Interviste pop

Donne e uomini della scuola a confronto

Abbiamo condotto interviste-lampo a quattro professionisti nel mondo della Scuola primaria, un maestro, una maestra, un Dirigente scolastico, una Dirigente scolastica, a proposito di identità di genere e della necessità di raggiungere quella parità di genere obiettivo n. 5 nell’Agenda ONU 2030. Ecco le loro testimonianze “a caldo”.

Antonella Capetti_COSA DICE LEI

Antonella Capetti, maestra

  1. Che cosa significa per te uguaglianza, pensando all’identità di genere?
    Per me banalmente maschi e femmine, uomini e donne devono avere pari diritti e pari doveri, se si deve aggiungere altro (penso alle quote rosa, per esempio) è perché la parità di genere non c’è e sono ancora necessarie queste sottolineature paradossali.
  2. Come hai intercettato, come donna, nella tua vita, il tema della diversità di genere ed eventualmente della disparità?
    A livello personale sono stata fortunata. Mio padre è sempre stato molto presente e accudente. Guardando ai miei genitori come coppia, invece, mia mamma ha sempre lamentato il maschilismo di mio padre, un maschilismo generazionale: era scontato che lei stesse a casa per curarsi della famiglia, era la norma e mia mamma non è riuscita a opporsi alla rinuncia al lavoro, pur essendo una donna molto in gamba e desiderosa di maturare un’esperienza professionale che le portasse anche prospettive culturali.
    Nel mio ambiente lavorativo, invece, la scuola, la popolazione maschile è quasi inesistente. “Ce la suoniamo e ce la cantiamo” tra donne. Una parità “al contrario” servirebbe molto.
  3. In Italia esiste una cultura che rallenta il raggiungimento della parità di genere?
    Sì, certamente. Sono figlia di una cultura di paese, ho respirato un ambiente a tratti restrittivo, dogmatico. Una cultura morale troppo chiusa a mio avviso non ha aiutato a contrastare un certo tipo di pensiero che porta con sé pregiudizi, paure e quindi discriminazione. D’altro canto la cultura contadina da cui proviene la mia famiglia invece era di per sé molto paritaria, uomini e donne erano coinvolti in modo simile nel lavoro e c’era una condivisione delle fatiche e delle gioie della vita agricola.
  4. Come educatrice e maestra, che cosa pensi che sia urgente insegnare ai bambini e alle bambine oggi, perché le nuove generazioni realizzino pienamente l’obiettivo ONU della parità di genere?
    Non credo nei grandi proclami e nei progetti troppo pomposi, credo invece nell’impegno della quotidianità. Per esempio andrebbe cambiato il linguaggio che gli stessi docenti usano a scuola per cambiare la cultura che vi sta dietro. Troppe volte abbiamo chiesto agli alunni “Hai fatto vedere alla mamma il diario?” o abbiamo firmato dei documenti con la dicitura “Le maestre” quando nel gruppo docenti era presente anche un insegnante uomo. Possiamo iniziare allora a non pensare come ridondante questa nuova declinazione più attenta al maschile e al femminile, quando ci si rivolge a persone con diversa identità di genere, perché non lo è. È un’attenzione necessaria.
