Alcune riflessioni a un anno dall’inizio della guerra in Ucraina

Gli effetti sull’economia mondiale: conferme e nuovi scenari

Dopo un anno di guerra in Ucraina è possibile fare un bilancio delle conseguenze del conflitto sull’economia globale.

La guerra in Ucraina si è trasformata da guerra lampo in una guerra di trincea che vede gli schieramenti contendersi pochi chilometri al confine del Donbass, senza che ci siano al momento prospettive di pace o di accordo.
Se, dunque, non è chiaro cosa succederà nei prossimi mesi, possiamo però fare un primo bilancio sulle conseguenze della guerra a un anno dall’inizio delle ostilità. L’obiettivo di questo scritto è sottolineare le criticità che sono emerse e le possibili traiettorie che l’economia mondiale ha intrapreso, nella consapevolezza che un episodio di questa rilevanza ai confini dell’Unione Europea può avere ricadute importanti a livello mondiale.

Una breve analisi delle economie dei due contendenti

L’economia ucraina ha avuto un colpo durissimo dalla guerra. La Banca Mondiale stima, sulla base dei dati presentati da Kiev, che il PIL ucraino si è ridotto del 30% nel 2022, che un terzo della popolazione ha lasciato le proprie case e che 8 milioni di ucraini (il 18% circa della popolazione) vive sotto la soglia di povertà. In termini economici risulta rilevante la distruzione della capacità produttiva e delle vie di comunicazione, che si accompagna al crollo dell’offerta di lavoro.
Importante è stato l’accordo del luglio 2022, prorogato all’inizio di marzo 2023, firmato da Federazione Russa, Turchia, Ucraina e Nazioni Unite, che ha permesso all’Ucraina di spedire i cereali prodotti attraverso il Mar Nero. L’accordo, secondo le Nazioni Unite, ha consentito l’esportazione di 24 milioni di tonnellate di cereali. Nonostante ciò, la Banca Mondiale stima che la ricostruzione e la ripresa dell’economia ucraina richiederanno investimenti per oltre 350 miliardi di dollari.

Anche la Federazione Russa ha visto una contrazione della sua economia. Se le stime iniziali prevedevano una contrazione nell’ordine del 10-15% dell’economia russa, la Banca Mondiale ha ridimensionato tale stima al 4,5% nel 2022 (mentre il servizio statistico russo parla di una riduzione del 2,1%): un dato significativo, ma comunque inferiore alle aspettative. La combinazione di politica fiscale espansiva e aumento generale dei prezzi energetici ha consentito di mantenere elevato il reddito nazionale. Occorre tuttavia considerare che l’incertezza del futuro non dipende solo dall’impatto economico della guerra, ma dai suoi effetti sulla società russa nel suo complesso e, in particolare, sulla generazione che è stata spedita al fronte.

Uno sguardo allargato

Se questi sono gli effetti (alcuni) sulle economie dei due paesi, è necessario allargare lo sguardo per vedere che cosa è successo a livello mondiale nell’ultimo anno, tenendo conto che la crisi russo-ucraina è solo uno degli shock che l’economia globale ha subito in tempi recenti, shock che si stanno rinforzando a vicenda.

La crisi finanziaria di inizio secolo ha messo in moto la riorganizzazione globale delle catene produttive e l’emergere della Cina come leader economico di primissimo ordine. Gli effetti della globalizzazione, d’altra parte, hanno contribuito alla vittoria dei fautori della Brexit. La pandemia ha poi evidenziato l’esistenza di molteplici squilibri nelle catene della produzione globalizzate e ha riportato al centro il ruolo dello Stato nell’economia. Tra gli effetti della pandemia vi è stato anche il ritorno dell’inflazione, dopo quasi quattro decenni all’insegna della “grande moderazione” di salari e prezzi.

La guerra si è dunque innestata su un sistema già sotto stress, scompaginando i mercati alimentari così come quelli energetici. Senza dimenticare, sullo sfondo, una crisi climatica i cui effetti – inondazioni, ondate di calore, incendi – determinano giorno dopo giorno un elevato costo per le economie.

Che cosa è successo nel mondo

Gli shock appena elencati hanno dato un duro colpo all’economia mondiale appena uscita dalla pandemia.

La figura 1 riporta il tasso di crescita di Pil e Commercio mondiale fra il 2010 e il 2023 (per quest’ultimo anno il dato è una stima). Dopo il rimbalzo post Covid, il 2022 ha visto un rallentamento: il tasso di crescita del Pil si è dimezzato, passando dal 5,8% al 3%. Le stime per il 2023 prevedono una riduzione ulteriore, con una crescita intorno al 2%.

