Didattica del lessico per l’inclusione
Focus su studenti e studentesse con background migratorio
Lavorare in classe sull’acquisizione del lessico rappresenta una continua sfida cognitiva, da affrontare con attività individuali e in gruppi cooperativi per garantire una didattica inclusiva che agevoli anche studenti e studentesse con background migratorio.
Vorremmo iniziare il nostro contributo con le parole di Tahar Ben Jelloun, tratte dal libro Il razzismo spiegato a mia figlia: «Bisogna cominciare con il dare l’esempio e fare attenzione alle parole che si usano. Le parole sono pericolose. Certe vengono usate per ferire e umiliare, per alimentare la diffidenza e persino l’odio. Di altre viene distorto profondamente il significato per sostenere intenzioni di gerarchia e di discriminazione»
Tali parole ci permettono di entrare immediatamente nel cuore del nostro discorso che si concentra sulla didattica inclusiva del lessico.
Ci preme una precisazione iniziale sul perimetro che dobbiamo costruire attorno al concetto di inclusione, il quale, in termini didattici, necessita di attenzioni specifiche per studenti e studentesse con background migratorio, con plusdotazione o con dislessia. Per limiti di spazio, in questo contributo ci concentreremo sull’inclusione di studenti con background migratorio che, quindi, apprendono l’italiano come lingua seconda; però, per offrire al lettore possibili approfondimenti, citeremo puntualmente fonti bibliografiche utili a tal fine.
La citazione iniziale è centrale poiché fa capire l’importanza assoluta del lessico dal punto di vista:
- temporale, ovvero nelle due fasi più critiche dell’apprendimento nelle classi multilingui e multiculturali, ovvero l’inizio del percorso, la fase di accoglienza e di inserimento, quando gli studenti sono definiti NAI e, successivamente, la fase di passaggio dalla lingua della comunicazione alla lingua dello studio (per approfondimenti cfr. Caon, Brichese 2022);
- valoriale, poiché nella comunicazione il lessico è il più importante “trasmettitore” di valori e un’ampia conoscenza di parole permette di poter modulare pragmaticamente la propria comunicazione a seconda di fini non solo denotativi, ma anche connotativi. In una scuola complessa come quella multiculturale, in cui sono presenti i rischi di atteggiamenti pregiudiziali e stereotipati che possono consolidare forme di razzismo, è fondamentale curare anche le parole per curare le relazioni.
C’è poi un’ulteriore ragione di tipo scientifico: mentre alla fine della Scuola primaria «il sistema morfosintattico è sostanzialmente completo, sebbene da perfezionare, il lessico continua a essere acquisito per tutta la vita, perché a mano a mano che si entra in contatto con nuove realtà se ne apprendono le parole e man a mano che il mondo procede vengono creati neologismi, come è successo per il mondo dei computer e degli smartphone» (Balboni, 2023, p. 65).
Per una didattica efficace, quindi, diventa fondamentale far acquisire non solo il lessico ma anche le strategie per poter apprendere il lessico con l’obiettivo di rendere autonomi nello studio gli studenti e le studentesse (per approfondimenti, cfr. Caon, Mondin, Rossato, 2023).
Cos’è l’inclusione
Per parlare di inclusione vogliamo partire dal fondamento normativo e valoriale di tutta la nostra riflessione, rappresentato dall’articolo 3 della Costituzione italiana:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Citiamo questo articolo per fare appello al dovere a cui chiunque si occupi di educazione, pur nell’ambito delle sue specifiche competenze professionali, è chiamato innanzitutto come cittadino italiano: se la scuola, infatti, come istituzione dello Stato, deve coerentemente rispondere all’idea di democrazia, allora basta modificare alcune parole chiave (repubblica-scuola; cittadini-studenti) per poter leggere chiaramente come sia necessario contribuire a «rimuovere gli ostacoli» che impediscono la piena partecipazione alla vita della classe e al processo di apprendimento (linguistico e disciplinare, nel nostro caso).
La normativa scolastica offre indicazioni su come rimuovere, appunto, alcuni ostacoli (cfr. in linea generale Caon, Brichese, Melero 2020 e, specificamente per gli studenti con background migratorio, Caon, Brichese 2022), ma sappiamo anche che a fare la differenza nel quotidiano sono le scelte educative e didattico-metodologiche che compie il docente (e, più in generale, anche il team docente o il collegio docenti a livello organizzativo).
Il termine inclusione per noi è coerente con quanto afferma Ciociola (2016), ovvero che l’idea di inclusione «non si basa sulla misurazione della distanza che c’è tra il livello dell’alunno diverso e un presunto standard di adeguatezza, ma sul riconoscimento della rilevanza della piena partecipazione alla vita scolastica di tutti i soggetti. […] L’inclusione è un processo, una cornice entro cui tutte le condizioni possono essere valorizzate, rispettate e fornite di opportunità a scuola.
