisan (sia democratico che repubblicano) allo Stato ebraico è vitale per Israele, e se in futuro dovesse attenuarsi, questo potrebbe cambiare in maniera significativa gli equilibri nella regione.
Nel frattempo, nel settembre 2024, con l’inizio del nuovo anno accademico, seppur in maniera inizialmente molto più blanda rispetto alla stagione degli accampamenti, le proteste studentesche sono ricominciate.
[1] Si intende il territorio palestinese precedente al piano di spartizione della regione tra palestinesi ed ebrei proposto nel 1947 dall’Assemblea generale dell’ONU.
[2] Intifada In arabo “sollevazione”, rivolta armata di migliaia di palestinesi contro l’amministrazione israeliana e l’insediamento di coloni ebrei nei territori occupati della Cisgiordania.
[3] Si intende il territorio della Palestina che va dalla riva occidentale del fiume Giordano al mar Mediterraneo.
[4] Antisemitismo Atteggiamento di avversione e discriminazione verso gli ebrei (popolazione che parla una lingua semitica).