Dirigenza umanistica
Felice ossimoro per la governance atipica del sistema scolastico italiano
La dirigenza scolastica è la funzione singolarmente più importante per promuovere miglioramento ed efficacia delle scuole (cfr. Tantucci in Fattorini, 2024) e la sua funzione si riverbera sulla qualità dell'insegnamento e sugli esiti degli apprendimenti degli studenti (Paletta, 2015, 2015a).
Eppure, nonostante sia evidente come il Dirigente scolastico (da ora DS) e la sua efficacia organizzativa e gestionale, rappresenti un ganglio strategico per il buon funzionamento del sistema, questi si trova ad agire in un intrico giuridico amministrativo, procedurale e organizzativo, complesso e quasi interdicente. “La dirigenza scolastica italiana si caratterizza infatti come governance atipica, dovendo garantire una “direzione unitaria”, volta al miglioramento degli esiti degli studenti, pur avendo solo lasche e indirette possibilità di azione, in un’organizzazione estremamente complessa, con indefinite variabili, spesso incontrollabili” (Fattorini, 2024, p. 51).
Per gestire un’istituzione scolastica in Italia ci si imbatte in un’asimmetria operativa per la quale servono tutti o quasi tutti, i membri di una comunità scolastica, e molti organi collegiali, per intraprendere qualsiasi azione, mentre basta uno di essi, o quasi, per interdirla o bloccarla sul nascere. Infatti, la ripartizione di competenze è variegata e dispersa tra i vari Organi collegiali e non, che agiscono talvolta con sovrapposizioni de facto e differenti interessi e centrature prospettiche.
È chiaro che la complessità e farraginosità di questi meccanismi, congiunta con le incombenze e responsabilità amministrative, giudiziarie, finanziarie, gestionali, ecc. potrebbe rischiare di suggerire ai DS comportamenti volti alla logica dell’adempimento, alla gestione formale, all’opportunismo procedurale, limitandosi ad un approccio burocratizzato, “da cruscotto”, perché solo volto al controllo, piuttosto che alla proposta e alla partecipazione proattiva nella costituzione dei processi (Fattorini, 2024 a).
È anche per contrastare queste modalità indotte, rifiutandosi di diventare strumenti inerti di meccanismi dissuasivi, che è nato il costrutto di Dirigenza umanistica, teorizzato da Ottavio Fattorini, insieme al think tank da lui coordinato “Dirigenti insieme”, che lo realizza e trasforma in pratica.
“La dirigenza umanistica, prima di essere un progetto, è un felice ossimoro nel momento in cui riesce a tenere insieme il ruolo istituzionale e i bisogni della persona, ovvero le funzioni pubbliche e le passioni personali” (Previtali in Fattorini, 2024, p. 279).
Lungi dall’essere un richiamo astratto dai risvolti motivazionali ma mossa da slancio professionale ed etico, la Dirigenza umanistica, è un costrutto scientificamente determinato. È definito nei 5 principi del suo Manifesto, riscontrabili in azioni osservabili, consapevolmente scelte, o non, con competente ponderazione, in ogni specifica circostanza.
Prevede di coniugare alte competenze professionali e tecniche (per questo si parla di “dirigenza” e non di leadership) con qualità e idealità che muovono la volontà di volgere l’attenzione prioritaria alle relazioni e alle persone verso le quali si compie un servizio lavorativo, (non solo docenti ma anche studenti, le loro famiglie e i territori di riferimento).[1]
Superando una impostazione meramente giuridico-amministrativa la Dirigenza umanistica intende dare sostanza ad una modalità di governance delle istituzioni scolastiche, che, nel dimostrarsi efficace sul campo, sia riconoscibile per uno stile acquisibile e disseminabile per contagio, così che si possano perseguire gli obiettivi istituzionali avendo a cuore non solo il benessere organizzativo ma quello di ciascun membro della comunità.
Per fare questo è necessario superare logiche centrate su formalismi e adempimenti, pur necessari, per restare volti al merito delle questioni così da esprimere nella sostanza operativa quotidiana lo spirito di servizio civile (Fattorini e Cogliandro, 2023).
