Che cos’è un “confine”? Che cos’è una “frontiera”? Parafrasando l’etimologia di questi due termini potremmo dire che il “confine” è il luogo dove si “finisce insieme”, ci si “determina insieme”, e la “frontiera” quello in cui ci si osserva, ci si guarda fronte a fronte, occhi negli occhi. Ma è davvero così? Spesso i confini non sono decisi di comune accordo tra i popoli ma sono imposti dal più forte o sono risultato di guerre e spartizioni che non sempre tengono conto dei caratteri e delle legittime esigenze delle popolazioni che vivono su quelle terre. Confini e frontiere sono spesso luoghi complessi, dove si osserva fronteggiando chi, a torto o a ragione, si ritiene diverso per abitudini, lingua, cultura. Ma i confini sono anche luoghi di incontro, da cui possono nascere la ricchezza, la varietà, la comprensione e lo scambio di idee e di opinioni.
Presentiamo qui alcune letture sul tema del confine, che si legano a vicende storiche del nostro recente passato o della nostra contemporaneità. Le frontiere, nella loro immagine più amara di barriera o di soglia, sono anche l’immagine delle nostre frontiere interiori, spesso costruite da pregiudizi o ideologie. Quando si ha la forza di oltrepassarle, le cose cambiano o, meglio, diventiamo in grado di vederle in modo diverso, anche con gli occhi dell’altro.
Scuola secondaria di primo grado
Sofia Gallo, I lupi arrivano col freddo, EDT, Torino 2013
Il romanzo è ambientato a Diyarbakir, città nel sudest della Turchia, considerata la “capitale” del popolo curdo in quel Paese. Il Kurdistan è considerato una nazione dal popolo curdo che ne fa parte, ma non ha un riconoscimento ufficiale. Si estende a cavallo di alcuni stati: la già citata Turchia, l’Iraq, l’Iran e la Siria. Fuad, un adolescente, si trova coinvolto insieme alla famiglia in una serie di vicende molto gravi, quando suo padre viene arrestato per aver accoltellato un malvivente. La famiglia si trova scissa ulteriormente dal momento che i fratelli maggiori di Fuad si trovano a militare su fronti opposti: uno lavora per la polizia turca, e proprio lui avrà l’ingrato compito di arrestare il padre; l’altro è membro del PKK, il partito comunista curdo che persegue con la lotta armata la via dell’indipendenza del suo popolo. Fuad si trova, così, improvvisamente a dover scegliere da che parte stare quando un altro evento mina nuovamente la stabilità della sua esistenza. Convinto di aver ucciso per sbaglio un bambino mentre stava in realtà mirando a una gallina, è costretto a fuggire attraverso quello smisurato Paese che è la Turchia, insieme a compagni di fortuna, e a doversi difendere dai pericoli e dalle situazioni troppo grandi per un ragazzo della sua età.
Sofia Gallo, scrittrice e insegnante torinese, scrive romanzi i cui protagonisti sono ragazzi che spesso hanno la stessa età dei suoi giovani studenti, anche se calati in realtà lontanissime dalla nostra.
Carlo Greppi, Bruciare la frontiera, Feltrinelli, Milano 2018
Il giorno del suo diciottesimo compleanno Francesco e il suo migliore amico Kappa, già protagonisti del romanzo precedente di Greppi, Non restare indietro, decidono di compiere un viaggio per scoprire come è fatta una frontiera. Nello stesso momento in cui i due protagonisti si apprestano a compiere il loro viaggio, un altro ragazzo, il tunisino Abdullah, all’incirca loro coetaneo, è partito dalla Tunisia alla volta della Francia per incontrare Céline, che fino a quel momento conosce solo sul web. Dopo aver tentato, invano, di transitare sulla costa, scontrandosi con la chiusura della frontiera di Ventimiglia tra Italia e Francia, ad Abdullah viene consigliato di risalire attraverso i monti, ripercorrendo, inconsapevolmente, le stesse vie battute nel passato dagli ebrei in fuga dalla persecuzione razziale e dai membri della Resistenza. In quelle zone incontra tante persone, perlopiù ragazzi come lui, bloccati in quella “terra di nessuno”. Storie di ieri e di oggi si incrociano in questo interessante romanzo di formazione, permettendo al lettore di capire come molte vicende odierne trovino il proprio corrispettivo nel recente passato.
Carlo Greppi, nato a Torino nel 1982, è ricercatore in ambito storico e membro del Comitato scientifico dell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti”. È organizzatore da alcuni anni dei cosiddetti “viaggi della memoria”, con i quali accompagna ogni anno centinaia di studenti provenienti da tutta Italia ad Auschwitz e in altri ex lager del terzo Reich.
