Soft Power. La cultura come strumento di potere
Un concetto cardine della geopolitica contemporanea

Che cos’è il soft power?
Quando si pensa a uno Stato che cerca di influenzare la politica di altri Stati, spesso ci si riferisce al potere economico o militare che è in grado di esercitare. In realtà, ci sono anche modi diversi per creare consenso presso la comunità internazionale, per esempio attraverso la diffusione della propria cultura. Questo tipo di potere viene definito soft power (“potere morbido”), con un’espressione coniata alla fine degli anni ottanta del XX secolo dal politologo statunitense Joseph Nye, che ha poi riassunto le sue teorie nel saggio del 2004 Soft Power: The Means to Success in World Politics (“Soft power: i mezzi per avere successo nella politica internazionale”).
Il soft power indica, quindi, la capacità di uno Stato di esercitare una certa influenza all’estero grazie a strumenti “immateriali” di tipo culturale, quali i propri valori, la storia, la musica, l’intrattenimento televisivo, lo sport. L’obiettivo è quello di suscitare attrazione e ammirazione e, di conseguenza, creare un’immagine positiva del Paese e buone relazioni internazionali.
Soft power e hard power
Il soft power si distingue in ambito geopolitico dall’hard power, ovvero da un potere che utilizza mezzi aggressivi per imporsi, per esempio attraverso l’occupazione militare di un territorio o l’applicazione di sanzioni economiche con l’intento di fare pressione per ottenere determinati risultati. Rispetto a questi interventi più diretti, il soft power non è un potere debole, ma può anzi rafforzare o addirittura sostituire la potenza militare ed economica di un Paese.
La logica del soft power si basa sul fatto che per i governi diventa più facile lavorare con altri Stati quando si è ammirati e rispettati o quando ci sono affinità sui valori e sui modi di vita. Per esempio, quando bisogna affrontare una questione di politica estera – che si tratti di combattere il cambiamento climatico o di contrastare il traffico di droga – oppure concludere trattati commerciali, fare riferimento a valori e obiettivi comuni è molto più vantaggioso che fare pressione sulla controparte con mezzi coercitivi. In questo senso il soft power potrebbe essere spiegato così: fare percepire, da parte di un Paese, le proprie esigenze come esigenze di tutti i Paesi.
Stati Uniti: i primi a usare il soft power
Già negli anni cinquanta del Novecento, prima che Nye attribuisse un nome a uno degli strumenti a disposizione di un governo per estendere il suo potere e la sua influenza all’estero, ci sono state prove di soft power. Le relazioni internazionali erano dominate dalla cosiddetta guerra fredda, ossia una contrapposizione politica, culturale ed economica tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, un grande Stato federale guidato da un regime comunista (caduto nel 1991). Ciascuna delle due “superpotenze”, come venivano chiamate, cercava, con tutti i mezzi, di attrarre altri Stati nella propria sfera di influenza. In quel contesto, il governo statunitense usava la musica e il cinema come strumenti di soft power: ricorreva ai musicisti jazz più venerati del Paese, come Louis Armstrong, Duke Ellington e Dizzy Gillespie, per far conoscere la cultura americana in Paesi dell’Europa orientale, del Medio Oriente o dell’Africa subsahariana considerati suscettibili all’influenza comunista, mentre attraverso i film della grande industria cinematografica di Hollywood esaltava i valori di libertà e democrazia tipici dell’American way of life che si voleva diffondere in tutto il mondo.
Il soft power delle potenze asiatiche: Cina e Corea del Sud
Il concetto di soft power è nato nel mondo occidentale ma nel tempo è risultato interessante anche per altri Paesi che ambiscono a stabilire la propria influenza su scala planetaria. Un esempio è quello della Cina, che si è dimostrata molto abile nel mostrare al mondo la propria immagine di grande potenza in occasione delle Olimpiadi del 2008. Già negli anni precedenti il governo aveva voluto presentare alla comunità internazionale l’“ascesa pacifica” della Repubblica popolare, legata soprattutto al suo ruolo economico globale di “fabbrica del mondo”, e le Olimpiadi di Pechino sono state il palcoscenico perfetto per esibire la straordinaria cultura e gli avanzamenti economici del Paese. Si può dire che usare lo sport come strumento di soft power abbia funzionato: da quell’anno, l’interesse dell’Occidente per la Cina è aumentato esponenzialmente, facendo registrare anche un boom di iscritti alle università per studiare lingua cinese. La Cina ha poi esteso i suoi interessi anche agli sport invernali, arrivando a ospitare le Olimpiadi invernali del 2022, di nuovo a Pechino.
La novità degli ultimi anni è il soft power della Corea del Sud, che si sta affermando con forza sulla scena mondiale per effetto di un piano del governo orientato a questo scopo e denominato Korean Wave. Grazie alla diffusione della sua musica pop, al boom di film e serie TV di grande successo prodotti in Corea e all’apertura nelle grandi città del mondo di ristoranti coreani, sono aumentati gli studenti e le studentesse che studiano il coreano così come il numero di turisti stranieri in visita nel Paese asiatico.
