Aiutare i bambini con DSA, Scuola primaria

A scuola e a casa

L’attenzione verso i bambini con DSA, deve rientrare in un piano pedagogico dell’inclusione attraverso una collaborazione tra docenti e genitori per un sostegno sistematico. A scuola, essi devono poter usufruire di una didattica inclusiva e di percorso didattico personalizzato, formalizzato in un documento, il PDP (Piano Didattico Personalizzato), con gli strumenti compensativi e le misure dispensative e valutative adeguate.

Nella scuola italiana il numero di alunni con disturbi specifici di apprendimento (DSA) è molto elevato: secondo le ultime stime in Italia oscilla attorno al 4/5%, anche se si pensa che molti di loro non siano ancora certificati, soprattutto nella scuola primaria. In ogni caso, sia i casi noti che quelli confusi nell’insieme delle altre difficoltà scolastiche e che rientrano nella categoria dei bisogni educativi speciali (BES), spesso, non sono affrontati in maniera sufficientemente adeguata. Questo non solo per una carenza di formazione specifica non ancora generalizzata ma, soprattutto, per la difficoltà di molti docenti di individuare le scelte didattiche più adatte a offrire a questi studenti le opportunità di un successo formativo.

Intanto, tutti i docenti dovrebbero essere in grado di passare dalla lettura della diagnosi e dall’osservazione delle prestazioni atipiche del bambino negli ambiti di apprendimento interessati dal disturbo alla scelta delle strategie didattiche/metodologiche da usare e da formalizzare in un Piano Didattico Personalizzato (PDP). Tale importante documento deve essere poi concordato con la famiglia, che deve essere coinvolta e informata per poter collaborare alla sua realizzazione, per quanto di sua competenza. Si ricorda che il PDP deve riportare non solo l’elenco degli strumenti compensativi e dispensativi adottati nelle diverse discipline scolastiche, le varie strategie didattiche/metodologiche usate, ma anche le modalità di verifica e di valutazione adeguate alla specifiche esigenze di quel bambino.

Solo conoscendo le caratteristiche e le manifestazioni del/dei disturbo/i docenti, genitori e tutti coloro che sono a contatto con il bambino quotidianamente (fratelli, nonni e anche tutor adeguatamente preparati) possono aiutare e sostenere questi bambini che, dietro alla loro apparente stanchezza, svogliatezza, pigrizia… hanno disturbi ben precisi che si possono compensare, ma che non potranno mai sparire o “guarire”, come alcuni mal informati pensano. Non possono guarire perché la dislessia o gli altri DSA non sono malattie ma disturbi neurologici, che non facilitano certo l’esistenza quotidiana nel mondo della scuola ma che si possono compensare e rendere meno pesanti attraverso l’uso di strategie metodologiche e compensative, nonché di misure dispensative adeguate, come prevede la normativa.

È proprio la scuola l’ambiente in cui si evidenziano più facilmente questi disturbi, in quanto gran parte della giornata è impegnata nello scrivere, leggere e far di conto. Avere difficoltà nella lettura, scrittura e calcolo oggi costituisce una barriera importante: non solo rende lo studio più difficile, ma può influire sul comportamento e sull’autostima. Sono molte, infatti, le variabili emotive e relazionali “in gioco” nell’alunno con DSA, quindi la scuola, per portare questi studenti al successo scolastico e di vita, deve essere in grado di promuovere il rafforzamento di motivazione e autostima, creando un ambiente accogliente e inclusivo.

Ed è per questo che la recente normativa estende la necessità di trovare e applicare adeguate strategie didattiche/metodologiche di intervento previste dalla Legge 170/2010 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” e dalle normative seguenti, a tutti i ragazzi con BES. È stato, infatti, dimostrato che le scelte didattiche e i cambiamenti metodologici che si devono attuare per aiutare gli alunni con DSA sono utili a tutti gli allievi, perché rendono più efficace la pratica didattica, più consapevole il metodo di studio, più duraturi e profondi gli apprendimenti. Ecco, quindi, la necessità di una didattica inclusiva, che inglobi strategie e metodologie che l’insegnante deve mettere in atto per promuovere l’interesse e la partecipazione di ogni allievo nei confronti delle attività di classe e per creare un produttivo ambiente di lavoro.