Vanna Vannuccini, Al di qua del muro. Berlino 1989, Feltrinelli Kids, Milano 2009
Il romanzo cala il lettore nella quotidianità di un gruppo di ragazzini di dodici/tredici anni che vivono a Berlino Est, nei mesi che precedono la caduta del Muro nel 1989. La presenza del Muro è normale per quei ragazzi che non hanno mai conosciuto la città unita, poiché il confine è stato eretto nel 1960, dunque ben prima della loro nascita. È possibile, dunque, che questi ragazzi sentano l’assenza di qualcosa che non hanno mai conosciuto? Che cosa manca loro e in cosa la loro vita è differente da quella condotta dai loro coetanei dall’altra parte del Muro, a Berlino Ovest? In un’escalation di eventi che vanno dalla celebre manifestazione contro il presidente Honecker, fino alla fatidica data del 9 novembre 1989, l’autrice riesce con grande abilità a trasportarci in quegli anni ormai lontani e a farceli rivivere con gli occhi disarmati di un gruppo di ragazzini.
A lungo corrispondente per Repubblica dalla Germania, Vanna Vannuccini è stata testimone degli eventi narrati nel romanzo.
Scuola secondaria di secondo grado
Boris Pahor, Qui è proibito parlare, traduzione di Martina Clerici, Fazi, Roma 2009
Trieste, città mitteleuropea per eccellenza e porto dell’Impero austroungarico, crocevia di popolazioni e culture vissute in pace e armonia per molti secoli, dopo la fine della Grande guerra e in seguito al Trattato di Rapallo del 1920 era stata assegnata all’Italia. Con l’avvento del fascismo, in nome di un’italianità esasperata, venne messa in atto una sorta di pulizia etnica contro tutto quanto fosse ritenuto sloveno: la lingua slovena doveva scomparire, così come le tradizioni culturali e gli edifici che fossero rappresentativi di quella cultura.
Il romanzo si apre nella Trieste degli anni trenta, quando questa situazione terribile e ingiusta è già una triste realtà da alcuni anni. Ema, giovane slovena originaria del Carso, appena giunta nella meravigliosa città affacciata sul mare Adriatico si trova a vivere tutto questo sulla sua pelle. La ragazza reagisce inizialmente con rabbia ma, grazie all’incontro con Danilo e all’amore che nutre per lui, Ema riuscirà a incanalare il proprio risentimento, a tratti sterile, in qualcosa di fattivo, entrando a far parte della rete di resistenza clandestina slovena, una lotta in gran parte culturale, a sostegno della propria lingua e delle proprie tradizioni, esemplificata, per esempio, nel gesto di regalare ai bambini sloveni libri nella loro lingua, in modo che la possano apprendere e non la dimentichino. Pahor descrive con grande delicatezza, e drammaticità al tempo stesso, gli anni che portano alla Seconda guerra mondiale, attraverso un’escalation di eventi inarrestabili.
Boris Pahor, nato a Trieste nel 1913 e tuttora vivente, è stato testimone diretto degli eventi narrati nel romanzo. Di famiglia slovena, subì in prima persona le discriminazioni messe in atto da fascismo contro il suo popolo e la sua cultura. Membro della Resistenza jugoslava contro il Nazismo, fu catturato e deportato in alcuni campi di concentramento, prima di essere liberato nel 1945. Sullo stesso tema, un altro interessante romanzo dello stesso autore è Il rogo nel porto, il cui titolo fa riferimento all’incendio doloso appiccato il 13 luglio 1920 dai fascisti alla Casa della Cultura Slovena a Trieste, che segnò l’inizio delle tristi vicende di emarginazione e soprusi nei confronti del popolo sloveno.
Silvio Testa, La zaratina. La tragedia dell’esodo dalmata, Marsilio, Venezia 2017
Nei convulsi anni che portarono alla fine della Seconda guerra mondiale e alla presa di potere di Tito in Jugoslavia anche gli italiani hanno vissuto la tragedia della pulizia etnica. La vicenda narrata nel romanzo ha luogo nel 1943 a Zara, negli ultimi anni del conflitto mondiale. In seguito all’8 settembre, la bellissima città istriana, che fino a quel momento era stata quasi risparmiata dai bombardamenti, subisce un massiccio attacco aereo diretto dagli angloamericani contro i tedeschi che la occupano. Zara viene quasi rasa al suolo. L’anno successivo si assiste all’ingresso in città dei partigiani di Tito, che, come primo atto, si dedicano con violenze e soprusi d’ogni genere a cancellare con ogni mezzo tutto ciò che è italiano, le targhe coi nomi delle strade, i monumenti italiani e ad attuare una violentissima persecuzione contro i nostri connazionali.
