Economia comportamentale e studi di genere
Quali fenomeni sociali, psicologici e culturali influenzano i comportamenti economici
Economisti, psicologi e antropologi indagano origine e natura del divario di genere.
L’individuo, tra razionalità ed emotività
L’economia comportamentale studia l’influenza dei fattori cognitivi, emotivi, sociali e culturali sulle decisioni economiche. Essa combina metodi di ricerca propri dell’economia e della psicologia al fine di elaborare modelli economici che predicano con maggior precisione il reale comportamento umano.
Esperimenti di laboratorio, questionari e interviste effettuate dagli economisti comportamentali hanno dimostrato che, differentemente da quanto teorizzato dalla teoria standard del comportamento, l’agente economico non è un essere perfettamente razionale e auto-interessato. Al contrario, questi incorre in errori di calcolo sistematici, è spesso mosso da istinto e, talvolta, è persino disposto a perdere denaro pur di “punire” un comportamento ritenuto ingiusto.
È diventato celebre, a tal proposito, il gioco dell’ultimatum, introdotto nel 1982 dall’economista tedesco Werner Güth. Il gioco prevede che due partecipanti, un proponente e un ricevente, abbiano a disposizione una determinata somma di denaro da spartire (ad esempio, 10 euro), nota a entrambi, ma che solo il proponente abbia la facoltà di decidere come dividere con il ricevente: ad esempio, 8 euro al proponente e 2 al ricevente; oppure 5 euro al proponente e 5 al ricevente, e così via. Il ricevente ha la facoltà di rifiutare l’offerta se la considera iniqua. Se il ricevente accetta il denaro, entrambi i partecipanti al gioco ricevono la somma pattuita; se rifiuta, nessuno riceve alcunché.
Secondo la teoria economica standard, il ricevente dovrebbe accettare anche una somma considerata generalmente iniqua: ad esempio, 1 euro contro i 9 euro tenuti per sé dal proponente, in quanto 1 euro è sempre meglio che 0. Gli esperimenti hanno, tuttavia, mostrato che le persone sono disposte a rinunciare al denaro pur di penalizzare chi, a loro parere, ha proposto una suddivisione iniqua.
Tale, semplice gioco, divenuto molto popolare tra gli economisti comportamentali, è stato proposto a studenti, lavoratori e professionisti in tutto il mondo. Esso ha messo in luce quanto il concetto stesso di “equità” possa variare tra società e culture diverse. I ricercatori hanno, infatti, mostrato che nelle società a economia avanzata le persone offrono una quantità di denaro che si aggira attorno al 40% della somma inizialmente ricevuta; la percentuale varia, anche significativamente, quando lo stesso gioco viene proposto in società in via di sviluppo, o tribali (Henrich, 2000).
Invisibili barriere, sociali e psicologiche
Esperimenti analoghi hanno rilevato anche la presenza di alcune differenze di genere. Quando il ricevente è una donna, sia uomini sia donne offrono una somma più contenuta di denaro, verosimilmente in quanto entrambi si aspettano che le donne siano disposte ad accettare somme inferiori di denaro. D’altro canto, le donne accettano più frequentemente somme di denaro più inique, probabilmente, per evitare situazioni di conflitto. Tali risultati, secondo i ricercatori, porterebbe alla luce una norma sociale invisibile a sfavore delle donne, eppure piuttosto radicata nella nostra società, che spiegherebbe perché le donne spesso ricevono (e accettano) una retribuzione inferiore rispetto agli uomini per la stessa posizione lavorativa (Solnick, 2001).
In seguito ai lavori originariamente pubblicati dagli psicologi Daniel Kahneman e Amos Tversky (1974, 1979, 1982), gli economisti comportamentali hanno condotto esperimenti altrettanto numerosi per studiare i processi decisionali delle persone in situazioni di rischio e incertezza. Differentemente da quanto statuito dalla teoria della scelta razionale, secondo la quale l’agente economico dovrebbe valutare con lo stesso peso la probabilità di profitti e perdite, è stato mostrato che le persone preferiscono un guadagno certo a uno probabile, ma preferiscono una perdita probabile a una certa. In altri termini, l’intensità del dispiacere di perdere 100 euro (alla lotteria, o per strada) è maggiore dell’intensità del piacere di vincere la stessa somma (alla lotteria, o trovandola per strada). In ambito finanziario ciò significa che gli investitori tendono ad assumersi più rischi se questo significa evitare una perdita certa; al contrario, tendono a essere più prudenti di fronte all’opportunità di percepire un guadagno sicuro.
Tale evidenza scientifica ha stimolato studi di genere nell’ambito dell’avversione al rischio. Alcuni di questi hanno inizialmente mostrato che le donne hanno una maggiore avversione al rischio e, conseguentemente, adottano un atteggiamento più prudente rispetto agli uomini nei confronti di occasioni di investimento. Da una parte, tali risultati hanno favorito la concessione di prestiti alle donne che volessero aprire un’attività commerciale, in quanto ritenute più prudenti rispetto agli uomini; dall’altra, in ambito manageriale, gli stessi risultati hanno indotto a rinforzare la persuasione generale che le donne siano inadeguate a coprire posizioni al vertice direttivo, che sovente implicano scelte rischiose per le società.