L’attuale prospettiva pedagogica internazionale propone la visione di piena inclusione che, partendo dal riconoscimento degli alunni disabili nella scuola, si apre all’inclusione per tutti i bisogni educativi speciali e conseguentemente accoglie pienamente tutti gli alunni fornendo risposte adeguate a tutte le difficoltà presenti.
È una scuola che sa rispondere adeguatamente a tutte le diversità individuali di tutti gli alunni, non soltanto a quelle degli alunni disabili o con BES, una scuola che non pone barriere, anzi valorizza le differenze individuali di ognuno e facilita la partecipazione sociale e l’apprendimento; una scuola fattore di promozione sociale, davvero attenta alle caratteristiche individuali, sia nel caso delle difficoltà che nel caso della variabilità “normale” ed eccezionale. Questo livello, ottimale, integra dentro di sé inclusione e integrazione».
All’interno di questa indicazione fondamentale sancita dalla nostra Costituzione, da quelle normative che specificano il tema e seguendo questa idea d’inclusione, riteniamo che giochino un ruolo fondamentale due dimensioni:
- la dimensione linguistica, in quanto l’accesso ai saperi disciplinari (di tutte le discipline, non solo quelle linguistiche) è mediato in modo prevalente dalla lingua sia scritta sia orale, e le abilità linguistiche sono sempre coinvolte nel processo di elaborazione e presentazione delle informazioni in qualsiasi disciplina;
- la dimensione metodologico-didattica, in quanto, come affermano Job e Tonzar (1994, p. 39), «i vari modi di insegnamento e apprendimento coinvolgono forme di rappresentazione e operazioni mentali in parte diversi e la metodologia scelta può rendere più facile o più difficile l’acquisizione di una certa conoscenza o di una certa abilità».
La scelta di una visione della classe (noi parliamo di “Classe ad Abilità Differenziate”, cfr. Caon, 2016 e Caon, Mondin, Rossato, 2023), delle metodologie didattiche e del ruolo degli studenti e l’autoriflessione sul ruolo di docente diventano strategiche per poter realizzare, nel concreto, una didattica inclusiva dell’italiano.
Il lessico e il suo insegnamento
All’interno di tale perimetro, rispetto al lessico, come affermano Cardona e De Iaco (2022, p. 13), «nella lingua materna la relazione tra lemma e rappresentazione concettuale corrispondente è molto forte, mentre nella lingua seconda o straniera nelle fasi iniziali di apprendimento tale rapporto è mediato dal significato corrispondente nella lingua madre».
Dal punto di vista glottodidattico, in queste fasi iniziali, è quindi importante offrire agli studenti e alle studentesse la possibilità di creare connessioni esplicite con la/le loro lingua/e madre attraverso:
- schede di abbinamento parola italiana-immagine a cui devono poi aggiungere la parola nelle lingue da loro conosciute;
- l’uso in classe (in deroga) di smartphone, con connessione a internet, per crearsi vocabolari plurilingui a mano a mano che incontrano lessico che non conoscono;
- in caso avessero competenze in una lingua straniera ponte (come può essere l’inglese, il francese o lo spagnolo) può essere utile collaborare con il o la collega di lingua straniera per poter offrire strategie di studio del lessico scritte in lingua straniera.
Per approfondire la nostra trattazione, ci dobbiamo chiedere quali sono gli aspetti che costituiscono le basi della competenza lessicale. Come ricordano ancora Cardona e De Iaco (2022, pp. 13-14): «È necessario stabilire quando una parola può considerarsi appresa e integrata con le conoscenze semantico-lessicali già presenti nella memoria. Nation (2001) propone quattro aspetti fondamentali: forma, posizione, funzione, significato. Innanzitutto, è necessario conoscere gli aspetti relativi alla forma della parola e dunque alle sue caratteristiche fonemiche e grafemiche.
Una parola possiede, inoltre, una posizione in base al ruolo grammaticale che essa assume all’interno della frase e che ne determina specifiche caratteristiche morfosintattiche. Le parole non vivono da sole, ma possono co-occorrere con alta frequenza formando assieme ad altre parole unità lessicali e collocazioni. Esse possono inoltre formare unità lessicali più o meno fisse come nel caso delle forme idiomatiche, delle espressioni routinizzate della lingua, ecc. Forma e posizione determinano il ruolo della parola sul piano sintagmatico.
