Affrontare il clima che cambia

Una delle principali parole chiave quando si parla di cambiamenti climatici è adattamento, cioè elaborazione di misure per ridurre al minimo i rischi posti dalle nuove condizioni.

Il 16 giugno 2015, con un decreto del Ministero dell’Ambiente, è nata anche in Italia, come già in altri Paesi, la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici: un documento che indica i princìpi e le misure per prevenire e ridurre al minimo i rischi derivanti dai cambiamenti climatici. Obiettivi: proteggere la salute, il benessere e i beni della popolazione, preservare il patrimonio naturale del Paese, mantenere o migliorare la resilienza e la capacità di adattamento dei sistemi naturali, sociali ed economici, nonché trarre vantaggio da eventuali opportunità che si potranno presentare con le nuove condizioni climatiche. Al termine di questo articolo cercheremo di delineare i punti fondamentali della strategia, mostrando qualche esempio di applicazione. Adesso, però, è necessario fare un passo indietro per capire perché fosse necessaria e quale ruolo potrà avere la scienza nel trasformarla in un vero piano di adattamento, con azioni concrete.

Che cosa sta accadendo al clima del pianeta?

Intense anomalie climatiche verificatesi negli ultimi decenni hanno unanimemente indotto la comunità scientifica a riconoscere l’esistenza di una modificazione sostanziale del clima osservato, causata in gran parte da attività umane che hanno prodotto una crescita eccezionale delle concentrazioni in atmosfera di gas a effetto serra, responsabili principali di queste modifiche. Dai rapporti dell’International Panel on Climate Change, un gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc), emerge l’immagine di un mondo in via di generale riscaldamento, con le emissioni di gas serra che continuano a crescere. Tutti gli scenari climatici propongono uno stato del pianeta caratterizzato da un aumento globale delle temperature e del livello dei mari e da profonde modifiche anche degli eventi meteorologici estremi, come onde di calore, lunghi periodi di freddo intenso o siccità, precipitazioni massicce. È indubbio che tale cambiamento persisterà per secoli, e potrà essere più o meno intenso a seconda degli scenari di emissione di gas serra, e quindi dei differenti scenari di sviluppo economico che il mondo saprà darsi.

È altrettanto indubbio che le modifiche del clima stanno già producendo e produrranno grandi impatti, alterando le condizioni di rischio per l’umanità. È necessario porre rimedio a queste evidenze per nulla incoraggianti, e le “cure” sono note: per diminuire i danni è necessario sia agire sulle cause, attraverso politiche di mitigazione che riducano in maniera drastica le emissioni di gas serra, sia attenuare gli effetti di tali impatti attraverso misure di adattamento.

Anche in Italia il clima cambia

Le modifiche del clima sono evidenti anche a scala locale. Nel nostro Paese, oltre al generale aumento della temperatura, che mostra un andamento simile a quello rilevabile sull’intero pianeta, sono oramai sempre più frequenti prolungati periodi di anomalia termica, come l’eccezionale estate calda del 2015 (al link seguente alcuni dettagli, dal sito di Arpa Emilia Romagna), seconda solo a quella eccezionale del 2003. Ormai non destano più stupore estati con giorni e giorni di caldo eccezionale, con temperature massime anche superiori a 35-36 °C e che causano gravi impatti sulla salute delle persone. Come se non bastasse, spesso questi periodi di super caldo sono associati a prolungati periodi di siccità, che causano carenze idriche che mettono in crisi l’agricoltura, l’industria, il turismo o addirittura i servizi di distribuzione di acqua potabile (uso idropotabile).

Quanto alle piogge, si osservano sempre più spesso eventi molto intensi e rapidi che si abbattono su città e paesi, provocando alluvioni improvvise, con danni anche ingenti e talvolta perdite di vite umane. Basti citare l’alluvione di Genova nell’ottobre del 2014, durante la quale piovvero più di 500 mm di precipitazione in poche ore, quantitativi tipici delle aree tropicali del pianeta. La lista delle alluvioni in Italia negli ultimi anni è allarmante (un elenco da Wikipedia) e, si stima, purtroppo destinata a crescere rapidamente in futuro. A livello globale, secondo il report The Globale Climate 2001-2010 dell’Organizzazione meteorologica mondiale, nel decennio in questione sono stati ben 370 000 i decessi imputabili all'impatto dei fenomeni meteorologici estremi: il 20% in più rispetto al decennio precedente.