l protagonisti del romanzo esemplificano la situazione tranquilla esistente tra le varie etnie a Zara fino a quel momento. Il padre, Giuseppe, dirige un’industria, e alle sue dipendenze ci sono sia italiani che croati, che lavorano fianco a fianco e godono degli stessi diritti. Daria, una delle sue figlie, ha studiato lingue a Venezia. La sorella ha sposato un uomo croato, e hanno un bambino che è per metà italiano e per metà croato. La ragazza che va a servizio da loro è croata ed è considerata una di famiglia. Ma in seguito all’ingresso degli uomini di Tito in città la situazione cambia radicalmente. Gli italiani sono considerati nemici, in quanto sostenitori del fascismo, che nei suoi anni al potere si era reso colpevole di un’opera di italianizzazione forzata nei confronti di tutto ciò che era jugoslavo. E adesso le truppe di Tito si riprendono quello che era stato loro sottratto. Gli italiani sono costretti a fuggire all’estero in quello che è il cosiddetto esodo dalmata. E per quelli che restano la fine è terribile, saranno trucidati con violenza inaudita nelle foibe. Dei ventimila italiani residenti a Zara, circa quattromila morirono sotto i bombardamenti alleati.
Silvio Testa, giornalista figlio di genitori dalmati, apre un terribile capitolo della nostra storia recente spesso dimenticato. I suoi genitori, costretti a fuggire, hanno vissuto in prima persona gli eventi narrati nel romanzo, che è dedicato a loro come a tutti gli italiani che sono riusciti a scappare da quell’inferno o che non ce l’hanno fatta.
Samar Yazbek, Passaggi in Siria, traduzione di Andrea Grechi; con una nota di Christophe Boltanski, Sellerio, Palermo 2017
A marzo del 2011, all’interno di quel grande movimento che è stata definito fin dal suo primo apparire la “primavera araba”, Samar Yazbek – giornalista, scrittrice, regista e sceneggiatrice siriana molto conosciuta e apprezzata in patria – scende in piazza a fianco dei manifestanti per difendere la libertà di espressione e per denunciare i crimini commessi dal dittatore Bashar al-Assad. La donna viene in un primo momento fermata e trattenuta dalla polizia. Ma quando la sua voce diventa troppo pericolosa agli occhi del governo e Samar si rende conto che la sua incolumità in Siria è in pericolo, decide di trasferirsi a Parigi. Dall’esilio la sua voce instancabile non smette di battersi denunciando le atrocità perpetrate dal regime siriano ai danni del suo stesso popolo e chiedendo all’Occidente un intervento per fermare il disastro umanitario. Qualche tempo dopo, Samar non riesce più ad assistere da lontano al dramma del suo popolo e decide, perciò, di rientrare illegalmente nel suo Paese, varcando a piedi di nascosto la frontiera tra la Turchia e la Siria, compiendo così un viaggio opposto rispetto a quello di tanti suoi connazionali che decidono di espatriare per salvarsi la vita. In Siria clandestinamente, la donna può dunque ora narrare dall’interno gli orrori di una guerra senza senso e che pare non avere mai fine.
Nata in Siria nel 1970, Samar Yazbek è una delle scrittrici e attiviste più apprezzate del suo Paese. I suoi romanzi e reportage sono tradotti in tutte le lingue del mondo.
Film
Ai libri si possono aggiungere alcune proposte cinematografiche sul tema del confine:
L’insulto, Ziad Doueri (2017)
Libano. Un banale litigio fra un libanese di religione cristiana e un rifugiato palestinese degenera diventando un caso nazionale, legato alle ferite e alle scissioni di un Paese multiculturale, nel quale la possibilità che l’odio fra i popoli e le ferite mai sanate del recente passato possano in ogni momento riaffiorare.
Il giardino dei limoni, Eran Riklis (2008)
Cisgiordania. Quando nella casa confinante con la sua si trasferisce il Ministro della Difesa israeliano, la palestinese Salma Zidane dovrà combattere contro l’abbattimento dei limoni secolari che si trovano nel giardino tra le due abitazioni, e che secondo l’entourage del m ministro vanno tolti di mezzo per questioni di sicurezza. Il caso arriverà in Tribunale.
Bloody Sunday, Paul Greengrass (2002)
Irlanda del Nord, 1972. In seguito all’imposizione, da parte del governo inglese, di forti restrizioni alle libertà individuali la Northern Ireland Civil Rights Association organizzò una marcia pacifica di protesta. Ma la situazione degenerò ben presto e le truppe al comando del generale Ford iniziarono a sparare sui manifestanti, dando vita all’episodio che ancora oggi è ricordato come “strage di Londonderry” o “Bloody Sunday”, ricordata anche nella celebre canzone del gruppo pop irlandese degli U2.
La gabbia dorata, Diego Quemada-Diez (2013)
Tre giovani del Guatemala affrontano un lungo cammino e moltissimi pericoli pur di riuscire a varcare l’agognata frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti.
Referenze iconografiche: Gianluca Piccin/Shutterstock