Booklist - Ogni vita è una storia
“Dopo tutto, cosa ti ho mai dato di così prezioso? Potresti pensare di sapere qualcosa di me, a quel punto, ma invece non sai ancora nulla. Io racconto, e un secondo dopo è tutto sparito. […] Queste cose, i dettagli, le storie e quant’altro, sono come la pelle di cui i serpenti si spogliano, lasciandola a chiunque da guardare.” (Dave Eggers, L’opera struggente di un formidabile genio, Mondadori, 2002)
Il genere della scrittura personale è tra i più prolifici: epistolari, diari, autobiografie, romanzi autobiografici e ora, online, anche blog e social…
Basta dare un’occhiata in libreria e ci si accorge subito che il mondo dell’editoria ha conosciuto l’invasione di attori, cantanti, calciatori e uomini politici che raccontano carriere scandite dalle tappe del successo, spesso con le modalità del romanzo d’appendice: da una condizione per lo più svantaggiosa al momento dell’inevitabile affermazione. Momenti della vita privata si intrecciano con la narrazione di aspetti pubblici noti al lettore, a conferma o smentita di quanto già conosce.
Curiosamente nella scrittura autobiografica si cimentano sempre di più anche giovani adolescenti o trentenni, che – visti i tempi difficili – si trovano ancora nella condizione di dover dare una direzione alla propria vita.
Da segnalare infine come frutto dei tempi e di una società – e dunque letteratura – sempre meno chiusa e multietnica le storie di migrazione. Se all’inizio erano scritte “a quattro mani” (con l’aiuto di un coautore nella lingua del paese di adozione) ed erano incentrate sulle difficoltà della vita del migrante, sottolineando il bisogno di ascolto, ora sono opera di scrittori immigrati di seconda generazione. La lingua non è più presa “in affitto” ma è una propria originale lingua meticcia che racconta lo spessore e la complessità di una doppia appartenenza.
Il racconto della vita insomma esercita un fascino particolare. Forse per una sorta di necessaria e confortante compensazione: alla vita infatti sembra mancare tutto quello che serve per scrivere un buon racconto: struttura, equilibrio, misura e ordine.
Il viaggio attraverso le vite degli altri, a cui invitano i percorsi di lettura, offrirà agli studenti occasioni di riflessione e spunti per la scrittura.
Scuola secondaria di primo grado
Proponiamo per la scuola secondaria di primo grado letture che raccontano esperienze e situazioni che possono essere vicine ai vissuti degli studenti: la scoperta delle proprie radici attraverso il racconto dei parenti, l’adozione e la ricerca dei genitori biologici, le prime esperienze amorose e gli episodi di bullismo. Quando non lo sono – è il caso della vita inimitabile di Malala o della storia di Saroo dall’andamento quasi favolistico – la distanza percepita susciterà il confronto con il proprio contesto. Il romanzo di Erri de Luca, che recupera un solo ricordo significativo, può suggerire un utile esercizio di imitazione nella scrittura.
Igiaba Scebo, La mia casa è dove sono, Rizzoli 2010
Igiaba Scebo è una ragazza nata a Roma di origini somale, si è laureata in Italia e ora è un’affermata scrittrice e giornalista (collabora con “El Ghibli”, “la Repubblica”, “Il Manifesto” e “Internazionale”). La mia casa è dove sono più che un libro è una mappa: è infatti in una dimensione spaziale che l’autrice trasferisce il suo senso di “non appartenenza”, tipico di tanti immigrati di seconda generazione. Disegnando con il nipotino la mappa di Mogadiscio, città da cui provengono i suoi genitori, Igiaba si accorge di quanto quel luogo le sia in realtà estraneo. Lei è nata e cresciuta a Roma; la sua Somalia è frutto dei racconti di altri e di qualche ricordo di vacanza. È inevitabile allora iniziare a sovrapporre a quella cartina tracciata per gioco nomi e disegni di quartieri e monumenti romani, che danno poi i titoli ai diversi capitoli in cui il libro si divide. Ognuno di questi luoghi (il Teatro Sistina, Trastevere, lo stadio Olimpico…) ha per la scrittrice e la storia della sua famiglia un valore speciale. A poco a poco la città a cui Igiaba sente di appartenere prende forma sotto i suoi occhi; la sua casa è una sovrapposizione curiosa ma rassicurante di Roma e Mogadiscio.