  5. Pensi si debba lavorare di più sui maschi o sulle femmine, per contrastare la disparità?
    A caldo risponderei sui maschi. Ma non se penso ai miei alunni di oggi: al momento ho due classi quarte, una con maggioranza di bambine, e una con maggioranza di alunni maschi. Questi ultimi sono più esuberanti fisicamente ma di fatto quando si tratta di riconoscere diritti non li trovo prevaricanti nei confronti delle compagne… Forse queste nuove generazioni stanno già crescendo con maggiori consapevolezze rispetto a noi.
  6. La bambina che eri ieri, che cosa direbbe all'adulta che sei oggi, rispetto alla tua identità e a come la vivi nella tua vita e nella tua professione?
    Direbbe che avevano ragione i miei genitori nel dirmi che dovevo studiare, portando avanti gli studi nonostante fossimo in difficoltà economiche. Di fatto dovevo eccellere per portare avanti l’istanza di mia mamma, che voleva in tutti i modi che io mi affrancassi dai vincoli e dalle rinunce che viveva lei e che potessi andare avanti con gli studi e vivere di cultura.
  7. L'adulta che sei oggi cosa consiglierebbe alla bambina o alla ragazza che sei stata?
    Di essere più generosa e gentile, senza presunzioni, perché la generosità e il garbo sono e devono essere trasversali, praticati tra uomini e donne, non riservati a gruppi ristretti di cari. Io ho imparato questo valore strada facendo. Così come la condivisione. Senza la condivisione il sapere è nulla. Chi è generoso e gentile nel proprio modo di stare nelle relazioni, in tutte le relazioni, non incappa in errori di “resistenza” anche su aspetti che riguardano i diritti di ciascuno alla propria identità e diversità.
  8. Che cosa ti auguri, per una bambina che oggi cresce e impara nella tua classe?
    Mi auguro che abbia la possibilità di fare tutto quello che desidera.
    Nella favola Cuore di gallina di Nicola Cinquetti (da Ultimo venne il verme) un’aquila non riesce a volare ma ha il coraggio di seguire “il desiderio del proprio cuore”. L’altro giorno, alla domanda sul significato di questa espressione, una mia alunna di cultura islamica ha esclamato “che ognuno può essere ciò che è, anche se uno vuole essere maschio ed è femmina o se è femmina e vuole essere maschio”.
    Ho colto la forza del futuro in questa frase detta proprio da una bimba che cresce in un contesto familiare dove c’è maggiore rigidità rispetto all’identità di genere e ai ruoli femminile e maschile. Mi auguro che ciascun bambino e ciascuna bambina possa allora realizzare pienamente “il desiderio del proprio cuore”.
Antonella Capetti, entrata in ruolo pochi giorni prima di compiere 20 anni, è stata per 17 anni educatrice nella scuola dell’infanzia fino al passaggio alla primaria, dove insegna italiano e arte e immagine ormai da 13 anni. Ha collaborato con le riviste edite da Gulliver; per le stesse edizioni ha pubblicato alcuni racconti in una collana di narrativa. Nel 2015 è uscito Il salone di bellezza per La Margherita edizioni. A febbraio 2017 Che bello! per Topipittori. Nel 2018 è uscito il saggio A scuola con gli albi, sempre per Topipittori.