Il Commercio mondiale, pur soffrendo nella prima parte del 2022, ha visto un aumento nella seconda metà dell’anno, anche se le previsioni per il 2023 vedono un aumento anemico dell’1%. Più che dagli effetti della guerra, sembra che gli andamenti per quest’anno dipendano in larga parte dall’inflazione (mediamente del 9% nel 2022) e dalle vulnerabilità delle catene globali del valore. La guerra non ha affossato il commercio internazionale – come hanno fatto la crisi finanziaria e la pandemia – ma, dopo i mesi iniziali, il commercio ha intrapreso altre direzioni e vie. Secondo il WTO, questo è vero anche per i prodotti fortemente interessati dalla guerra e mostra chiaramente la resilienza di un sistema commerciale integrato e multilaterale.

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Figura 1: Tasso di Crescita di commercio e Pil mondiale (i valori 2022 e 2023 sono stimati).
Fonte: World Trade Organization.

Riprendiamo di seguito alcuni aspetti, che riguardano effetti e criticità connessi alla guerra, già affrontati in un precedente contributo pubblicato ad aprile 2022 dal titolo Alcune riflessioni sulle conseguenze economiche della guerra in Ucraina.

L’aumento dei prezzi dell’energia

Nel precedente contributo sottolineavamo come un effetto rilevante della guerra sarebbe stato l’aumento del costo delle materie prime (gas e petrolio).

Il prezzo petrolio (Brent) aveva avuto il suo minimo nell’aprile del 2020, per poi crescere lentamente durante il 2021. Proprio alla fine di quell’anno si era avuta un’accelerazione; pochi mesi dopo, l’inizio delle ostilità ha buttato benzina sul fuoco, facendo schizzare il prezzo del Brent oltre i 100 dollari al barile; questa quota è stata mantenuta fino a metà 2022, quando il prezzo ha iniziato la sua discesa (al momento della stesura di questo articolo, oscilla fra i 70 e gli 80 dollari a barile).

Ben diversa è la situazione relativa al gas naturale. Perdere il fornitore russo ha portato i prezzi alle stelle. Il Natural Gas EU Dutch TTF, il prezzo di riferimento in Europa, ha visto il suo picco ad agosto 2022, quando è arrivato a poco meno di 350 euro per megavattore-per ora. L’effetto per economie che dipendono molto dal gas russo, come la Germania e l’Italia, è stato rilevante. Da una parte ha spinto in alto i prezzi delle produzioni e dall’altra ha colpito i redditi delle famiglie. Il prezzo si è ridotto all’inizio dell’autunno (pur rimanendo sopra i 100 euro), per aumentare di nuovo alla fine di dicembre, quando ha raggiunto i 140 euro, e scendere poi fino ai 40 euro attuali. L’aumento dei prezzi ha portato diversi governi a rivedere le politiche energetiche e riorganizzare il loro approvvigionamento (per esempio puntando sui rigassificatori, o aumentando le forniture da altri paesi).

La crisi, tuttavia, non sembra averci spinto verso un massiccio uso di fonti rinnovabili o un ripensamento delle nostre abitudini di consumo.

L’aumento dei prezzi dei beni alimentari

L’Indice FAO dei prezzi alimentari (FFPI) è una misura della variazione mensile dei prezzi internazionali di un paniere di prodotti alimentari. Consiste nella media di cinque indici dei prezzi dei gruppi di materie prime ponderati per le quote di esportazione medie di ciascuno dei gruppi nel periodo 2014-2016. Nella figura 2 vengono riportati il valore del FFPI e quello di una delle sue componenti, l’indice dei prezzi dei Cereali. Entrambi gli indici stavano aumentando già prima della guerra, ma quest’ultima ha avuto un effetto dirompente, e in pochi mesi il FFPI è passato da 133 (all’inizio del 2022) a quasi 154,6 punti, con un aumento di circa il 16,20%. L’indice relativo ai Cereali segue lo stesso trend crescente, aumentando del 21% con lo scoppio della guerra. Nella seconda parte dell’anno, anche grazie all’accordo che abbiamo citato sull’esportazione del grano ucraino, i prezzi si sono ridotti, anche se quello dei Cereali si mantiene elevato.

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Figura 2: Indici mensili FAO dei prezzi reali dei prodotti alimentari.
Fonte: UN-FAO. 2014-2016=100.