La lingua è un altro tema importante del libro: Igiaba rifiuta da piccola di parlare somalo per essere accettata dai compagni di scuola; suo nonno, interprete in Somalia per i gerarchi fascisti, viene guardato con diffidenza dalla comunità locale perché parla “la lingua del diavolo”; il personaggio della madre, custode della millenaria cultura orale africana, rifiuterà sempre di imparare a scrivere e riempirà l’infanzia della figlia di fiabe e racconti dei nomadi della sua terra.
Malala Yousafzai, Io sono Malala, Garzanti 2013
Malala racconta la sua vita e quella del suo paese, il Pakistan. Vicende vissute in prima persona da lei e dalla sua famiglia si alternano a parti storiche un po’ impegnative da affrontare anche solo per quei nomi così difficili da leggere e pronunciare . Ma anche il Pakistan è parte del nostro mondo, che non dobbiamo ignorare. La storia comincia nella Valle dello Swat il 9 ottobre 2012. È finita una giornata di scuola e Malala insieme alle sue compagne è sul bus che la riporta a casa. All’improvviso un uomo sale e spara, colpendola in pieno volto e lasciandola in fin di vita. Malala ha quindici anni, ma per i talebani deve morire per aver gridato al mondo il suo desiderio di leggere e studiare. La ragazza però non muore e la sua miracolosa guarigione sarà l’inizio di un viaggio straordinario, dalla remota valle in cui è nata fino all’assemblea generale delle Nazioni Unite. Questo libro è la storia vera e avvincente come un romanzo della vita coraggiosa di questa ragazzina e la celebrazione del diritto all’educazione di tutti i bambini.
Saroo Brierley, La lunga strada per tornare a casa, Fabbri 2014
Una storia vera che sembra una favola. Saroo vive in India, ha cinque anni e passa le sue giornate con il fratello a chiedere l’elemosina sui treni. Su uno di questi treni un giorno si addormenta, risvegliandosi a 1600 chilometri da casa sua, nella caotica Calcutta. Il bambino riesce incredibilmente a sopravvivere e finisce in un orfanotrofio per essere poi adottato da una famiglia australiana. Venticinque anni dopo, ormai adulto e imprenditore di successo, grazie a Google Earth e ai pochi sbiaditi ricordi di bambino, ritroverà “la strada di casa” e in una piccola città nel Madhya Pradesh potrà riabbracciare la madre. La storia è diventata anche un commovente e intenso film, Lion: Saroo in hindi vuol dire “leone” e come un leone questo bambino ha lottato per sopravvivere.
Erri De Luca, I pesci non chiudono gli occhi, Feltrinelli 2011
Il libro narra di quando all’età di dieci anni l’autore, un ragazzino introverso e grande lettore, durante un’estate trascorsa a Ischia scopre il significato della parola "amore", prova il primo bacio con una ragazzina del Nord, subisce il bullismo di tre rivali: questa “storia d’amore” con una “ragazzina” di cui il personaggio non ricorda neanche il nome lo segnerà per tutta la vita e lo metterà di fronte a scelte che lo faranno crescere. Erri De Luca narra con dolcezza, sa scegliere le parole giuste: nella brevità e nella semplicità riesce a tracciare un ricordo nitido d’infanzia senza trascurare i dettagli, come un pittore preciso, senza sfumare i contorni e come se non fossero passati 50 anni.
Scuola secondaria di secondo grado
Per la scuola secondaria di secondo grado, gli stimoli offerti sono differenti e la proposta di scrittura è più articolata. A partire dalle letture fatte si potrà chiedere allo studente di selezionare un episodio importante della propria storia e di elaborarlo applicando una serie di vincoli a scelta: inserire l’episodio su uno sfondo sociale e familiare ben delineato (sul modello della Ginzburg e di Falco); mescolare al dato di realtà dettagli surreali-fantastici in funzione di straniamento (sul modello di Mari); applicare processi di allontanamento ed esercizi di “disidentificazione” attraverso la scrittura in terza persona, la narrazione-intervista o a posteriori (sul modello di Coetzee).
Natalia Ginzsburg, Lessico famigliare, Einaudi 1963
Pubblicato nel 1963, e in quell’anno vinse il premio Strega, da molti è ritenuto il capolavoro della scrittrice torinese. Natalia è la piccola di casa, che guarda e racconta i genitori e i fratelli, tutti – a eccezione della madre – dal carattere irascibile, come il padre Beppino, esigente con i figli asini e sempre scontento di loro. In questo clima cresce Natalia, che diventa una signorina un po’ taciturna e amante della scrittura.