Oscar InnauratoCOSA DICE LUI

Oscar Innaurato, maestro

  1. Che cosa significa per te uguaglianza, pensando all’identità di genere?
    Io preferisco parlare di questo tema utilizzando il temine inglese equality, nonostante detesti in generale l’uso degli anglicismi in italiano. In effetti per me bisognerebbe parlare di parità più che di uguaglianza tra i generi.
    Stiamo parlando, nel mio caso, di un ambiente lavorativo dove gli uomini sono in netta minoranza; in altri ambiti si verifica esattamente il contrario. Per quanto mi riguarda credo che in qualunque contesto lavorativo dovrebbe essere assolutamente ininfluente che tu sia uomo o donna e deve valere per tutti e tutte il diritto del lavoro.
  2. Come hai intercettato, come uomo, nella tua vita, il tema della diversità di genere ed eventualmente della disparità?
    Nel mio percorso professionale, a scuola, ho vissuto la disparità in senso contrario (a mio vantaggio) in ambito scolastico: alcune idee che erano state ripetutamente bocciate quando proposte da colleghe donne, riproposte da me e un altro collega uomo, con le medesime parole, sono state acclamate. Lì ho percepito che ci potesse essere qualcosa di riferibile al genere di cui eravamo portatori. Una sorta di “riconoscimento a priori di leadership” assolutamente non voluto e non ricercato né da me né dal collega.
  3. In Italia esiste una cultura che rallenta il raggiungimento della parità di genere?
    Sì. Dagli scranni parlamentari ai programmi TV, anche per bambini, la cultura dominante è ancora quella maschilista. I proseliti di questo tipo di cultura, però, sono più spesso a mio avviso donne che uomini. Citando la Lisistrata, di Aristofane, “Se solo le donne lo volessero, il mondo cambierebbe”.
  4. Come educatore e maestro, che cosa pensi che sia urgente insegnare ai bambini e alle bambine oggi, perché le nuove generazioni realizzino pienamente l’obiettivo ONU della parità di genere?
    Secondo me dovremmo lavorare sull’identità sociale delle bambine. Dalla narrazione giornalistica ai patchwork di opinioni irradiati velocemente dai media le donne assumono troppo spesso caratteristiche da “ancelle” o “vicine di casa” e perdono l’identità e il ruolo che meritano e per cui sono citate. Facciamo un esempio: quando Marcell Jacobs vince la sua gara dei 100 metri in velocità alle olimpiadi di Tokyo è per tutti il grande Jacobs, mentre quando Antonella Palmisano vince l’oro nei 20 km di marcia, una gara sfinente, una prova che fa emergere tutta la sua tenacia, diventa per tutti la nostra Antonella o Antonellina…
  5. Pensi si debba lavorare di più sui maschi o sulle femmine, per contrastare la disparità?
    Con le generazioni future a mio avviso si deve lavorare universalmente su tutti, mentre sugli adulti di oggi c’è da decostruire una mentalità soprattutto nelle donne (sono la maggioranza!).
  6. Il bambino che eri ieri, che cosa direbbe all'adulto che sei oggi, rispetto alla tua identità e a come la vivi nella tua vita e nella tua professione?
    Mi direbbe: “Mi porti in giro con te?” Sono contento infatti di aver realizzato quello che sognavo.
  7. L'adulto che sei oggi cosa consiglierebbe al bambino o al ragazzo che sei stato?
    Avendo avuto una mamma molto consapevole dei propri diritti di donna, attivista, scout, e molto forte nel portare avanti le sue convinzioni, da ragazzo insieme ai miei fratelli ci sentivamo un po’ costretti dal suo “femminismo applicato”. Facevamo mestieri e faccende domestiche e ci sentivamo un po’ in gabbia. Direi a quel ragazzo “è questa la giusta via, non altro”.
  8. Che cosa ti auguri, per una bambina che oggi cresce e impara nella tua classe?
    Mi auguro che non si faccia mai mettere i piedi in testa per il solo fatto di essere una bambina, e che la sua identità non sia mai una discriminante nelle sue scelte.
Oscar Alfonso Innaurato, docente di Scuola primaria, laureato in Storia dell’Arte, condirettore di BL Magazine, cittadino del mondo, abruzzese nel cuore e con i piedi ben saldi in Brianza.