Scenari poco tranquillizzanti

Insomma, i cambiamenti climatici continueranno a produrre impatti sull’uomo e l’ambiente in cui vive, interferendo con i sistemi sociali ed economici. Concentrandoci sull’area del Mediterraneo, nella quale si colloca l’Italia, proviamo a riassumere gli impatti più rilevanti. La maggior frequenza di episodi di precipitazione intensa farà crescere il rischio idrogeologico in aree già molto esposte. In parallelo, e quasi paradossalmente, questi eventi saranno intervallati da lunghi periodi di siccità, con alterazione del ciclo idrologico e carenze idriche: un aspetto che aumenterà la competizione tra diversi settori della società che fanno uso di acqua (agricoltura, industria, uso civile). L’innalzamento del livello del mare, con aumento degli eventi di invasione marina delle aree costiere più basse, potrà accelerare l’erosione delle coste e innalzare la salinità negli estuari e nei delta. Il maggior numero di onde di calore creerà problemi di salute in alcune fasce delle popolazioni coinvolte (in particolare le persone anziane), ricadute negative sul turismo, più incendi boschivi, maggiore richiesta di energia per il raffreddamento. Senza contare che l’ulteriore impoverimento delle acque superficiali e sotterranee, causate dal super caldo estivo, determinerà un maggior inaridimento del territorio con conseguenze negative sull’agricoltura, come riduzione delle rese e della qualità delle produzioni agrarie. Ce n’è abbastanza per essere preoccupati.

Adattarsi al cambiamento

Date queste premesse, diventa sempre più strategico attuare sia politiche di mitigazione che conducano a una riduzione delle emissioni di gas serra, sia azioni di adattamento orientate a limitare i danni. Mentre le prime possono essere attuate solo attraverso trattati internazionali – come il trattato di Parigi del dicembre 2015 – e interventi globali di coordinamento, eventualmente declinati su scala locale, le seconde possono e devono essere soprattutto locali, in quanto dipendono dalle condizioni di vulnerabilità dei singoli territori. Le misure di adattamento possono essere di vari tipi:infrastrutturale e tecnologico, soft, cioè di tipo non strutturale, con costi di attuazione trascurabili rispetto ai danni derivanti dalla non applicazione o verde, cioè connesso all’uso di servizi ecosistemici che rendono più resiliente il territorio. Come esempi possiamo citare la riforestazione, la riqualificazione dei corsi d’acqua, con mantenimento dei deflussi minimi vitali e della qualità ecologica, la protezione delle zone umide, l’ottimizzazione della gestione delle risorse, la prevenzione dei rischi, l’adozione di buone pratiche in agricoltura, come la rotazione delle colture o l’uso di colture che richiedano poca acqua. Rispetto alla produzione e al consumo di energia, estati più lunghe e secche potrebbero incidere negativamente su fonti energetiche come quella idroelettrica, offrendo nuove opportunità allo sviluppo di fonti rinnovabili come l’eolico, il solare termico e il fotovoltaico e di nuove reti di distribuzione in grado di far fronte a fluttuazioni consistenti di domanda e produzione di energia elettrica. Rispetto all’uso dell’acqua, infine, dovrebbero essere studiate azioni di adattamento come l’applicazione di politiche tariffarie efficienti, l’aumento del risparmio idrico e il miglioramento dei sistemi di distribuzione. Ma sono solo alcuni esempi: per un quadro veramente esaustivo, raccomandiamo la lettura completa della Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.

La scienza al servizio della società

La ricerca scientifica è fondamentale per definire le azioni di adattamento, da trasformare in piani attuabili da parte dei policy makers. Perché, ricordiamolo, la Snac è una strategia che offre supporto tecnico alle scelte da fare, ma la trasformazione in piani concreti di adattamento è competenza della politica.

È indubbio che, in vari settori, esistono ancora molte lacune conoscitive che devono essere colmate. Sul fronte del puro monitoraggio dello stato del clima, essenziale per predisporre qualunque azione di adattamento, certamente bisognerà mantenere i sistemi di monitoraggio e le serie storiche di dati esistenti, ma sarà anche necessario sviluppare nuove metodologie di monitoraggio delle variabili climatiche e condividere metodi comuni di utilizzo dei dati. Su quello della modellazione è necessario dare impulso allo sviluppo di modelli climatici ad alta risoluzione spaziale (cioè sotto i 5 km), più idonei alla simulazione degli eventi estremi, e all’utilizzo di strumenti in grado di quantificare l’incertezza di tali simulazioni.

E ancora: serviranno nuovi modelli di impatto dei cambiamenti climatici per molti ecosistemi, come le aree costiere, studi di impatto economico in settori rilevanti per l’Italia, come il turismo, i trasporti, l’energia e il commercio, ulteriori modelli di valutazione dei danni potenziali causati dal cambiamento climatico a seconda dei diversi scenari di emissione e/o di stabilizzazione dei gas serra. Infine, rispetto alle azioni di adattamento, la ricerca va estesa alla valutazione dei rapporti costi/benefici tra le diverse opzioni e politiche

PER APPROFONDIRE ONLINE

Scheda didattica – Affrontare il clima che cambia, di Giulia Realdon Download

Referenze iconografiche:  Dietrich Leppert/Shutterstock

Carlo Cacciamani e Sergio Castellari

Carlo Cacciamani, fisico e climatologo, è direttore del servizio IdroMeteoClima di Arpa Emilia Romagna. Si occupa di climatologia e di previsione meteorologica ad area limitata ed è esperto di sistemi di early warning.
Sergio Castellari, fisico e climatologo, lavora all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e dal 2015 è esperto nazionale distaccato presso l’Agenzia ambientale europea. Esperto di adattamento ai cambiamenti climatici, già focal point per l’Italia di Ipcc, è coordinatore della Snac.