Viaggiare nel tempo con Einstein Telescope

Un nuovo osservatorio per lo studio dell’universo

Il futuro osservatorio europeo di onde gravitazionali si chiamerà Einstein Telescope e avrà una sensibilità almeno dieci volte maggiore di quella dei rivelatori attualmente in funzione. Per raggiungere queste prestazioni i suoi rivelatori saranno installati in una zona a bassa attività sismica e nel sottosuolo, in modo che il rumore sismico e i disturbi generati dalle attività umane in superficie risultino attenuati. La Barbagia, in Sardegna, è stata ufficialmente candidata a ospitare l’osservatorio.

 

C’è voluto quasi un secolo perché le onde gravitazionali, la cui esistenza era stata postulata nel 1916 da Albert Einstein, fossero osservate.
Nel 1915 il primo articolo di Einstein sulla relatività generale cambia radicalmente il modo di vedere la gravitazione.
Questa viene interpretata come una deformazione dello spazio-tempo: un corpo dotato di massa deforma lo spazio-tempo nelle sue vicinanze, viceversa il moto di un corpo viene influenzato dalla forma dello spazio-tempo. Scompare il concetto newtoniano di forza di attrazione in quanto non più necessario [1]. È l’elasticità dello spazio-tempo a permettere alla onde gravitazionali, perturbazioni dello spazio-tempo, di esistere.

Analogamente alle onde che si creano sulla superficie dell’acqua quando viene colpita da un sasso, le onde gravitazionali si propagano in tutte le direzioni allontanandosi, alla velocità della luce nel vuoto, da ciò che le ha generate. A creare queste modifiche dello spazio-tempo sono spostamenti asimmetrici di corpi massivi. Si tratta di perturbazioni talmente piccole che solo eventi cosmologici di grande entità (che coinvolgano, per esempio, coppie di stelle di neutroni o di buchi neri in orbita tra loro) generano onde gravitazionali sufficientemente intense da poter sperare che siano rivelate. Per avere un’idea della piccolezza della deformazione da misurare prendiamo come esempio un sistema di due stelle di neutroni posto a 50 milioni di anni luce dalla Terra. Le due stelle, ciascuna di massa 1.4 volte la massa del Sole, ruotano una attorno all’altra a una distanza di 20 km. Quando raggiungono la Terra, le onde gravitazionali generate da questo sistema deformano un oggetto lungo 1 metro solo di un miliardesimo di miliardesimo di millimetro (un milionesimo del raggio del protone).

Gli strumenti

Per poter osservare deformazioni così piccole sono necessari degli strumenti estremamente sofisticati. Furono le barre risonanti, sviluppate da Joseph Weber a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, i primi strumenti costruiti con questo scopo. L’idea alla base del funzionamento di questi dispositivi, sostanzialmente dei sofisticati diapason, era che il passaggio di un’onda gravitazionale avrebbe messo in vibrazione questa barra alla sua frequenza caratteristica.

Versioni molto più sensibili di queste barre furono sviluppate a partire dagli anni Ottanta e restarono in funzione fino alla fine degli anni Novanta. Per ridurre il rumore termico, questi rivelatori venivano fatti funzionare a temperature (meno di 1 K) prossime allo zero assoluto, per questo motivo furono chiamate antenne criogeniche [2]. Nel momento di picco erano in funzione tre di queste barre: AURIGA (Padova), NAUTILUS (Roma), EXPLORER (CERN), ma non riuscirono mai a rivelare onde gravitazionali per la loro ridotta sensibilità1.

Nello stesso periodo si faceva strada l’idea di rivelare le deformazioni infinitesime dello spazio-tempo in una maniera completamente diversa, misurando con tecniche interferometriche lo spostamento relativo di due masse “libere” al passaggio di un’onda gravitazionale. In questo tipo di strumenti la luce emessa da una sorgente laser viene fatta passare attraverso uno specchio semitrasparente che divide il fascio in due. I fasci sono instradati in due percorsi (i “bracci” dell’interferometro) tra loro ortogonali e lunghi vari chilometri, fino a essere riflessi da due specchi (ciascuno al termine di un braccio) e tornare a incontrarsi in un opportuno rivelatore. In assenza di una deformazione dello spazio i fasci compiono esattamente lo stesso cammino ottico e quindi, quando si incontrano, si annullano a vicenda. Il passaggio di un’onda gravitazionale deforma lo spazio-tempo, così i due fasci percorrono cammini di diversa lunghezza, e questa differenza si manifesta in una figura di interferenza. In questo modo si misura la distanza percorsa dalla luce lungo i due percorsi con elevatissima accuratezza.

