Scrittura creativa in classe
Il buon tempo dell’inventare
La “scrittura creativa” e le altre
Dopo un lungo periodo di entusiasmo per la “scrittura creativa” nella scuola, sia gli insegnanti della secondaria di primo grado, sia quelli del primo biennio delle superiori si interrogano sul significato e l’efficacia di un’attività lontana, almeno in apparenza, dalle concrete richieste cui gli studenti devono rispondere nelle Prove Invalsi e, soprattutto, al momento degli Esami di Stato. Naturalmente mi riferisco alle prove di Italiano così come erano previste nell’epoca pre-Covid, non conoscendo ancora il loro prossimo destino.
In questo articolo chiamerò “scrittura creativa” la scrittura (o la riscrittura) di testi narrativi: userò questa espressione secondo un significato ormai consolidato, che distingue questo genere di scrittura “espressiva” da produzioni scritte più esplicitamente orientate a uno scopo, come la parafrasi e il riassunto, l’interpretazione di un testo, l’argomentazione.
Nuoto e scrittura
Sono di recente apparse in volume le lezioni di Giuseppe Pontiggia, pubblicate a metà degli anni Novanta sulle riviste “Wimbledon” e “Sette” e ora raccolte sotto il titolo Per scrivere bene imparate a nuotare. Trentasette lezioni di scrittura (Mondadori, 2020). Le lezioni di “scrittura” sono conversazioni nelle quali Pontiggia – affrontando tanti problemi “pratici” che dovrebbe porsi chiunque scriva – sostiene che la scrittura nasce da un severo apprendistato, e che imparare a scrivere significa prima di tutto imparare a leggere – cominciando dai classici –, per affinare le capacità di giudizio, per scoprire le proprie risorse espressive, ma soprattutto per lasciarsi emozionare dalle parole e per sapere come usarle in modo responsabile. Per imparare a scrivere serve allenamento costante, come per imparare a nuotare.
Pontiggia, autore di tanti romanzi e saggi di successo, fu il primo a proporre in Italia un corso di scrittura aperto a tutti (nel 1985, al Teatro Verdi di Milano), ma dall’aggettivo che rinvia al concetto di “creazione” si teneva ben lontano: lo scrittore non parte mai dal Nulla, né dal Caos. E non partono da zero i nostri alunni, quando scrivono, nemmeno se sono alle prime armi: se il mondo biblico nacque proprio dalla parola («Dixitque Deus fiat lux, et lux facta est», Genesi I, 3), da quel primo giorno chiunque scriva ha a disposizione un infinito repertorio di storie dalle quali ripartire, riscrivere, ricreare.
Il corpo a corpo con le storie raccontate dagli altri ci aiuta a conquistare gli strumenti per raccontare le nostre: non la trascrizione delle nostre esperienze, ma ciò che di nuovo e inatteso abbiamo scoperto attraverso il linguaggio.
D’altra parte, se scrivere significa dare vita a qualcosa che prima non c’era, come negare dignità “creativa” a un riassunto ben fatto, a un’argomentazione, a una parafrasi, a un commento? Non si “crea” dal nulla quando si scrive una storia, ma si dispiegano risorse di inventiva, immaginazione e logica, anche quando si ripropongono con parole nuove i testi altrui oppure si cercano le parole esatte per formulare un’idea, una riflessione, un ragionamento personale. Tutta la scrittura serve alla scrittura.
Il buon tempo dell’inventare
Veniamo al cuore del discorso: insegnare a raccontare storie (modificarle, riscriverle, reimpiegarle in testi non narrativi) ai ragazzi delle medie e del primo biennio delle superiori significa insegnare a scrivere, in una fascia di età ancora molto disponibile a lasciarsi coinvolgere da un’attività che conserva una dimensione alta di “gioco” e di gratuità, anche quando è percepita come compito scolastico e sottoposta a valutazione.
«Che bei tempi, prof.», mi dice una studentessa di terza Liceo alle prese con la sua prima prova di analisi del testo letterario, «quando potevamo inventare…».
Trovare una storia (inventare), scegliere la sintassi e le parole per raccontarla è una attività altamente formativa e interessante, anche se la “competenza” raggiunta in questo tipo di scrittura non sarà valutata alla fine del percorso scolastico (tranne che l’alunno delle medie scelga la traccia di “tipologia A”, per la quale il testo narrativo, pur con certi limiti, fino all’Esame di Stato del 2019 era ancora previsto). «Inventare vi ha aiutati a capire meglio Cavalcanti…», rispondo alla mia studentessa. Sono infatti convinta che le “due scritture” – quella “creativa-espressiva” e quella “funzionale” – si alimentino a vicenda e che Martina, dopo aver letto e “maneggiato” tante storie al biennio, stamattina troverà facilmente le parole e le frasi per raccontare il teatro interiore di un poeta medioevale e la sua visione del mondo.
Gli obiettivi formativi della scrittura creativa
Scrivere storie aiuta i nostri ragazzi e dare forma al mondo: si impara che ogni cosa può diventare interessante attraverso il linguaggio.
Scrivere alimenta la memoria e ne moltiplica le possibilità.
Scrivere significa condividere conoscenze, valori, visioni del mondo: raccontare è un modo per apprendere insieme.
Scrivere storie spinge a trovare le parole esatte per raccontare sé stessi, scoprirsi, parlando d’altro.