GiacaloneCHE COSA DICE LEI

Stefania Giacalone, Dirigente scolastica

  1. Che cosa significa per te uguaglianza, pensando all’identità di genere?
    Uguaglianza per me significa avere identiche possibilità di realizzare i propri desiderata (anche professionali), nel rispetto delle diversità legate alle differenze individuali, anche di genere. L’uguaglianza si realizza quando le differenze non pregiudicano la possibilità di immaginare la propria vita come un percorso di realizzazione delle proprie inclinazioni, e di raggiungere gli stessi traguardi (anche professionali).
  2. Come hai intercettato, come donna, nella tua vita, il tema della diversità di genere ed eventualmente della disparità?
    Sono stata fortunata, non sento di essere stata esclusa o penalizzata quanto al mio essere donna, probabilmente grazie alla carica di grinta in più che ho messo nelle varie situazioni e al fatto di essere cresciuta in un contesto sociale - una grande città come Milano - necessariamente “aperto” alle istanze provenienti dai settori più deboli e discriminati della popolazione. Percepisco ancora, a volte, atteggiamenti che sottovalutano la capacità delle donne di stare con competenza dentro ad alcune situazioni.
  3. In Italia esiste una cultura che rallenta il raggiungimento della parità di genere?
    Tante cose sono cambiate, in meglio, ma ancora forse si registra una carenza di tutti quei servizi che agevolano le donne-madri nel percorso lavorativo, nella progressione di carriera. Talvolta si percepiscono inoltre strascichi di una sottocultura che giudica male le donne che si dedicano molto al loro lavoro, perché trascurerebbero la famiglia cui sarebbero “naturalmente” destinate. Una certa cultura conservatrice e benpensante non ha aiutato a far uscire le donne dal loro ruolo gregario rispetto alla figura maschile e dalla percezione di marginalità.
  4. Come dirigente scolastica, che cosa pensa che sia urgente fare nell'ambiente scuola perché le nuove generazioni realizzino pienamente l’obiettivo ONU della parità di genere?
    Credo che sia importante lavorare sulla decostruzione degli stereotipi legati alla cultura di genere lavorando sullo sviluppo di life skills forti, trasversali. La cultura è di per sé liberatoria, ma occorre fare lavorare insieme bambine e bambini, ragazze e ragazzi. Innanzitutto, sulla conoscenza di sé, per poi arrivare a rafforzare tutte le competenze interpersonali. A questo proposito trovo molto interessante il documento pubblicato dalla Commissione Europea LifeComp, ovvero il Quadro Europeo per le competenze chiave personali, sociali, e di imparare a imparare, che aiuta a mettere a fuoco indicatori sui quali nella scuola si può lavorare.
  5. Pensi si debba lavorare di più sui maschi o sulle femmine, per contrastare la disparità?
    Bisogna lavorare sia sulle ragazze e le bambine che sui ragazzi e i bambini. Il discorso è trasversale e non può prescindere dal coinvolgimento di tutti. Si deve capire e far capire prima di tutto che il problema c’è, in secondo luogo che riguarda tutti e infine che deve cambiare l’atteggiamento di ciascuno di noi, magari anche a partire dal linguaggio quotidianamente usato (che contiene i sedimenti più profondi degli stereotipi e che proprio per questo offre gli spunti più fecondi per un efficace lavoro di “ri-programmazione”)
  6. La bambina che eri ieri, che cosa direbbe all'adulta che è oggi, rispetto alla tua identità e a come la vivi nella tua vita e nella professione?
    La bambina che ero forse ricorderebbe alla donna che sono oggi di cercare, anche nella professione, la bellezza di orizzonti ampi, di sperimentare ogni giorno il coraggio di essere come si è.
  7. L'adulta che è oggi, cosa consiglierebbe alla bambina o alla ragazza che è stata?
    Di essere pronta a spendere energie, di prepararsi, anche se dovesse faticare il doppio di un amico maschio non tanto per raggiungere gli stessi risultati, ma la stessa considerazione, la stessa attenzione, lo stesso riconoscimento.
  8. Che cosa ti auguri, per una bambina che oggi cresce e impara nella tua scuola?
    Che possa realizzare i propri sogni, se sono stati sognati in grande, e di farli crescere, se sono stati sognati in piccolo.
Stefania Giacalone, dirigente scolastica presso l'Istituto comprensivo Brianza di Bollate, autrice collaboratrice Pearson e ideatrice - insieme ad un gruppo di lavoro - di Sfide-la scuola di tutti, una manifestazione sulla scuola che si svolge tutti gli anni a Milano. Ama contaminare mondi e far incontrare persone. Soprattutto ama la scuola e tutto quello che potrebbe diventare.

