In Cina è già futuro

Intelligenza artificiale, smart cities, cittadinanza digitale: la svolta della Cina che interessa anche noi

La Cina è oggi uno dei Paesi più digitalizzati al mondo: l’intera vita privata e pubblica di un miliardo e mezzo di cinesi si svolge su super app e l’Intelligenza artificiale è uno strumento di uso quotidiano. La sua applicazione sta cambiando le città, il rapporto tra cittadini e istituzioni, il concetto stesso di cittadinanza.

Da fabbrica del mondo a potenza tecnologica

Fino a qualche anno fa, la Cina era nota per essere, principalmente, la “fabbrica del mondo”: un immenso territorio, trentatré volte l'Italia, nel quale venivano prodotti gran parte dei beni che finivano poi sui mercati occidentali, nei nostri negozi. La nomea di “fabbrica del mondo” spesso era associata a un concetto di poca qualità, di copia, di fake, di prodotti a basso costo.

Dopo la morte di Mao Zedong nel 1976 e in particolare dalla fine degli anni Ottanta, quando la Cina intraprese un'apertura nei confronti del mercato mondiale, Pechino scelse questa strada per orientare la propria economia alle esportazioni: essere “la fabbrica del mondo” consentiva alla Cina di impiegare la sua immensa forza lavoro, di migliorarne le condizioni di vita della popolazione rispetto al periodo maoista, di acquisire commesse (e capitale) dalle principali aziende occidentali e portare così la bilancia commerciale con il resto del pianeta a proprio vantaggio. Tale rapporto con la Cina era di grande supporto anche al mondo occidentale: gli stipendi dei lavoratori cinesi erano bassi, le condizioni finanziarie e fiscali erano ottimali, non c'erano motivi per credere che la delocalizzazione della produzione in Cina potesse terminare. La globalizzazione sembrava una cosa scontata, ovvia, infinita.

Nel 2008, però, è cambiato tutto: la crisi economica che ha investito l'Occidente, a seguito del crollo dei mercati finanziari negli Stati Uniti, ha provocato un “effetto domino” che ha portato a una situazione di grave incertezza che non è a tutt’oggi terminata.

La crisi non ha colpito in modo grave la Cina ma le difficoltà delle economie occidentali hanno avuto come conseguenza una diminuzione degli ordini nei confronti delle sue fabbriche. La Cina ha così visto calare le esportazioni, finendo per modificare il proprio impianto produttivo: la dirigenza del Partito comunista - il partito unico che governa il Paese dal 1° ottobre 1949, data di fondazione della Repubblica popolare cinese – ha deciso così di investire maggiormente nell'innovazione tecnologica, in modo da porsi in una posizione più vantaggiosa nella filiera mondiale: vendere all'estero, ad esempio, telecamere a riconoscimento facciale è più proficuo che vendere accendini.

La svolta di WeChat

Negli anni successivi al 2008 la Cina si è trasformata sotto molti aspetti: intanto, è diventato un Paese a maggioranza urbana, mentre in precedenza era per lo più rurale, popolato in gran parte da contadini. In secondo luogo, il processo di innovazione ha portato alla digitalizzazione del Paese, con la nascita di numerose aziende locali che hanno cominciato a diffondere l'uso della tecnologia. Tutto è partito con alcune società come Alibaba del miliardario Jack Ma, che nel tempo è diventata una specie di Amazon cinese, finendo però per superare i colossi occidentali impegnati nell'e-commerce. Poi è stata la volta delle piattaforme, dei social: ha iniziato Weibo, una sorta di Twitter cinese, che ha permesso la nascita del fenomeno dei blogger, e infine nel 2011 è arrivata WeChat.
WeChat è una “super app” che racchiude al suo interno tutte le app che possiamo immaginare (e che magari usiamo quotidianamente sui nostri smartphone). Ma ovviamente non è soltanto questo: negli anni, è diventato uno strumento imprescindibile per chi vive in Cina. Con WeChat si prenota un taxi, un ristorante, si chiacchiera, si postano foto, si pagano le tasse, si dividono i conti al ristorante, si ricevono le informazioni governative (ad esempio durante il lockdown causato dal Covid, i cinesi ricevevano il proprio “green pass” su WeChat), ci si sposa, si divorzia, si fa l'elemosina, ma soprattutto si può comprare qualsiasi cosa. WeChat è infatti collegata al proprio conto bancario e consente pagamenti sia on line, sia off line, grazie ai Qr Code. E non solo, perché consente acquisti immediati: se in chat si manda a un amico, ad esempio, la foto di un sacchetto di patatine che si sta mangiando, il nostro amico può acquistarlo con un click.

