L’astronomia multimessaggera, nata dallo sforzo congiunto, durato decenni, di scienziate e scienziati di tutto il mondo, è una nuova branca della ricerca scientifica che ci permette di ottenere e interpretare informazioni relative alla natura e all’evoluzione dell’Universo dall’analisi combinata di osservazioni ottenute da diversi “messaggeri” cosmici: radiazione elettromagnetica, neutrini, raggi cosmici, onde gravitazionali.
Lo studio dell’Universo e dei suoi costituenti è da lungo tempo possibile grazie ai telescopi ottici, ai quali si sono aggiunti, in epoca moderna, i rilevatori di onde radio e microonde, raggi X e gamma, neutrini e raggi cosmici. Gli strumenti utilizzati sono diventati sempre più sofisticati e diversificati, consentendoci di “vedere” fenomeni su uno spettro di energia estremamente ampio, dapprima mediante la radiazione elettromagnetica, poi mediante neutrini di alta energia e raggi cosmici.
La massima distanza alla quale possiamo studiare l’Universo con i diversi messaggeri dipende dalla loro natura ed energia.
I fotoni energetici possono arrivare a noi anche da grandi distanze, ma quando la loro energia comincia ad aumentare sensibilmente, vengono progressivamente attenuati (l’Universo diventa “opaco” a questo messaggero). Ciò è dovuto alle interazioni che si creano con la radiazione presente nell’Universo, ad esempio con quella che chiamiamo la “luce di fondo extragalattica”, che si genera nei processi di formazione delle stelle.
Le osservazioni di raggi cosmici estendono lo spettro misurabile ma, poiché si tratta di particelle elettricamente cariche, essi vengono fortemente deviati dai campi magnetici intergalattici, e quindi non è possibile utilizzarli per localizzare la loro sorgente.
I nuovi “messaggeri”
Le osservazioni dei primi neutrini cosmici di alta energia ottenute a partire dal 2013 con il rivelatore IceCube, sito in Antartide, e quelle di segnali gravitazionali, provenienti dalla fusione di sistemi binari compatti (buchi neri, stelle di neutroni) ottenute a partire dal 2015 tramite i rivelatori dei progetti Advanced LIGO (Stati Uniti) e Virgo (Italia), hanno decisamente segnato l’inizio dell’astronomia multimessaggera (Multimessenger Astronomy).
La buona notizia, infatti, è che l’Universo è trasparente, anche a energie molto alte, sia ai neutrini sia alle onde gravitazionali. Questo implica che il limite alla distanza alla quale possiamo osservare fenomeni di alta energia tramite questi messaggeri sta solo nella nostra capacità di costruire strumenti e metodi di analisi sempre migliori e non è determinato dalla natura dei messaggeri e dalle interazioni alle quali essi sono soggetti. Rivelatori gravitazionali di terza generazione potranno, ad esempio, osservare tutti i fenomeni di coalescenza di coppie di buchi neri avvenuti nell’Universo, purché i valori delle masse dei buchi neri siano tali da produrre segnali gravitazionali nella banda di frequenza in cui i rivelatori osservano.
Le possibilità offerte dall’insieme dei messaggeri cosmici non si fermano a studi, peraltro fondamentali, di cosmologia e astrofisica. Sono infatti in corso verifiche della teoria della Relatività generale e ricerche che potranno avere un impatto anche sulla conoscenza della struttura intima della materia, ad esempio con l’individuazione della natura della materia oscura. Inoltre, gli studi di fisica nucleare potranno avvalersi di quanto è osservabile nel “laboratorio” delle stelle.
La scoperta delle onde gravitazionali e il suo ruolo nell’astronomia multimessaggera
Possiamo dire che la gravità sia il vero motore dell’Universo e che gli eventi più catastrofici che in esso avvengono abbiano la gravità come principale fonte di energia.