Questa tecnica, originariamente proposta alla fine degli anni Sessanta [3] è alla base degli unici strumenti, VIRGO (nei pressi di Pisa) e LIGO negli USA (composto da due interferometri identici posti rispettivamente in Louisiana e nel Washington State), che hanno rivelato direttamente le onde gravitazionali prodotte dalla coalescenza di due buchi neri o due stelle di neutroni. In entrambi i casi si tratta di interferometri composti da due tubi tra loro ortogonali e di uguale lunghezza, nei quali la luce viaggia nel vuoto fino a colpire gli specchi posti al termine di ciascun braccio (3 Km per VIRGO, 4 per LIGO). Con un opportuno sistema di specchi il fascio percorre alcune centinaia di volte il braccio relativo, prima di essere ricongiunto al fascio “gemello”, in questa maniera si aumenta molto la sensibilità al passaggio di un’onda gravitazionale.

La prima osservazione di un’onda gravitazionale da parte della collaborazione LIGO/VIRGO

La prima osservazione diretta di onde gravitazionali, dovuta alla coalescenza di due buchi neri di, rispettivamente, 29 e 36 masse solari e distanti 1.4 miliardi di anni luce dalla Terra, è stata fatta dalla collaborazione LIGO-VIRGO il 14 settembre 2015 [4]. Questa rivelazione è stata un evento estremamente importante da tanti punti di vista:

  • è stata confermata, a cento anni dalla pubblicazione di Einstein sulla relatività generale, l’esistenza delle onde gravitazionali;
  • è stato dimostrato che l’osservazione diretta è possibile, cosa di cui lo stesso Einstein aveva dubitato;
  • è stata anche dimostrata l’esistenza di sistemi binari di buchi neri con masse simili a quella del nostro Sole.

Un’altra pietra miliare nell’astrofisica è stata l’osservazione, il 17 agosto 2017, della prima coalescenza tra due stelle di neutroni. Rivelata da VIRGO e LIGO come onda gravitazionale [5] è stata anche osservata nello spettro elettromagnetico (ottico, raggi X e nei raggi gamma) con strumenti a Terra e in orbita.

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Questo evento ha spostato l’astronomia “multi-messaggera” dal regno della possibilità a quello della realtà. A trecento anni dalle osservazioni galileiane si è aperta una finestra completamente diversa sull’Universo che ora ci parla anche con messaggeri diversi dalla luce. Nel caso specifico di GW170817 (il nome indica il giorno della rivelazione), grazie all’identificazione della sorgente posta a 130 milioni di anni luce dalla Terra, è stato possibile effettuare una prima misura diretta della differenza tra la velocità di propagazione della luce e delle onde gravitazionali (meno di 10-15 volte c). A oggi sono stati osservati un totale di un centinaio di eventi di coalescenza tra buchi neri o tra stelle di neutroni.

Superare i limiti degli strumenti attuali: l’Einstein Telescope

Gli esperimenti VIRGO e LIGO hanno ricominciato da poco, dopo un miglioramento generale degli apparati, a osservare il cielo. A loro si è aggiunto l’esperimento giapponese KAGRA. Questa fase, che rappresenta il quarto periodo di raccolta dati (O4), terminerà nel 2024 e sarà poi seguita da un’ulteriore fase di miglioramento dei rivelatori e dal successivo periodo osservativo (O5). Al termine di quest’ultima fase (saremo nel 2028), a causa di una serie di limitazioni intrinseche degli stessi apparati, avremo esplorato “solo” l’universo “vicino” a noi, cioè eventi avvenuti non oltre 6 miliardi di anni fa [6]. Per quanto questo sia già un risultato di grandissima importanza, volendo andare oltre sappiamo già che bisogna allargare sia la banda di frequenze rivelabili che la sensibilità dello strumento stesso. Sono questi gli obiettivi degli osservatori che vengono definiti di terza generazione e che sono stati immaginati sin dal 2004, ben prima della prima osservazione di un’onda gravitazionale.

In Europa il progetto del prossimo osservatorio di onde gravitazionali è noto come Einstein Telescope (ET) [7]. I suoi punti di forza saranno una sensibilità almeno dieci volte superiore a quella attuale di VIRGO e LIGO e una più ampia risposta in frequenza. Vediamo meglio come si ottiene questo risultato.

La sensibilità scala direttamente con la lunghezza dei bracci: questi saranno lunghi 10 km e disposti, almeno nel progetto-base, come lati di un solo triangolo equilatero. Al contempo si sta anche studiando – come alternativa al triangolo singolo – di costruire una coppia di interferometri tradizionali a “L” (posti a grande distanza relativa) con i “bracci” disposti a 90 gradi ma lunghi ben 15 km.

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Per estendere la banda di frequenze che si riescono a rivelare l’idea è di raddoppiare ciascun interferometro, costruendone uno ottimizzato per la risposta alle frequenze più basse e uno dedicato alle frequenze più alte, un po' come si fa per gli altoparlanti che hanno un diffusore dedicato ai suoni bassi e uno per quelli medi/alti. Ottenere uno strumento con una buona sensibilità alle basse frequenze (pochi Hz) rappresenta una sfida incredibile: si tratta di una regione dove a limitarci sono anche le vibrazioni degli atomi da cui sono costituiti gli specchi. Per ridurre questo disturbo bisogna raffreddare gli specchi a temperature vicine allo zero assoluto.