“L'inclusione scolastica, oggi, è individuata quale architrave dell'identità culturale, educativa e progettuale delle scuole caratterizzandone nel profondo la mission educativa, attraverso un coinvolgimento diretto e cooperativo di tutte le componenti scolastiche. Essa, pertanto, è sviluppata e valorizzata nell'ambito dei documenti fondamentali della vita della scuola, quali il Piano Triennale dell'Offerta Formativa (PTOF) che caratterizza l'identità culturale ed educativa delle singole istituzioni scolastiche.” (Relazione alla bozza di decreto n. 0378 sull’inclusione, 2017)
Serve, quindi, una scuola che capisca che l’inclusione è un modo per ripensare i nostri ambienti di apprendimento e renderli meno obsoleti: un ambiente di apprendimento inclusivo che sappia integrare e potenziare tutti i linguaggi, anche quelli diversi, in cui ci sia collaborazione e cooperazione, che riesca a promuovere il benessere di tutti. Per ottenere ciò serve creare un sistema formativo integrato in cui unire le forze, per rendere consapevoli i genitori del loro fondamentale ruolo educativo (magari attraverso l'attuazione di specifiche iniziative formative a loro destinate), e per far maturare agli operatori scolastici un atteggiamento favorevole alla partecipazione piena ed effettiva dei genitori all'organizzazione del sistema scolastico…

L'inclusione si comincia dall'interno:

  • richiede la corresponsabilità di tutti verso tutti e il riconoscimento della pluralità delle intelligenze, dei diversi stili cognitivi, dell’importanza del contesto sociale;
  • richiede un pensiero condiviso tra i diversi attori dei contesti scolastici, che determini la creazione di ambienti accoglienti e facilitanti le diversità, attraverso strategie educativo-didattiche adeguate;
  • richiede l’individualizzazione e la personalizzazione dell’offerta formativa attraverso strategie e strumenti didattici adeguati, percorsi e materiali individualizzati, l’adattamento degli ambienti e della programmazione, una didattica meta cognitiva, relazioni d’aiuto (i compagni di classe come risorsa), educazione all’affettività/emozioni/stati d’animo e lezioni sempre meno frontali.

Non occorre fare altro, ma fare in altro modo, con diversa consapevolezza. Le metodologie didattiche più innovative sottolineano la centralità dell'apprendimento personale e dell'aiuto reciproco per valorizzare le competenze di ciascuno.

Negli ultimi anni la vita scolastica è cambiata profondamente. Da una parte le innovazioni tecnologiche hanno consentito lo sviluppo di strumenti, tecniche e strategie del tutto inedite e, con esse, la predisposizione di nuovi ambienti di apprendimento, plurali e flessibili. Dall'altra, i processi di globalizzazione e i crescenti flussi migratori hanno determinato una popolazione scolastica eterogenea, portatrice di nuove culture e diversi valori. La scuola è chiamata a interpretare tutto ciò e a diventare un laboratorio di formazione, focalizzato non più sull'insegnamento ma sull'apprendimento, non più solo sulle conoscenze, ma anche sulle competenze, come sottolineano bene le Indicazioni Nazionali per il curricolo.

Il lavoro del docente è perciò cambiato: da esperto che dispensa conoscenze è diventato giuda, facilitatore, supporto nella costruzione attiva della conoscenza da parte degli allievi. La scuola deve perciò divenire flessibile, comprendere, valorizzare e adeguarsi alle differenze. Solo rispondendo adeguatamente ai diversi bisogni essa può diventare davvero inclusiva e le tante buone intenzioni possono concretamente divenire buone prassi, in termini di individualizzazione e personalizzazione. Una scuola per tutti e per ciascuno.

Anche le famiglie devono essere coinvolte in questi cambiamenti e in particolari proprio quelle famiglie che a casa devono sostenere un maggior lavoro nella pianificazione e organizzazione delle attività pomeridiane dei loro figli con DSA. Questo vuol dire non solo aiutare il figlio a organizzare il suo tempo e il suo spazio per il lavoro scolastico pomeridiano, ma anche aiutarlo a ritagliarsi un po’ di spazio per le attività extrascolastiche che gli interessano, compatibilmente con il suo impegno scolastico.
Seguire un figlio con DSA nelle attività scolastiche pomeridiane non è semplice. Le attività necessarie per agevolare e rinforzare gli apprendimenti di un bambino con DSA, infatti, sono molteplici, diversificate, spesso poco familiari al genitore, che a scuola ha imparato in altro modo. Occorre scoprire quali sono le tecniche di studio efficaci in base al profilo cognitivo e di apprendimento del bambino (se possibile con l’aiuto di un docente o di un tutor); improvvisarsi esperti nell’uso di risorse tecnologiche; sapere dove trovare materiale audiovisivo su Internet per integrare le spiegazioni scolastiche e facilitare l’apprendimento di un determinato argomento; aggiornarsi sulle tecniche di studio più efficaci (non facile per chi magari era abituato a imparare leggendo e ripetendo più volte fino a memorizzare i contenuti); imparare a fare le mappe… imparare a misurare e ad armonizzare le proprie forze, le proprie competenze con le competenze e l’autonomia dei propri figli.
Insomma, un compito tutt’altro che facile!

Referenze iconografiche:  domenapat/Shutterstock 

Barbara Urdanch

È pedagogista, formatrice e consulente didattico.