Gianni_TrezziCOSA DICE LUI

Gianni Trezzi, Dirigente scolastico

  1. Che cosa significa per te uguaglianza, pensando all’identità di genere?
    Sono andato a leggere le definizioni di uguaglianza dello Zingarelli, ne riporto una parte pari pari: “Principio per cui tutti gli uomini sono considerati davanti alla legge senza distinzione e privilegi/ Principio per cui a tutti gli uomini deve essere assicurata la libertà dal bisogno, mettendoli così in una condizione di uguaglianza reale e non solo formale”. Nelle due definizioni si parla per due volte di uomini, comprendendo nel termine per tutta evidenza anche le donne. Quella che ho consultato è un’edizione vecchiotta, risale al 1983, per cui può essere che l’ultima versione ne riporti una più attenta al rispetto dell’identità di genere. Vi invito a verificarlo: se è stata modificata siamo sulla buona strada, ma se è rimasta la stessa temo che la via da percorrere sarà ancora assai lunga. E allora, per rispondere alla domanda, per me uguaglianza rispetto all’identità di genere significa non dare per scontato che un termine maschile ne contenga con criptica evidenza anche uno femminile.
  2. Come hai intercettato, come uomo, nella tua vita, il tema della diversità di genere ed eventualmente della disparità?
    Io ho quasi sessant’anni e quando ero bambino, nei primi anni Settanta, ho toccato spesso con mano la disparità della condizione uomo/donna. Tra i tanti aneddoti mi sovviene di quando si è iniziato a parlare di uguaglianza sul luogo di lavoro e di un contratto che prevedesse identico salario per entrambi. Avrò avuto dieci anni ed ero al bar del paese con mio padre; un signore di mezza età, operaio in una fabbrica del paese, stava commentando con veemenza queste rivendicazioni da femministe e raccontava di avere detto a una sua collega “Se me e te sem istess, quela casetta lè te la tovet so te de par te!” (traduzione: “Se io e te siamo uguali quella cassa la sollevi tu, io non ti aiuto!”). Ricordo ancora le risate sguaiate dei presenti e di avere pensato “chissà se sua moglie gli dirà la stessa cosa quando dovrà preparare la cena?”.
  3. In Italia esiste una cultura che rallenta il raggiungimento della parità di genere?
    Il nostro è il Paese della mamma e questo lo rende un posto per certi aspetti unico al mondo. Il rapporto con la madre del maschio italiano è profondissimo, penso che uno degli ostacoli maggiori nella nostra cultura al raggiungimento della parità di genere sia il mammismo o almeno la sua degenerazione, per cui il figlio maschio viene onorato dalla sua genitrice come un essere deificato a cui non si può fare mancare nulla e nulla si può chiedere che faccia in casa. Il peggior nemico della parità di genere in Italia è spesso nascosto nello sguardo amorevole ma purtroppo acritico della madre.
  4. Come dirigente scolastico, che cosa pensi che sia urgente insegnare ai bambini e alle bambine oggi, perché le nuove generazioni realizzino pienamente l’obiettivo ONU della parità di genere?
    Nelle comunità scolastiche ed educative si dovrebbe soprattutto riflettere sulla parola equità, a mio parere ancora più significativa di uguaglianza. In una scuola equa ognuno riceve ciò di cui ha effettiva necessità, perché uguaglianza ed equità non sono sinonimi.
    Ritengo dunque urgente promuovere la cultura dell’equità, in quanto è solo in una società equa a livello etico e pratico che potrà esserci autentica parità di genere.
  5. Pensi si debba lavorare di più sui maschi o sulle femmine, per contrastare la disparità?
    Sarò apodittico: entrambi. Allo stesso identico, efficace, pervicace, convinto, suadente modo.
  6. Il bambino che eri ieri, che cosa direbbe all'adulto che sei oggi, rispetto alla tua identità e a come la vivi nella tua vita e nella tua professione?
    Il bambino che ero ieri dice all’adulto che sono oggi: “Hai sempre lavorato in ambienti a maggioranza femminile e vivi in una casa con moglie, figlia, sorella che abita al piano di sotto, perfino i cani sono due femmine… sei una donna ad honorem!”. Penso sia il più bel complimento che Giannino possa fare a Gianni.
  7. L'adulto che sei oggi cosa consiglierebbe al bambino o al ragazzo che sei stato?
    Mah, che dire... noi siamo figli della contemporaneità ed è quasi impossibile fare meglio di quanto accade nel tempo e nello spazio in cui ci è dato di vivere. Se tuttavia volessi azzardare un consiglio gli direi di fare la sua strada essendo sé stesso, con occhi e orecchie sempre aperti, per cogliere le sfumature delle cose, delle persone, delle situazioni. Soprattutto, però, gli direi di non essere troppo sicuro di quello che man mano giungerà a conoscere delle umane cose e di lasciare sempre un poco di spazio al dubbio, perché è come il sale nella minestra: troppo la rovina, poco la rende insipida, ma se il sale è dosato al punto giusto diventa un piatto squisito.
  8. Che cosa ti auguri, per una bambina che oggi cresce e impara nella tua scuola?
    Che nessun maschio possa dirle che cosa deve o non deve fare. Qualche giorno fa ho regalato a mia figlia tredicenne il libro di Michela Murgia “Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più”. Dandoglielo le ho detto: “Mi raccomando, non farti mai dire da un maschio cosa devi o non devi fare”. “L’hai appena fatto” mi ha risposto Virginia. Colpito e affondato. Ho ancora tanto da imparare, lasciatemi però dire che il mio cuore di babbo si è inorgoglito assai.
Gianni Trezzi, maestro elementare dal 1983, attualmente è dirigente scolastico presso il Liceo umanistico “Giuseppe Parini” di Seregno (MB). Ama leggere, anche ad alta voce, camminare in montagna, nuotare e andare in bicicletta. A parte la prima di queste passioni, le altre tre non è detto che siano elencate in un ordine definitivo. Mediatore comunitario e facilitatore dialogico, sogna una scuola che possa diventare una comunità di pratiche e di ricerca.

Referenze iconografiche: wellphoto/Shutterstock

Laura Papetti

ha lavorato per anni come progettista editoriale nel settore scolastico. Da alcuni anni è docente di scuola primaria nella provincia di Monza e della Brianza e collabora con Sanoma Italia in qualità di autrice e consulente editoriale.