Questo è ben espresso nel 1° principio del Manifesto che definisce il costrutto di Dirigenza umanistica:
Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!” (Mc. 2, 27): per non farsi strumenti della banalità del male (Fattorini, 2024, p. 92), con cui si richiama la consapevolezza che le persone sono il fine delle norme. Per questo esse vanno interpretate con “discernimento”, utilizzandone i margini di azione consentiti, per sottrarsi alla tendenza ad imbrigliare, automatizzare, o rendere implementabili in automatismi ed algoritmi, i processi decisionali.
Il 2° principio recita: Dove pongo il cancello della scuola ...ogni singola volta. In ogni singola circostanza e specifico caso, il dirigente o chiunque eserciti incarichi di responsabilità, gestione e coordinamento nella scuola, valuta, considera e poi decide, se, come, quando e quanto, interpretare il suo ruolo e i suoi margini di intervento, al di là dei limiti istituzionali. Caso per caso, di volta in volta, ci si può fare “registi” di una scuola interpretata come hub territoriale, come catalizzatore e aggregatore delle molteplici e interagenti dinamiche attive nella comunità educante (studenti, docenti, famiglie, territorio e istituzioni).
Al di là delle retoriche istituzionali, una scelta del genere deve essere supportata non solo da competenze tecniche ma anche dalla lucida consapevolezza del proprio “coefficiente energetico - emotivo”, che è professionale e anche personale. Questo vale per l’applicazione ciascuno dei 5 principi del Manifesto, che vengono praticati proprio sulla base di una lucida e disincantata valutazione del combinato disposto tra i rischi professionali e le proprie personali energie e motivazioni, per ogni singolo caso.
Il riferimento all’impatto delle condizioni personali e quasi biografiche, nell’esercizio di compiti di dirigenza è presente anche nel 3° principio: Ecce homo ...tra il «de minimis non curat praetor» e la visione per-spicua delle persone. Deve infatti essere valutato di volta in volta, un equilibrio efficiente tra il tempo personalmente dedicato alla presenza, alla partecipazione diretta, al presidio, all'ascolto e alla cura degli altri e la quantità e qualità, fisicamente sostenibili con efficacia, di tali azioni. Per questo è necessario farsi “dirigenti abilitanti” (Fattorini, 2024), in grado cioè di attivare risorse, energie e tempi altrui, delegando il possibile, restando consapevoli però che solo così si potrà avere l’agio di decidere, come, dove e quando soffermarsi con tempi distesi e attenzione personale a situazioni particolari, su cui si può incidere e fare la differenza.
Il 4° principio riprende il concetto di DS abilitante, indicando un possibile asse procedurale: Lavorare nella direzione di una leadership «autonomo- rinascimentale»: per far crescere nel benessere la comunità professionale. Al variare della situazione contestuale è necessario adattare la propria azione potendola intenzionalmente collocare sull’asse continuo che va da una gestione “procedural-procedimentale” (prescrittiva e vincolante) a una “autonomo-rinascimentale”, esercitata cioè attraverso deleghe più aperte, volte agli obiettivi, ispirate al principio di autonomia funzionale. Pur dovendo scegliere ogni volta lo stile più efficace alle specifiche realtà, è chiaro che, praticando (ove e quando possibile) modalità di conduzione più aperte e responsabilizzanti, si favorisce la crescita e la formazione delle persone e dell’organizzazione. Fare questa scelta gestionale in modo consapevole, valutandone rischi e costi, è ascrivibile all’esercizio di una “quota etica” volta al benessere organizzativo che si diventa delle persone. Nell’innescare un clima operoso e costruttivo, proattivo e intraprendente, si offrono occasioni per far percepire a ciascuno auto-efficacia e protagonismo professionale, potenzialmente aumentandone il benessere socio-emotivo.
