Le nuove torride estati nostrane

Il cambiamento climatico si manifesta sull’area mediterranea ormai dalla fine del Novecento attraverso fenomeni di intensità estrema che sono sempre più frequenti, tanto da non rappresentare più un’eccezione, bensì una nuova normalità. Purtroppo non vi sono motivi di ipotizzare un’inversione di tendenza, dobbiamo pertanto aspettarci che ogni estate a venire sarà sempre meno “fresca” della precedente.

Tempo, clima e cambiamento climatico

È sempre stato il tipico argomento da chiacchiera, ma il tempo meteorologico e le sue variazioni sono oggigiorno ancora di più sulla bocca di tutti; con inevitabili luoghi comuni, equivoci e persino mistificazioni.
Innanzitutto, va richiamata la metafora che “il clima è il carattere di un luogo, il tempo è il suo umore”. Perciò, è errato per esempio dire che “oggi c’è un brutto clima”, perché si tratta del tempo. È poi vero, in generale, che dove fa spesso cattivo tempo – in termini non strettamente di piovosità, ma anche di eccessiva umidità, venti sgradevoli, sbalzi termici... – c’è infine un brutto clima; ma anche dove il clima è considerato buono, capitano inevitabilmente giornate o periodi di maltempo.
Il compito che qui ci proponiamo è quello di capire in che modo nella nostra regione – intesa come italiana, o anche mediterranea ed europea più in generale – si sta concretizzando il cambiamento climatico, in particolare per quanto riguarda le estati, che risultano sempre meno corrispondenti alle aspettative di gradevoli belle stagioni.

Cicloni e anticicloni

shutterstock_51313744_varaldoL’equilibrio meteo-climatico delle medie latitudini è fortemente condizionato dalla presenza di aree di alta e bassa pressione, alcune più stabili e ampie e altre di durata ed estensione più ridotte. Le aree di alta pressione – con valori che possono alzarsi fino a 1025-1030 hPa (ettopascal), rispetto al valore normale di 1013 hPa – sono chiamate anticicloni. In essi l’aria è compressa al suolo e migra verso le regioni circostanti, in tal modo normalmente garantendo condizioni di tempo sereno. Le aree di bassa pressione – con valori inferiori a 1000 hPa – sono invece i cicloni, nei quali masse d’aria differenti convergono dalle regioni limitrofe e, scontrandosi, originano i cosiddetti fronti freddi e fronti caldi che possono infine sovrapporsi divenendo occlusi. In tutti questi casi, le masse di aria che sono spinte in quota si raffreddano, subiscono l’aumento dell’umidità relativa e innescano le precipitazioni.

Un comune barometro con le indicazioni di previsione del tempo; ©Artur Synenko/Shutterstock

È su questa differenza che si basano i tradizionali barometri, che forniscono un’indicazione di massima del tempo previsto con icone del tempo accostate ai valori di pressione: con il diminuire della pressione si approssima il brutto tempo, e al contrario il beltempo è garantito dall’alta pressione.

Nel modello della circolazione planetaria, lungo la fascia a latitudine appena maggiore dei tropici, si consolidano alcuni grandi anticicloni; così, sull’Oceano Atlantico permane piuttosto stabilmente l’anticiclone delle Azzorre. Alle latitudini maggiori – che corrispondono al settore nordatlantico tra Groenlandia, Islanda e Isole britanniche – si generano invece ripetutamente le cosiddette saccature di bassa pressione: si tratta di aree cicloniche alimentate dall’interferenza tra aria tiepida subtropicale e aria fredda polare. È da queste saccature che nascono le perturbazioni delle medie latitudini, responsabili tutto l’anno della tipica variabilità meteorologica europea. Dal momento della loro formazione, infatti, ognuna di queste perturbazioni cicloniche evolve sia attraverso l’intensificazione delle precipitazioni sia spostandosi verso est e sud-est investendo così in pieno l’Europa a partire dal suo margine atlantico.

uid651ad02b4c418-immagine-articolo-varaldoLa stabilizzazione estiva dell’anticiclone delle Azzorre che ha storicamente caratterizzato la regione europea; ©Davide Gianni

Il passaggio chiave è legato a stabilità e ampiezza dell’anticiclone delle Azzorre al variare delle stagioni. Infatti, da sempre esso ha mostrato la sua particolarità nel sapersi estendere con l’arrivo dell’estate verso le coste europee e le regioni meridionali del continente, proteggendo in questo modo soprattutto l’area mediterranea dall’arrivo delle perturbazioni cicloniche; perturbazioni che invece continuavano a investire le regioni del centro-nord continentale, caratterizzato così da ripetuti e repentini cambiamenti del tempo.

L’origine delle ondate di calore

Fino a pochi decenni fa, questa stabilizzazione dell’anticiclone delle Azzorre avveniva regolarmente nella transizione tra primavera ed estate: così, si passava dalla stagione piovosa legata all’arrivo di successive perturbazioni sulla penisola italiana a quella del beltempo stabile estivo. Beltempo perché sereno e caldo, ma non troppo proprio per l’effetto mitigante dell’anticiclone. Solo nelle regioni italiane più meridionali questo effetto andava a sfumare, su di esse si potevano estendere invece le masse di aria più torrida provenienti dall’Africa; queste ultime solo per periodi brevi di pochi giorni potevano spingersi anche verso le aree padane generando le occasionali ondate di calore storicamente documentate.