L’inflazione

D’altra parte, l’aumento delle materie prime ha portato a un’ulteriore spinta dell’indice generale dei prezzi. Le tendenze inflazionistiche, dovute all’accresciuta domanda mondiale post Covid-19 e ai colli di bottiglia nelle catene globali del valore, sono state rinforzate dall’aumento del costo delle materie prime.
Nella figura 3 si riportano, per l’area Euro, l’inflazione totale, l’inflazione calcolata considerando tutti i beni con l’eccezione dell’energia e del cibo (core inflation) e, infine, l’inflazione dei soli beni energetici. Dopo ben quattro decenni, l’inflazione a due cifre si è presentata nuovamente alle nostre porte. Dal grafico si evince come l’aumento dei prezzi dei beni energetici (e del food) sia una componente rilevante dell’inflazione totale. Senza questi, infatti, l’inflazione non avrebbe superato il 6%. Quella che per molti doveva essere una conseguenza – scomoda – della pandemia sembra invece avere un carattere persistente.
Ciò ha spinto le banche centrali ad attuare una politica monetaria restrittiva per cercare di tenere a bada l’inflazione e, soprattutto, le aspettative al rialzo dei prezzi. La Federal Reserve ha fatto da apripista, con la BCE a seguire.
L’aumento dei tassi di interesse sta avendo effetti indesiderati sul sistema finanziario, facendo emergere un trade-off fra lotta all’inflazione e stabilità finanziaria. Il rapido crollo della Silicon Valley Bank e la successiva crisi del Credit Suisse sembrano essere una (neanche così) indiretta conseguenza dell’aumento dei tassi, riaprendo la prospettiva di una possibile crisi bancaria sistemica.

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Figura 3: Tassi di inflazione HICP (area Euro)
Fonte: Banca Centrale Europea

Una “vecchia lezione”

La guerra, con i suoi effetti, ci ricorda che la scienza economica non può che essere l’analisi di un sistema complesso e adattivo: un sistema che, secondo le parole dell’economista inglese Brian Arthur, presenta elementi multipli che si adattano e/o reagiscono continuamente.

Gli shock che si sono ripetuti negli ultimi anni non sono altro che le risposte endogene del sistema che evolve nel tempo. La multilateralità e la maggiore integrazione dei mercati hanno mostrato la faccia resiliente della globalizzazione. Le filiere integrate dei beni intermedi sono cresciute del 4% nel secondo semestre del 2022 (secondo una stima del WTO), nei fatti mostrando come uno shock nella rete delle catene del valore sia stato assorbito e abbia trovato altre strade. Se è vero che una maggiore integrazione favorisce e velocizza la propagazione degli shock, d’altra parte sembra permettere una risposta (quasi) immediata allo shock stesso. Paesi dipendenti dalla Russia e dall’Ucraina per le loro importazioni, dopo un primo momento di difficoltà, hanno cambiato fornitori.

Un esempio lo indica il WTO stesso nel suo rapporto sugli effetti nel commercio della guerra. L’Etiopia faceva affidamento su Ucraina e Russia per il 45% delle sue importazioni di grano. Il paese ha reagito alla perdita della maggior parte delle forniture aumentando gli acquisti da altri produttori, come gli Stati Uniti (i cui volumi sono aumentati del 20%) e l’Argentina, che ha fornito il 21% del grano importato dall’Etiopia nel 2022.

Un nuovo attore

L’effetto più peculiare di questa guerra è la definitiva consacrazione della Cina come attore economico mondiale, in contrapposizione agli Stati Uniti. La riorganizzazione produttiva a livello globale va sempre di pari passo agli equilibri fra le diverse aree. Se da una parte gli Stati Uniti hanno rinforzato i rapporti coi paesi europei, dall’altra la Cina, aiutando più meno indirettamente la Russia, ha consolidato la sua posizione a livello internazionale, proponendosi sempre di più come una possibile alternativa. La sua mediazione nell’accordo fra Iran e Arabia Saudita è solo uno degli esempi più concreti.

Il mondo si sta riorganizzando intorno a diversi poli d’influenza. Resta da capire che cosa succederà all’Unione Europea: un’area popolata da 450 milioni di persone che, agendo bene e in modo unitario, potrebbe uscire da questa guerra e diventare un polo attrattore, protagonista a livello mondiale dal punto di vista sia produttivo sia politico e portatore di una visione specifica e, ci auguriamo, pacifica del mondo. Ma le opportunità chiedono sapienza e impegno per essere colte.

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Referenza iconografica: evan_huang / Shutterstock

Giorgio Ricchiuti

Laureato in Economia politica, ha inoltre conseguito il Dottorato di Economia dello sviluppo. È professore associato presso il Dipartimento di Scienze per l'Economia e l'Impresa dell'Università di Firenze, dove tiene corsi di Economia internazionale, Macroeconomia ed Economia computazionale. È autore di diverse pubblicazioni Paramond.