La formazione di oggetti “estremi”, ossia oggetti compatti quali buchi neri e stelle di neutroni, è un fenomeno che avviene con un grande rilascio di energia gravitazionale. Fra i possibili canali di formazione vi è il fenomeno di esplosione di supernova, che avviene quando una stella di massa almeno otto volte quella del nostro Sole, terminato il combustibile nucleare, collassa sotto l’azione della sua stessa gravità. Sotto certe condizioni, gli oggetti compatti si formano o si trovano a coppie e orbitano uno intorno all’altro, avvicinandosi sempre di più per emissione di energia gravitazionale (coalescenza). Il loro scontro finale, che avviene tipicamente dopo tempi lunghissimi dalla formazione, e la conseguente fusione, portano alla nascita di un terzo oggetto. La natura di questa nuova formazione dipende dalle masse iniziali e, nel caso delle stelle di neutroni, anche dalla loro “equazione di stato” la cui determinazione rappresenta uno dei principali obiettivi delle ricerche. È proprio in processi come questo che si generano onde gravitazionali. L’estrema debolezza dell'interazione onde gravitazionali-materia (la stessa che ne rende complessa la rivelazione) fa sì che esse viaggino quasi imperturbate dalle sorgenti all’osservatore, portando informazioni dettagliate sul fenomeno che le ha generate.
Il 14 settembre 2015 è stato rivelato il primo segnale di onde gravitazionali, chiamato GW150914 (GW nel nome indica “Gravitational Waves”). Il segnale è stato emesso da una coppia di buchi neri, con masse decine di volte quella del nostro Sole, in un processo di coalescenza. La natura dei buchi neri è tale che le onde gravitazionali siano il solo messaggero di quanto avvenuto; la rilevazione di questo segnale è stata dunque un’osservazione eccezionale, che ha generato un insieme di scoperte e verifiche che hanno portato al premio Nobel. Tuttavia, in accordo con quanto ci si aspetta in fenomeni riguardanti solo buchi neri, allo stato delle attuali conoscenze, non c’è stata alcuna possibilità di fare studi “multimessaggeri”.
Circa due anni dopo, il 17 agosto 2017, finalmente, la rivelazione di un segnale gravitazionale prodotto dalla coalescenza di due stelle di neutroni e, meno di due secondi dopo, di un lampo gamma, ha siglato il successo del primo osservatorio virtuale multimessaggero, costituito da tre rivelatori gravitazionali (due LIGO e Virgo) e da circa cento fra telescopi sulla Terra e satelliti attorno a essa. Gli accordi di collaborazione erano stati siglati pochi anni prima; in quella occasione tutti i rivelatori – ciascuno secondo le sue modalità e tempistica – hanno contribuito all’osservazione e caratterizzazione di un evento epocale, avvenuto a distanza di circa 40 Mpc (1000 miliardi di miliardi di chilometri), nella Galassia NGC 4993. L’evento è stato chiamato GW170817, ma anche GRB170817, a indicare il “Gamma Ray Burst”, il lampo di fotoni osservato dai satelliti Fermi e Integral, con un ritardo temporale di circa 1,7 s rispetto al segnale gravitazionale.
Questa osservazione ha confermato la predizione che i fenomeni di coalescenza di sistemi con almeno una stella di neutroni siano una delle possibili origini di “short gamma ray bursts” (“short” ne indica la breve durata temporale, rispetto alla famiglia dei “long”, la cui origine è associata a fenomeni quali l’esplosione di supernova). Il ritardo temporale osservato è compatibile con i modelli teorici, i quali predicono che l’emissione gamma avvenga solo dopo la fusione dei due corpi compatti, che il fascio gamma impieghi un tempo non nullo a uscire dal nucleo centrale, dove si è formato, e anche che i due messaggeri (onde gravitazionali e gamma) viaggino alla stessa velocità, quella della luce.