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ASCOLTANDO SI IMPARA – PODCAST Storie per capire il mondoApprofondisci questi contenuti ascoltando a questo link la puntata dedicata ai BTS del nostro podcast Storie per capire il mondo Dalla Corea al mondo: i BTS I BTS sono un fenomeno globale: un gruppo musicale coreano che è stato in grado, con la sua musica, di lanciare la Corea del Sud sulla scena planetaria. Il successo di questi sette straordinari ragazzi non si deve soltanto alla loro bravura, ma anche a un piano del governo che vuole far conoscere in tutto il mondo la cultura e la storia del Paese e del popolo sudcoreano. |
Il soft power dell’Arabia Saudita
Un altro Paese non occidentale che ha deciso di investire nel soft power è l’Arabia Saudita. Questa politica è iniziata nel 2017 quando Mohammad bin Salman, a soli 31 anni, è stato nominato principe ereditario da suo padre, re Salman. Da allora il giovane regnante ha messo in atto il costosissimo piano chiamato Vision 2030, che ambisce a modernizzare l’economia del Paese superando la dipendenza dal petrolio come principale fonte di energia e puntando, invece, su energie rinnovabili, turismo e sviluppo dell’alta tecnologia. Per trasformare la sua “visione” in realtà, bin Salman non può fare a meno degli investimenti stranieri, che arrivano anche grazie alla realizzazione di eventi come il Gran Premio di Formula 1 (dal 2021), i Giochi olimpici di eSports nel 2025 (le Olimpiadi dei videogames sportivi), il Mondiale di calcio (obiettivo per il 2034). Il regno saudita ha compreso da tempo la potenzialità delle grandi manifestazioni sportive per promuovere un’immagine positiva all’estero, facendo leva sulla copertura mediatica e sull’interesse che il pubblico mondiale rivolge a questi appuntamenti.
Questa immagine di Stato moderno serve anche a oscurare il mancato rispetto dei diritti umani e le gravi restrizioni delle libertà che si verificano nel Paese. L’Arabia Saudita è stata, infatti, accusata dalle organizzazioni per i diritti umani di sportswashing, ovvero di utilizzare lo sport per “lavare” la propria reputazione e creare consenso a livello interno e internazionale.
Il caso del Qatar: il subtle power
Con i suoi 2,9 milioni di abitanti, il Qatar è un piccolo Stato del golfo Persico. Grazie alla sua enorme ricchezza, derivata dall’esportazione degli idrocarburi, è un Paese con una forte influenza sia nell’economia mondiale sia nelle questioni internazionali.
Nel tempo, i governi qatarioti hanno sviluppato una strategia di politica estera finalizzata proprio a tale obiettivo, denominata subtle power (“potere sottile”), secondo la definizione di Mehran Kamrava, docente di Government (lo studio dei processi delle decisioni politiche) alla Georgetown University del Qatar. Tale strategia fonde elementi di hard power con quelli del soft power, ovvero utilizzo della minaccia militare e della ricchezza economica, insieme a informazione di qualità e costruzione dell’immagine di un Paese dinamico e amico di tutti. Pensiamo, ad esempio, ad Al-Jazeera, che negli ultimi anni è diventato uno dei network televisivi più autorevoli e seguiti al mondo.
L’interazione di queste componenti ha dato al Qatar un livello di potere e influenza ben superiore alla sua dimensione e collocazione geografica: il piccolo emirato è in grado, per esempio, di fare da mediatore in questioni internazionali molto delicate come i negoziati tra Paesi in guerra nella regione.
Sharp power, il potere “tagliente” dei Paesi autoritari
Mentre le tecniche di soft power sono utilizzate sia dai Paesi democratici sia da quelli autoritari, una forma di intervento tipica dei regimi autoritari, applicata per esempio in Cina e in Russia, è quella definita sharp power, ovvero “potere tagliente”.
Esso si basa sull’uso della propaganda, della censura, della disinformazione o della manipolazione delle informazioni per minare la credibilità delle istituzioni indipendenti, limitare la libertà di espressione, diffondere confusione e condizionare o alterare l’ambiente politico all’interno delle democrazie.
Un caso emblematico relativo alla Cina è costituito dagli Istituti Confucio del ministero dell’Istruzione della Repubblica popolare, nati per la diffusione all’estero della lingua e della cultura cinesi. Queste istituzioni, presenti nelle università europee e statunitensi, sono state oggetto di critiche e accusate di mettere a rischio la libertà accademica perché sospettate di finanziare campagne di censura su argomenti sgraditi alla Cina, come la questione di Taiwan, l’isola di fatto indipendente che la Cina rivendica come parte del proprio territorio.
Lo sharp power della Russia si è espresso, invece, nei media e nell’informazione. A metà degli anni Duemila, il governo russo ha lanciato la rete “Russia Today” (rinominata anche RT) che, attraverso una manipolazione delle informazioni, si è posta l’obiettivo di alterare le opinioni internazionali a proprio vantaggio.
Attraverso RT, i funzionari russi hanno infatti cercato di fare apparire le democrazie occidentali degli Stati Uniti e dei Paesi dell’Unione Europea meno attraenti e forti, raggiungendo persino qualche risultato. Grazie a questa strategia, la Russia ha costruito un’informazione di propaganda nei Paesi dell’Europa centrale e orientale, come Romania, Repubblica ceca e Serbia, che punta a togliere il sostegno di queste popolazioni all’UE.
Il testo è tratto dal nuovo corso di geostoria per il biennio della Scuola secondaria di primo grado Mappa Mundi, di Franco Amerini, Massimiliano Galli, Emilio Zanette, Cristina Tincati. Alle schede di geopolitica curate da Simone Pieranni è legata la serie in podcast Storie per capire il mondo . Ogni puntata, rivolta a studentesse e studenti, è pensata come un’occasione per guardare da vicino i grandi temi e le sfide del nostro tempo, dai rapporti fra gli Stati alle dinamiche del commercio globale, al ruolo internazionale dell’Europa. Complesse questioni globali che possono sembrare lontane ma che in realtà coinvolgono direttamente le nostre vite. Le storie possono aiutarci a capirle meglio. Ascolta tutti gli episodi del PODCAST Storie per capire il mondo >> |
Referenze iconografiche in copertina : cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici Invernali a Pechino, 4 febbraio 2022
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