Ciò ha contribuito a consolidare il fenomeno del cosiddetto glass ceiling (“volta di cristallo”): ovvero, la presenza di invisibili barriere di natura psicologica che ostacolano la carriera professionale di una donna 1.
Fattori e stereotipi culturali
Secondo altri ricercatori, tuttavia, fenomeni come quello del glass ceiling dipendono più da stereotipi culturali che dalle capacità di una persona legate al suo genere.
Già nel 1980 l’antropologo olandese Geert Hofstede mostrava che alcune dimensioni culturali, quali la distanza gerarchica (cioè la misura con cui i membri con minore potere di un’organizzazione accettano una distribuzione ineguale del potere stesso) e la mascolinità di una cultura (ovvero l’importanza data dalla società a determinati stereotipi maschili quali assertività, competizione, ambizione, materialismo) sono tra i fattori principali della discriminazione di genere in ambito professionale.
Nei Paesi che, notoriamente, condividono tali tratti culturali, come il Sud Korea e il Giappone, la percentuale della presenza femminile in posizioni di vertice è, difatti, decisamente moderata. In Giappone, ad esempio, solo il 5,3% delle donne è presente nel comitato direttivo delle società private e solo il 10,1% è in Parlamento. Analogamente, in Sud Korea solo il 2,3% del comitato direttivo di società è composto da donne, e il 17% delle donne ricopre seggi in Parlamento. Al contrario, in società più egalitarie e incentrate più sulle relazioni umane che sulla competitività, come sono tradizionalmente i Paesi del Nord Europa, la presenza femminile è quasi pari a quella maschile (in Norvegia, ad esempio, le donne occupano il 40,2% dei posti nei comitati direttivi delle società e il 45% dei seggi in Parlamento) 2.
Ulteriori ricerche nel campo dell’economia comportamentale sembrano confermare che le differenze di genere abbiano origine in gran parte da fattori culturali, piuttosto che genetici. Niederle e Vesterlund (2010) hanno mostrato che, benché tradizionalmente si considerino meno portate per la matematica dei ragazzi, le ragazze ottengono risultati loro analoghi nei test elargiti in contesti non competitivi, oppure a gruppi di sole donne. Gneezy et al. (2009) hanno osservato che nelle piccole società patriarcali (ad esempio, i Masai della Tanzania) il profilo competitivo rispecchia le differenze di genere presenti nelle società occidentali. Nelle società matriarcali (ad esempio, i Khasi in India) le donne presentano, invece, un atteggiamento competitivo più spiccato rispetto agli uomini e pur tuttavia, quando necessario, cooperano al fine di preservare il bene della comunità.
Parzialmente collegato al fenomeno del glass ceiling è il cosiddetto glass cliff (“dirupo di vetro”). Esso indica la circostanza per la quale le donne hanno maggiori probabilità di “rompere la volta di cristallo” e assumere posizioni di leadership in società (o partiti politici) in condizioni di precarietà o stato di crisi, in quanto ritenute perdite accettabili o, comunque, sacrificabili nel caso di fallimento.
Un caso emblematico è quello di Kim Cambpell, prima donna a essere eletta Primo Ministro canadese (1993), proprio quando il suo partito politico si trovava in grave crisi, e che perse le elezioni solo qualche mese dopo. Un caso simile è quello di Liz Truss, che successe al Primo Ministro inglese Boris Johnson in un momento di crisi del partito e rimase in carica per soli quindici giorni (settembre 2022). Tra i casi di successo di una donna eletta o assunta in una situazione di precarietà si annoverano quello di Margaret Thatcher, che si candidò due volte senza successo prima di essere eletta Primo Ministro inglese e che, tuttavia, rimase in carica per tre diversi mandati (1979-1990); nel settore privato, Lynn Laverty Elsenhans divenne CEO della compagnia petrolifera americana Sunoco nel 2008, dopo che il valore delle azioni della società scese del 52% ed è a tutt’oggi una delle donne manager più richieste del settore. Un percorso analogo è quello di Marissa Mayer, nominata CEO di Yahoo! (2012-2017) dopo che la compagnia incorse in gravi perdite a causa della concorrenza spietata di Google, il motore di ricerca di gran lunga più utilizzato nella rete.
1. L’espressione glass ceiling fu coniata quasi duecento anni fa dalla scrittrice femminista francese George Sand, pseudonimo maschile di Amantine Aurore Lucile Dupin, che utilizzò la formula «une voûte de cristal impénétrable» nell’opera teatrale Gabriel (1839), per descrivere il sogno dell’eroina di librarsi ed evadere il suo ruolo socialmente accettato.
2. Fonte: The Economist’s glass-ceiling index, in «The Economist», 6 marzo 2023.
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Referenza iconografica: MJgraphics / Shutterstock