Naturalmente sono in corso anche ricerche per ottenere miglioramenti legati ad altre fonti di rumore: si va dallo studio di nuovi materiali per gli specchi, a laser di potenza ancora più performanti e che siano al contempo estremamente stabili.

Il sito

Abbiamo detto che la rivelazione delle onde gravitazionali avviene misurando gli spostamenti di due masse “libere”. Con questo termine intendiamo oggetti (gli specchi) che siano disaccoppiati dal loro supporto (come se fossero sospesi in aria). Effettivamente in VIRGO e LIGO gli specchi (al pari di tutta la strumentazione rilevante) sono attaccati, utilizzando fibre di quarzo, a particolari sospensioni che attenuano le vibrazioni del terreno di un miliardo di volte.

Il pianeta su cui viviamo è in continuo movimento e non solo per i terremoti: è infatti presente una sorta di microsisma, dovuto a molteplici cause, tra le quali ad esempio le onde del mare, che fa continuamente vibrare, in un modo per noi impercettibile, la superficie terrestre. Tutto questo avviene a frequenze inferiori a circa10 Hz. A questo tremito naturale, e a frequenze appena superiori, si aggiungono le vibrazioni dovute all’attività dell’uomo (mezzi di trasporto, industrie, pale eoliche ecc.). Per raggiungere i suoi obiettivi scientifici e sfruttare al meglio il suo apparato effettuando misure a basse frequenze, ET dovrà essere collocato in un luogo dove questi tremori (sia di origine naturale che antropica) siano ridotte al minimo.

Per ridurre in maniera sensibile l’effetto delle vibrazioni generate in superficie è nata l’idea di collocare questi enormi interferometri nel sottosuolo, sfruttando l’attenuazione naturale di questi tremolii superficiali. Questo però non è sufficiente. Come sappiamo, l’Italia è un territorio ad alta densità di popolazione, e dove si convive (quasi dappertutto) con moti sismici di varia intensità. L’eccezione è la Sardegna dove la densità di popolazione è ridotta, ed è al contempo una zona di bassa sismicità e piuttosto lontana da faglie attive.

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Nel corso degli ultimi dieci anni è stata effettuata una importante campagna di caratterizzazione nel sito di Sos Enattos, una ex-miniera di piombo e zinco nelle vicinanze del paese di Lula (Nuoro), utilizzando sismometri e magnetometri. I risultati mostrano che il sottosuolo della Barbagia è forse il sito più “silenzioso” al mondo, un sito ideale per ET, e quindi la Sardegna è stata ufficialmente candidata dall’Italia a ospitare l’osservatorio mentre, al contempo, l’Olanda propone di collocare ET nella zona di Maastricht, una regione dove i Paesi Bassi confinano anche con Belgio e Germania. Attualmente la collaborazione scientifica internazionale sta studiando i pro e i contro dei due siti.

I prossimi passi

La scelta finale su dove costruire dovrebbe avvenire nel 2025, e verrà fatta in base a criteri scientifici; sarà inevitabile, tuttavia, tener conto di aspetti socioeconomici e politici. Una infrastruttura di ricerca come ET costa infatti circa due miliardi di euro e, tipicamente, la metà dei costi viene pagata dallo Stato che ospita l’installazione. Come accennato all’inizio un interferometro triangolare in unico sito non è però l’unica opzione: un recente studio ha mostrato che la configurazione con due interferometri a “L” con bracci lunghi 15 km, uno in Sardegna e uno in Olanda, fornisce opportunità di misura scientificamente superiori a quelle fattibili nella configurazione a “triangolo” in un solo sito in praticamente tutti i casi studiati. La scelta della configurazione finale, ed eventualmente del sito (o dei siti), dovrebbe avvenire entro il 2026. Negli Stati Uniti, un analogo progetto per un osservatorio di terza generazione, si sta concentrando sull’ipotesi di costruire due interferometri, con i bracci disposti a 90 gradi, ma di lunghezza di rispettivamente 40 (20) km nel primo (secondo) interferometro.

 

1 Due di queste (AURIGA e NAUTILUS) sono in esposizione presso i Laboratori Nazionali dell’INFN, rispettivamente di Legnaro (Padova) e Frascati (Roma).

Referenze
Per ulteriori approfondimenti

 

 

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Referenze iconografiche: Radharc Images / Alamy Stock Photo; Rubin Observatory/NOIRLab/NSF/AURA/P.Marenfeld; I
NFN/Laboratori Nazionali del Sud; © INFN/Laboratori Nazionali del Sud

Alessandro Cardini

È direttore della Sezione di Cagliari dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Dopo il Dottorato di Ricerca in Fisica presso UniPI, ha lavorato tre anni come postDoc alla UCLA, partecipando ad esperimenti di fisica delle particelle al CERN. Ricercatore INFN dal 1997, collabora all'esperimento LHCb al CERN e, più recentemente, anche al futuro esperimento Einstein Telescope, dove si occupa dello sviluppo di nuovi dispositivi optoelettronici e della caratterizzazione del sito sardo candidato a ospitare questa futura infrastruttura di ricerca.