Quando parliamo di WeChat però non parliamo di una semplice app: dentro WeChat si naviga, come fosse WeChat stessa la rete. Esistono infatti i “mini- programmi” ovvero mini-siti inseriti dentro l’app, all’interno dei quali si svolge ormai la vita di tutto quanto il Paese.

Per la Cina WeChat è stata importante per diversi motivi: ha permesso alla popolazione di acquisire dimestichezza con la tecnologia di uso quotidiano (oggi in Cina oltre il 90% della popolazione che si collega alla rete, oltre un miliardo di persone, lo fa attraverso uno smartphone) e ha consentito al governo di cominciare a usare strumenti legati alla tecnologia anche nella gestione della vita pubblica, rinnovando, in pratica, il concetto stesso di cittadinanza e permettendo la nascita di un rapporto digitale con le istituzioni che ha portato alla diminuzione delle code agli uffici pubblici, così come negli ospedali, e ha snellito in generale la vita amministrativa dei cittadini. Come ha detto lo scrittore cinese di fantascienza Chen Qiufan, «nella Cina odierna è impossibile immaginare che un individuo possa sopravvivere in una città cinese senza smartphone».

Il passo successivo: l’Intelligenza artificiale

Lo sviluppo tecnologico della Cina non si è fermato alle super app e nella vita quotidiana dei cinesi sono ben presto arrivati numerosi strumenti tecnologici basati sull'Intelligenza artificiale. La dimestichezza con la tecnologia e l'accettazione da parte della popolazione degli strumenti high-tech come parte integrante della propria quotidianità, ha permesso al governo e alle aziende cinesi di sperimentare nuovi servizi. Da anni ormai in Cina, ad esempio, si fa un uso piuttosto cospicuo dei meccanismi di riconoscimento facciale: per entrare in casa, negli uffici, per pagare nei supermercati. Analogamente il Paese ha sviluppato AI in grado di supportare la vita quotidiana della popolazione: dagli assistenti vocali (usati in modo massiccio per evitare gli assembramenti negli ospedali durante la pandemia), alle auto a guida autonoma (esistono già servizi di taxi senza alcun ausilio di un controllo umano sui trasporti), all'automazione nelle fabbriche e negli ospedali, attraverso la chirurgia a distanza, sistemi di Intelligenza artificiale per diagnosi mediche e utilizzo di AI anche nei tribunali, per sveltire i processi e aiutare la magistratura nell'archiviazione dei casi. O per la cura degli anziani attraverso i robot.