Il cambiamento climatico si manifesta sull’area di nostro interesse ormai dal finire del Novecento, e in modo sempre crescente tanto da non rappresentare più un’eccezione, bensì la nuova normalità. Con il passaggio stagionale estivo, infatti, l’anticiclone delle Azzorre non mostra più la sua tendenza a consolidarsi ed estendersi all’Europa; esso, infatti, è molto più instabile e alterna fasi in cui si ritrae ad altre nelle quali va a espandersi nel settore settentrionale dell’Atlantico. In tal modo, l’estate tarda a stabilizzarsi sulla nostra regione e la stagione piovosa può protrarsi fino a giugno inoltrato a seguito del continuo arrivo di perturbazioni cicloniche atlantiche.

L’aspetto ancora più problematico è che, al culmine della stagione estiva, l’assenza dell’anticiclone delle Azzorre permette l’espansione verso nord dei torridi promotori anticiclonici africani, ai quali sono stati dati nomi infernali e infuocati come Caronte, Lucifero, Nerone. Tutta la regione mediterranea dell’Europa, e in particolare l’Italia, risulta investita da aria caldissima con elevata umidità; le temperature massime superano i 40 °C per giorni e giorni, e persino per settimane successive, e le minime notturne restano al di sopra dei 30 °C. L’aria è talmente calda e stagnante che in varie zone marine si formano banchi di nebbie per il contatto con le acque più fresche; lungo le coste e nelle vallate montuose lo stallo ha pure l’effetto di ridurre a impercettibili le benefiche brezze diurne e notturne. Non è un tempo estivo gradevole, non è più il clima abituale, ne soffriamo e non abbiamo strumenti di immediato adattamento, e lo stesso vale per tutti i viventi, gli ecosistemi e pure per le attività agricole.

uid651ad0cf295ce-spl-c0581450Ondata di caldo di Cerberus. Immagine satellitare delle temperature della superficie terrestre nei paesi rivieraschi del Mediterraneo e del Mar Nero la mattina del 17 luglio 2023. L’ondata di caldo è stata causata da un’area di alta pressione, o anticiclone, che si è spostata verso nord dal deserto del Sahara. Dati ottenuti dallo strumento radiometro sul satellite Copernicus Sentinel-3; ©EUROPEAN SPACE AGENCY/SCIENCE PHOTO LIBRARY

Il ruolo delle perturbazioni atlantiche

L’unico fattore di disturbo a tale situazione è l’arrivo delle perturbazioni cicloniche atlantiche, le quali però non riescono a superare facilmente la barriera dell’arco alpino, oltretutto dovendo invadere una regione caratterizzata da alta pressione e perciò refrattaria all’afflusso. A un certo punto l’infausto equilibrio si rompe, però inevitabilmente in modo brusco. I primi ammassi ciclonici freschi che valicano le Alpi sono già in sé portatori di umidità e precipitazioni e, scontrandosi con il promontorio africano, generano fortissime turbolenze, con le masse d’aria più fresca che si insinuano al di sotto di quelle calde e umide, sollevandole rapidamente. Ciò comporta l’innesco di temporali violentissimi e precipitazioni estremamente intense con grandine di dimensioni straordinarie. Le zone più esposte a questo burrascoso passaggio risultano quelle del nord Italia, e sovente il peggiore effetto riguarda il settore centro-orientale mentre quello più occidentale può restare ancora un po’ protetto dall’arco alpino.

In altre occasioni gli ammassi ciclonici nordici trovano invece una strada appena a sud delle Alpi, e giungono così sui settori ligure e tirrenico del Mediterraneo che sono ormai molto caldi, con effetti devastanti sui territori litoranei e le isole. In tal modo, infatti, si possono generare turbolenze ad altissima energia del tutto paragonabili agli uragani intertropicali che abitualmente investono i territori del sud-est degli Stati Uniti o del sud-est asiatico (là denominati tifoni). Per gli eventi di questa portata è stato coniato il termine medicane, dalla fusione di mediterranean hurricane, includendovi ovviamente anche ogni altro di calibro analogo che si formi in varie zone del bacino mediterraneo; si tratta di fenomeni ormai tipici della stagione calda e che saranno inevitabilmente più frequenti in relazione al maggior carico energetico di mari e atmosfera legato al global warming.

shutterstock_editorial_2355186221_varaldoA Milano il 30 agosto 2023 alluvione e violento temporale estivo distruggono la città con alberi sradicati e strade bloccate;
©DELBO ANDREA/Shutterstock

Negli anni recenti abbiamo dovuto prendere atto che stiamo vivendo ripetute estati più calde di sempre: alcuni ricordano quella del 2003 come eccezionale, poi però nel ventennio seguente se ne sono succedute molte di più calde, e negli ultimi anni quasi ogni nuova estate è da record. In mancanza del meccanismo di consolidamento dell’anticiclone delle Azzorre – e purtroppo non vi sono motivi di ipotizzare un’inversione di tendenza – dobbiamo lasciarci andare alla facile previsione che “sì, queste ultime sono state le estati più calde mai vissute, ma sono anche le più fresche che vivremo”.

Referenze iconografiche: ©Ed Connor/Shutterstock; ©Artur Synenko/Shutterstock; ©EUROPEAN SPACE AGENCY/SCIENCE PHOTO LIBRARY; ©Davide Gianni; ©DELBO ANDREA/Shutterstock

Antonio Varaldo

è naturalista specializzato in ecologia, e fotografo; insegnante liceale da oltre vent’anni, come divulgatore e saggista ha collaborato a Tuttoscienze e alle enciclopedie UTET e Repubblica, con varie riviste ed editori del settore scolastico e con istituzioni quali l’agenzia ITCILO delle Nazioni Unite. È autore Sanoma di testi di Scienze della Terra per la Scuola secondaria di secondo grado.