Questo si può fare usando la modalità di pensiero, peculiarmente definita “digitale”, nel 5° principio, che parla di Pensiero digitale appreso, volto al merito delle questioni (oltre i formalismi). “Digitale” è qui inteso come modalità di pensiero, e vita, «emergente» dall’essere immersi nel digitale in quanto tecnologia. Una disponibilità, che si può apprendere, ad avere approcci “laterali” nell’affrontare i problemi a decifrare, per poi agire, aspetti cangianti e assetti variabili, in continua trasformazione, della realtà e delle relazioni. Così si potranno intercettare esperienze e competenze ovunque si trovino, anche per circostanze contingenti, portandole a rilevanza sistemica. Flessibilità, umiltà e coraggio, saranno usate così per restare volti al merito delle questioni e riuscendo a gestire le complessità. Il Dirigente umanistico compulsa idealmente, tutte le sfumature del “dipende”, compiendo scelte “complesse” non algoritmizzabili, che vanno oltre (pur avvalendosene) la censuaria disponibilità di dati offerti, ad esempio, dalla intelligenza artificiale, dovendo considerare molti aspetti impliciti, anche percettivi, emotivi e di contesto.
Ciascuno dei 5 principi del Manifesto può essere esemplificato e tradotto operativamente attraverso la narrazione degli E.D.U. cioè Episodi di Dirigenza Umanistica. Questi sono occasioni in cui, nell’ esercizio dei propri compiti professionali, a fronte di una analisi della situazione estesa e competente, si è valutato e deciso, di voler e poter dare una «estensione umanistica» al proprio operato.
La dirigenza umanistica si caratterizza così come l’esercizio, consapevole e intenzionale, scientificamente osservabile (Botta e Fattorini, 2022), di uno slancio etico personale, costruttivo e operoso. Sembra infatti che il sistema si regga e progredisca principalmente, proprio sulla base della motivazione dei singoli suoi operatori, che cercano si superare dinamiche disincentivanti di fatto, dal punto di vista normativo, procedurale, amministrativo, burocratico, consuetudinario, ecc. Circostanze che producono come effetto reale solo defaticamenti fine a sé stessi e sconsigliando qualsiasi intrapresa, ardita o non che sia, verso l’innovazione scolastica (Fattorini, 2024).
Utilizzando i termini di Arendt, si potrebbe dire che, per contrastare i rischi della “banalità del male”, cui la governance scolastica rischia di soggiacere, è necessaria e talvolta imprescindibile, l’azione di misconosciuti eroi della quotidianità, (DS, docenti di staff, responsabili, ecc.) che perseguono con silenti e mediaticamente inavvertite responsabilità, entusiasmi e coraggio, le vie della “banalità del bene”. Vie che passano anche per la “dirigenza umanistica".
[1] Sul concetto di Dirigenza umanistica si basa il Master di II livello in “Governance delle istituzioni scolastiche”, attivato presso l’università LUMSA, che ha riscosso un grande successo e volge alla sua terza edizione https://masterschool.lumsa.it/master_secondo_livello_governance_strategica_istituzioni_scolastiche
Bibliografia
- Botta, E., & Fattorini, O. (2022). La dirigenza umanistica come nuovo approccio alla dirigenza scolastica: la definizione del costrutto. In P. Lucisano & A. Marzano (a cura di), Quale scuola per i cittadini del mondo? A cento anni dalla fondazione della Ligue Internationale de l’Éducation Nouvelle (pp. 282-293). Lecce: Pensa MultiMedia.
- Fattorini, O. (2024). Dirigenza umanistica. Ragione e sentimento per la governance strategica delle istituzioni scolastiche. Hoepli. https://www.hoepli.it/libro/dirigenza-umanistica/9788836015948.html
- Fattorini O. (2024a). Il Modello DADA (Didattiche per Ambienti Di Apprendimento): paradigma di una governance innovativa delle istituzioni scolastiche italiane. In G. Benvenuto e S. Livi (a cura di), Scuola, formazione e dimensioni del benessere. Ricerche psico-pedagogiche Roma, Sapienza Università Editrice, pp. 173-204.
- Fattorini O. e Cogliandro G. (2023). Il costrutto della Dirigenza umanistica, «La scuola e l’uomo», vol. 80, n. 3-4.
- Paletta, A. (2015). Dirigenti scolastici leader per l'apprendimento. Rovereto: IPRASE.
- Paletta A. (2015a). Leadership per l’apprendimento: una revisione della letteratura internazionale. Ricercazione, 7(1), 17-38.
Referenze iconografiche: fizkes/Shutterstock