La competenza lessicale prevede, inoltre, altri due livelli di conoscenza di una parola, soprattutto sotto l’aspetto funzionale, pragmatico e comunicativo. In primo luogo, un lemma possiede un certo grado di frequenza all’interno del patrimonio lessicale di una determinata lingua. Il significato di una parola può, infatti, appartenere ad un lessico di alta, media o bassa frequenza. In secondo luogo, una parola può risultare più o meno appropriata in funzione del contesto socio-pragmatico in cui avviene lo scambio comunicativo. La scelta del registro linguistico adeguato è uno degli aspetti più importanti negli approcci didattici orientati allo sviluppo della competenza comunicativa.
Il quarto aspetto è relativo al significato e ai rapporti di significato che una parola possiede all’interno del lessico, in particolare in relazione al sistema concettuale. A questo livello la competenza lessicale riguarda la dimensione semantico-concettuale e l’organizzazione del lessico mentale. Tanto più la parola è inserita nelle reti semantiche e negli schemi concettuali tanto più essa è stabilmente rappresentata nel lessico mentale».
Dal punto di vista didattico, considerata la multidimensionalità degli aspetti intrinseci al lessico, occorre focalizzarsi su una proposta varia e integrata dal punto di vista metodologico.
Sicuramente il ricorso a una metodologia a mediazione sociale (cfr. Caon, Mondin, Rossato, 2023) in cui il gruppo e la relazione tra pari diventano fondamentali è strategica. Il ricorso a tecniche di Cooperative Learning (cfr. Caon, Brichese, Rutka, Spaliviero 2019) e a momenti di tutoraggio tra pari (Caon, Battaglia, Brichese 2020) è coerente con l’obiettivo non solo di far acquisire il lessico agli apprendenti con background migratorio, ma anche di far riflettere studentesse e studenti di madrelingua italiana sul lessico e sulle strategie per memorizzarlo.
Per quanto concerne le tecniche didattiche, un punto di riferimento fondamentale è Balboni, che ha presentato un’ampissima rassegna di tecniche didattiche anche per l’acquisizione del lessico (2018) e una specifica per il contesto di italiano L1 (2023).
Attività in classe
Riassumendo: è importante esporre studenti e studentesse a molti tipi di testi (orali, scritti, multimediali) su cui proporre lavori individuali per favorire un apprendimento incidentale del lessico attraverso, per esempio, attività per desumere il significato della parola dal contesto o tradurla grazie all’uso di vocabolari.
Gallina (2022, pp. 27-28) scrive che «Webb e Nation (2017) sostengono che qualsiasi attività di insegnamento lessicale dovrebbe trovare il giusto equilibrio tra apprendimento incidentale tramite ascolto e lettura (meaning-focused input), apprendimento produttivo tramite produzione orale e scritta (meaning-focused output), apprendimento esplicito delle caratteristiche linguistiche (language-focused learning) e sviluppo della fluenza nell’utilizzo del lessico già noto» e richiama la fondamentale importanza della “riflessione metalinguistica esplicita” che «insieme ad attività di riutilizzo e manipolazione del materiale da apprendere consente di creare le migliori condizioni per generare apprendimento lessicale».
Per stimolare lo sviluppo della competenza lessicale si possono proporre diverse tipologie di attività:
- il cloze test, la parafrasi, il desumere il significato dal contesto o grazie all’uso di risorse non verbali, quali immagini;
- gli abbinamenti di parole secondo relazioni semantico/grammaticali (alterazioni ecc.) di parola/immagine, di parola/definizione;
- la ricostruzione di battute di un dialogo;
- esercizi sui rapporti di sinonimia, antonimia, iperonimia, iponimia, attività di seriazione, di categorizzazione (cfr. Caon 2016) o funzionali a comprendere i meccanismi derivazionali.
Conclusioni
Tale sviluppo si orienta sia sulla quantità di lessico, sia sulla qualità (ovvero gli aspetti connotativi, cfr. Balboni, 2023) e si concretizza in quella modalità varia che è fondamentale allo scopo di far diventare l’acquisizione del lessico una continua sfida cognitiva, da affrontare sia individualmente sia con attività in gruppi cooperativi.
Creare tale sfida cognitiva significa, per noi, avvicinarsi il più possibile a quanto diceva il professor Carmelo Franzò in un celebre passo del romanzo Una storia semplice di Leonardo Sciascia: «L’italiano non è l’italiano: è il ragionare».
Se, in comunicazione, “l’abito fa il monaco” e “le parole generano la realtà” (Regini 2023), imparare a ragionare è sviluppare il senso critico, capire quanto le parole siano la chiave per (ri)definire il mondo e poter scegliere in quale mondo abitare. È questa, a nostro avviso, la via per rispondere a Tahar Ben Jelloun quando dice di «fare attenzione alle parole che si usano».
Referenze iconografiche: Maskot / Alamy Stock Photo