Le storie della famiglia si stagliano sullo sfondo del periodo dell’ascesa del fascismo e della conseguente guerra mondiale; in famiglia sono tutti antifascisti, posizione che esprimono apertamente con orgoglio, passando anche dei guai. Protagonista dell’opera, come risulta evidente dal titolo, è anche il linguaggio: un glossario familiare fatto di parole e frasi, suggestivo e ricchissimo. I genitori e i fratelli condividono un codice linguistico che, più che l’aspetto fisico o il carattere, li accomuna e unisce. Come si può leggere in questo passo: “Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c’incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti, o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase, una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire ‘Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna’ e ‘De cosa spussa l’acido solfidrico’, per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole. Una di quelle frasi o parole, ci farebbe riconoscere l’uno con l’altro, noi fratelli, nel buio d’una grotta, fra milioni di persone.”
Giorgio Falco, Ipotesi di una sconfitta, Einaudi 2017
Il libro racconta le esperienze lavorative dell’autore ma anche l’Italia dagli anni cinquanta a oggi. Alla storia del padre, una figura che appartiene all’universo ormai tramontato delle grandi aziende e del posto fisso, si contrappone quella del figlio, che dalla fine delle scuole superiori passa di lavoro in lavoro fino ad approdare a una compagnia telefonica, dove resterà quindici anni. L’ipotesi del titolo è quella della sconfitta di una generazione. Sicuramente quello che il lettore avverte è un lento ma inesorabile cambiamento che investe lo sfondo in cui il narratore-protagonista si muove. Ed è un cambiamento verso il peggio.
Michele Mari, Leggenda privata, Einaudi 2017
In questo libro Mari accosta due strutture narrative diverse: la cornice del romanzo infatti è fantastica, con venature horror, quasi a suggerire che ogni storia famigliare è, in fondo, un racconto del terrore; la vicenda narrata invece è quella di una famiglia vera, la famiglia Mari, spiata dagli occhi di Michele bambino e adolescente – e che gli episodi siano autentici lo certifica il rimando ai documenti, le bellissime fotografie. La prima pagina del romanzo introduce la cornice gotica: una mostruosa “Accademia dei ciechi”, nascosta all’interno della casa sul lago Maggiore nella quale Mari era solito passare, da bambino, le vacanze estive, impone al narratore di scrivere in breve tempo un dettagliato romanzo autobiografico, che faccia giustizia delle menzogne e soprattutto delle reticenze che l’autore ha disseminato nei suoi libri precedenti. Così nel romanzo che leggiamo ritornano personaggi, oggetti e luoghi delle opere di Mari. Gli Accademici spietatamente leggono, criticano, correggono il romanzo sotto gli occhi del lettore.
J.M. Coetzee, Tempo d’estate. Scene di vita di provincia, Einaudi 2009
Si possono proporre da leggere anche Infanzia (1997), e Gioventù (2002) le altre due sezioni del lungo romanzo autobiografico di Coetzee, premio Nobel per la letteratura nel 2003, che si diverte a rompere le convenzioni dell’autobiografia. Lo faceva in Infanzia e Gioventù, scrivendo in terza persona e al tempo presente, ma ancor più in Tempo d’estate, in cui l’elemento della finzione appare a livello strutturale: nel racconto Coetzee è morto e quelle che stiamo leggendo sono cinque interviste ad altrettante donne che lo hanno conosciuto. A condurre le interviste è un giovane accademico inglese mosso dall’intenzione di scrivere la biografia del premio Nobel sudafricano. Le sue interlocutrici però mettono continuamente in discussione il modo in cui opera il loro intervistatore e manifestano sospetti e diffidenze su ciò che sarà scritto; una di loro chiede al giovane studioso: “È un libro di pettegolezzi o è un libro serio? Ha un’autorizzazione?”. Vale a dire: vita o finzione? L’intervistatore risponde con un’altra domanda: “C’è forse bisogno di un’autorizzazione per scrivere un libro? E a chi la si dovrebbe chiedere?”. E così J.M. Coetzee dichiara apertamente, con la sua trilogia autobiografica, che ogni narratore è per statuto inaffidabile.
Referenze iconografiche: Pressmaster/Shutterstock