Osservazione nella banda ottica, nel giorno della osservazione del segnale gravitazionale, il 17/08/2017, e a distanza di 4 giorni. La freccia indica la sorgente, qui chiamata SSS17a (Swope Supernova Survey). CREDIT/ 1M2H_UC Santa Cruz and Carnegie Observatories_Ryan Fole |
Immagine artistica della coalescenza di 2 stelle di neutroni. Il fascio luminoso stretto rappresenta il lampo di raggi gamma. Credit: National Science Foundation/LIGO/Sonoma State University/A. Simonnet. |
Astronomia multimessaggera e cosmologia: la misura del tasso di espansione dell’Universo
Sappiamo che l’Universo si espande. Si tratta di una previsione dell’astronomo Georges Lemaître risalente al 1927, poi confermata nel 1929 da Edwin Hubble e caratterizzata dalla legge che porta il suo nome. In questa legge, la costante di Hubble (H0) lega lo spostamento verso il rosso della luce emessa da un corpo celeste alla sua distanza dall’osservatore. H0 ha pertanto un ruolo determinante nel definire il tasso di espansione dell’Universo e la misura del suo valore, che a oggi sappiamo essere di circa 70 km/s/Mpc, viene fatta, tra i tanti metodi, proprio basandosi sugli aspetti multimessaggeri della coalescenza di sistemi binari compatti. I segnali gravitazionali consentono infatti di determinare la distanza della sorgente, in funzione quasi esclusivamente dell’ampiezza misurata al rivelatore. La determinazione della galassia ospite e della sua velocità di allontanamento è invece possibile con misure nello spettro elettromagnetico. Combinando queste due informazioni, ottenute tramite le osservazioni dell’evento GW170817, e utilizzando la legge di Hubble, è stato possibile determinare in modo indipendente dalle misure già esistenti il valore di H0. A oggi esistono incertezze importanti su quale ne sia il valore esatto e anche sulle sue possibili variazioni durante la vita dell’Universo.
Prospettive per il futuro
La nuova astronomia multimessaggera sta permettendo la comprensione di alcuni dei fenomeni più affascinanti dell’Universo.Un quadro più ampio sarà tuttavia fornito dalla rivelazione di altri tipi di sorgenti gravitazionali, quali ad esempio le pulsar, stelle di neutroni che emettono onde gravitazionali in modo continuo e in concomitanza a emissione elettromagnetica, e le esplosioni di supernova, la cui osservazione potrebbe portare alla prima rivelazione in coincidenza fra emissione gravitazionale e di neutrini.
Il panorama futuro prevede importanti sinergie fra progetti nei quali il ruolo dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare sarà sempre di primo piano. Rivelatori gravitazionali di terza generazione (sia sulla Terra sia nello spazio) insieme alle nuove potenzialità dei rivelatori di neutrini, di raggi cosmici e di una rete di telescopi avanzati per osservazioni astronomiche dall’ottico alle alte energie, saranno il mezzo per esplorare sempre più lontano e quindi indietro nel tempo. L’insieme di questi rivelatori permetterà di studiare, su scale temporali e di energia diverse, i diversi processi fisici che concorrono a produrre questi affascinanti fenomeni cosmici. Il lavoro di preparazione per questa rete di rivelatori, che potrebbe essere operativa intorno al 2035, procede rapidamente, con la motivazione di un’alta aspettativa di nuove ed entusiasmanti scoperte volte a risolvere i misteri del nostro Universo. E, perché no, anche a mettere sotto scacco Einstein.
REFERENZE
- I. Bartos, M. Kovalski “Exploring the Universe by combining information from e.m. radiation to gravitational waves”. Physics Word Discovery (2017). Scaricabile liberamente per lettura dal sito https://iopscience.iop.org
- LIGO/Virgo Collaboration: Phys. Rev. Lett. 119, 161101 (2017), Astrophys. J. Lett. 848, L12 (2017), Nature 551, 85 (2017) (Disponibili in forma gratuita. Raggiungibili anche dalla sezione Detection Companion Papers, sotto la voce GW170817, del sito https://www.ligo.caltech.edu)
- Sito con sommari scientifici delle pubblicazioni della collaborazione LIGO/Virgo (rivolti a un pubblico di non specialisti): https://www.ligo.org
- Sito outreach Ego-Virgo, in italiano: https://www.ego-gw.it/home_page_ita/
Referenze iconografiche: Tilpunov Mikhail / Shutterstock, Vadim Sadovski / Shutterstock, iroScience / Shutterstock