- Scrivere per dare forma al mondo. «Pensare ed essere sono la stessa cosa» sosteneva Parmenide di Elea. Ma tutto ciò che esiste può “essere detto”: il primo obiettivo dell’allenamento alla scrittura di storie è scoprire che ogni cosa del mondo è raccontabile (dalla foglia che cade da un albero alla frana che sradica la foresta) in modo interessante, e la scrittura è una meravigliosa opportunità per raccontare il mondo – per dargli una forma leggibile – sé stessi, gli altri.
- Scrivere per ricordare. La scrittura ha a che fare con la memoria e ne moltiplica le possibilità. Scrivere una storia significa avere ben presenti le prime “favole” che ci hanno incantato nell’infanzia e insieme tutte le altre storie che hanno nutrito la nostra interiorità, l’immaginazione, la capacità di fare confronti. Sollecita i nostri alunni a trovare somiglianze e differenze, a cercare dentro di sé la risonanza di una vicenda, il conflitto di un personaggio, anche se lontani nel tempo e nello spazio.
- Scrivere per condividere. Nel Decameron, i narratori e le narratrici delle novelle si immergono per dieci giorni in un mare di storie: una corrente di situazioni, luoghi, personaggi, che li tiene lontani dalla città e dal contagio della peste. Non solo. Attraverso le vicende raccontate i giovani e le giovani condividono valori e passioni, esempi grandiosi di virtù e di vizio, situazioni di incantevole leggerezza o di torbida trivialità. La funzione sociale della scrittura è evidente in Boccaccio (che dedica in particolare alle donne il suo capolavoro). Per raccontare è sempre necessario qualcuno che ascolti, o ci legga: raccontare storie è un modo per apprendere insieme.
- Scrivere per scoprire. Dopo aver letto migliaia di testi scritti dai miei alunni mi sono convinta che i ragazzi, specialmente gli studenti della Scuola secondaria di primo grado, parlano più facilmente di sé quando parlano “d’altro”: a dodici anni stanno perdendo la spontaneità e l’ingenuità dell’infanzia e si sentono costantemente nell’occhio del ciclone, al centro di una impegnativa metamorfosi che reclama dagli adulti delicatezza e impone a loro stessi un pudore finora sconosciuto. In questa fase (ma la metamorfosi, per molti, si protrae fino al primo biennio delle superiori) scrivere storie significa scoprire gli argomenti e le parole per esprimere la paura, la rabbia, la gioia e la sorpresa di diventare grandi. L’“inatteso” e il “sorprendente”, di cui parla Pontiggia, per i nostri adolescenti è la scoperta che esistono parole e storie che riguardano proprio loro.
Due percorsi di scrittura creativa: racconti per raccontare
I percorsi di scrittura creativa che sto per presentare, uno per la Scuola secondaria di primo grado e uno per il biennio della secondaria di secondo grado, partono entrambi da storie molto brevi (rispettivamente, una libera traduzione di Fedro e un racconto di Thomas Bernhard), per una maggiore rapidità ed efficacia dell’esempio, ma la tipologia degli esercizi potrà essere replicata, con qualche adattamento, su qualsiasi racconto che sia stato letto in classe con i ragazzi.
- Percorso di scrittura creativa. Secondaria I grado – Fedro
- Percorso di scrittura creativa. Biennio secondaria II grado – T. Bernhard
Le attività di scrittura narrativa, in questo modo, prima sottintendono (e provocano) la comprensione fine del testo, poi accompagnano gli studenti a scrivere mettendosi in competizione con il modello: per emularlo, modificarlo, trasformarlo infine in qualcosa di nuovo, che conservi però l’eco dello spunto originario. Una scrittura “ricreativa” che rinfranca anche gli alunni meno propensi a inventare, davanti all’offerta di una materia prima pronta per essere plasmata, avendo ormai ben chiara in testa una forma esemplare, da imitare, superare, o da tradire completamente.
Le competenze di base e le abilità sollecitate e potenziate dai percorsi sono sintetizzate nella tabella.
Per concludere. Una nota sul metodo
Scrivere è un’attività solitaria, ma i nostri alunni imparano moltissimo quando la scrittura diventa “laboratorio”: i momenti di condivisione dei testi non si limitano alla lettura in aula dei racconti d’autore e alla riflessione collettiva sulle loro caratteristiche, ma accompagnano l’intero percorso di “scrittura creativa”.
Se è impossibile leggere sempre tutti i testi composti dagli studenti, fare in modo che ognuno abbia l’opportunità di essere ascoltato almeno una volta, in uno dei compiti di scrittura proposti, è gratificante per gli “scrittori” e utilissimo per la crescita del gruppo.
Sentendo le nostre osservazioni sugli esercizi svolti dai compagni, gli alunni imparano a riesaminare da sé i propri testi, ne individuano i punti deboli, capiscono come irrobustire le loro storie, si interrogano su questioni impensabili in un gruppo non avvezzo a compiti di questo tipo, acquistano familiarità precoce con il linguaggio specifico, sono educati a leggere in verticale sia le pagine degli autori sia le scritture dei loro coetanei.
Insomma, nel “laboratorio” della lezione partecipata si pratica quel duro e paziente allenamento che Pontiggia suggerisce non per “diventare scrittori” («Quello non lo insegno», diceva), ma per ottenere buoni risultati, impadronendosi della tecnica. Nella scrittura, come nel nuoto.
Referenze iconografiche: vovan/Shutterstock