Cittadinanza e leggi

Tutto questo processo, in una prima fase, è avvenuto senza che all'avanzamento degli strumenti tecnologici facesse seguito un adeguamento di tipo normativo. Intelligenza artificiale significa anche Big Data: i dati, le impronte digitali che ognuno di noi lascia nel momento in cui utilizza un servizio di questo genere, costituiscono un argomento piuttosto spinoso. Se in Europa la gestione dei dati è regolata da una legge che protegge in modo elevato la nostra privacy (attraverso il Regolamento generale per la protezione dei dati personali o anche General Data Protection Regulation- GDPR), in Cina solo di recente è stato affrontato il tema. Il governo ha così rilasciato una legge sulla privacy molto simile a quella europea, che ha come principale scopo quello di evitare che i dati raccolti nell'utilizzo dei servizi digitali e di AI possano essere usati a scopi commerciali senza il consenso della persona “tracciata”. Analogamente, la Cina ha deciso di regolamentare i cosiddetti “algoritmi di raccomandazione”, ovvero quegli algoritmi che in base alla raccolta dei dati finiscono per orientare la nostra navigazione “suggerendo” prodotti o siti da visitare: dal 2022, questo tipo di algoritmi in Cina è vietato. Infine, nell'agosto del 2023, Pechino ha deciso di limitare anche l'utilizzo del riconoscimento facciale: il governo cinese ha posto molto vincoli al suo utilizzo, specie nei luoghi pubblici o negli edifici e appartamenti privati, obbligando le aziende che utilizzino questo sistema ad avvisare preventivamente le persone. Questa scelta è stata decisa anche a seguito delle molte lamentele che sono arrivate dalla popolazione cinese, la quale se, da un lato, ha accettato gran parte dell'impatto della tecnologia nella propria quotidianità, dall’altro, ha mal sopportato l'invasività delle telecamere a riconoscimento facciale e il loro utilizzo massiccio. Nel 2019, ad esempio, un professore ha fatto causa a un parco pubblico che prevedeva l'ingresso previo riconoscimento facciale, vincendo la causa.

Cittadinanza e smart city

L'impatto della tecnologia finirà per essere più importante per il concetto di cittadinanza e per i rapporti tra cittadini e istituzioni nell'ambito delle cosiddette smart city. La Cina lavora da anni alla nascita di centinaia di “città intelligenti”, concepite o come nuovi insediamenti o come parti di centri urbani esistenti caratterizzate da un uso intensivo della tecnologia. A questo proposito, bisogna ricordare che le origini dei progetti cinesi di smart city risalgono alla metà degli anni Novanta. All’epoca venne lanciato un grande piano urbano; poi, nel 2011, le iniziative di smart city sono state inserite all’interno dell’allora dodicesimo Piano quinquennale del governo cinese. Nel 2018 la Cina ha sviluppato circa 500 sperimentazioni: naturalmente, si tratta di un numero superiore a quello di tutti gli altri Paesi messi insieme. Due elementi del passato - lo sviluppo economico e l’inquinamento che ha comportato - e uno del futuro - la corsa tecnologica in atto - hanno sostanzialmente obbligato la Cina a ripensare il proprio sviluppo urbano, perseguendo il modello della smart city.

Si tratta di città governate dall'Intelligenza artificiale, dagli algoritmi (esistono perfino uffici e aziende che sono totalmente controllate dagli algoritmi, che dettano i tempi di lavoro e le pause dei dipendenti), che hanno lo scopo di essere pulite, elettriche, green, collegate con il 5G (e a breve con il 6G) e caratterizzate dal cosiddetto “internet delle cose”, ovvero tutto sarà in rete a disposizione sui cloud, dai trasporti urbani al proprio frigo di casa. Queste città avranno una mobilità sotto controllo costante: mezzi pubblici elettrici e algoritmi pronti a organizzare al meglio il traffico, che sarà poco, limitato e che probabilmente vedrà protagoniste le auto, o sicuramente i mezzi pubblici, a guida autonoma. E ovviamente tutto sarà gestito da app e da AI.

È questa la sfida che la Cina si appresta a intraprendere: come regolare l'utilizzo di tecnologie che, se da un lato semplificano la vita di persone e istituzioni, dall'altro consentono alle autorità e alle aziende di sapere praticamente tutto dei suoi cittadini. È una sfida che finirà per dare indicazioni anche al nostro mondo, proiettato verso destini analoghi.

Immagine d'apertura:  Peera_stockfoto/ Shutterstock

Simone Pieranni

È giornalista, esperto di Cina, dopo averci vissuto dieci anni. È autore di libri dedicati alla corsa della Cina verso il futuro, tra cui Red mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina (2020) e La Cina nuova (2021); ogni settimana nel podcast Altri Orienti approfondisce fatti ed eventi che accadono in Asia e le loro conseguenze sul resto del mondo.