Che giornata, la giornata a scuola!

Oltre le ore di didattica, momenti educativi importanti

Una scuola che offre il tempo pieno deve essere in grado di fornire un tempo ricco, un tempo buono per educare e accompagnare ciascun bambino e ciascuna bambina nell’avventura di crescere nella comunità. Se intendiamo in questo modo lo scopo dell’offerta formativa scolastica, la progettazione della quotidianità acquista immediatamente più tempo, perché ogni tempo a scuola è tempo per imparare.

La scuola è ambiente di istruzione e di educazione. Ma quale educazione, in un’epoca di disorientamento rispetto alle diverse prospettive valoriali? Di fronte alla complessità e alle incertezze, il rischio è che i professionisti della scuola si rifugino nella didattica e lascino da parte il gesto educativo quotidiano, il solido lavoro di costruzione dei valori, in ultima analisi la costruzione di senso.

Scrive Matthew Fox:

«L’era moderna ci ha instradato verso il sapere e le conoscenze specifiche, e non si può dire che si tratti di poca cosa. Siamo in grado di costruire ponti sicuri e aerei che ci trasportano da una parte all’altra del globo a velocità inaudite […]. Ma l’era moderna non ci ha consegnato alcun significato. Senso e significato provengono dalle tradizioni sapienziali, non dal sapere e dalla conoscenza.

[…] Dunque, il nostro compito, oggi, è quello di incorporare la sapienza e la pienezza premoderna del senso con il vasto deposito della conoscenza moderna.» (Fox, M. Educare alla meraviglia, p.19)

Il vero problema di fare didattica rinunciando all’educazione della persona è che di fatto è impossibile non educare. Dunque un’istruzione asettica, algida, avulsa da un mondo valoriale e diretta a chi, come i nostri alunni e le nostre alunne di scuola primaria, sta costruendo la propria identità e il proprio rapporto con il mondo, è di fatto una diseducazione. Perché non e-duce, cioè non “tira fuori”, non porta alla luce l’unicità e il talento più importante contenuto, in potenza, in ogni essere umano: la fiducia in se stesso e lo sguardo curioso, pieno di fiducia anche nel mondo che lo circonda, a partire da chi incontra ogni giorno.

È rischioso, oggi ne conveniamo tutti, avere fiducia nel mondo, eppure è l’unico modo per costruire una comunità. E questo è ciò che la scuola è chiamata a fare, in un luogo protetto, in sicurezza, avviando ogni piccolo e piccola cittadina al rischio di sperimentare in pienezza le relazioni, vivendo slanci, delusioni, ricomposizioni, cauti avvicinamenti, fino a comprendere che siamo tutti interdipendenti per natura.

Il Piano dell’Offerta Formativa è il documento istituzionale che non solo realizza in proposte concrete e legate al territorio l’identità della scuola, ma che organizza anche il progetto educativo pensato per quei bambini e quelle bambine che abitano la scuola in anni importantissimi della loro crescita e formazione. Coniuga quindi dentro le proprie azioni atti di istruzione e atti di educazione, tenendo conto delle diversità di ciascuno, anche familiari, culturali, religiose, facendone un valore da cui partire e su cui lavorare in ogni momento.

L’obiettivo di una scuola che sappia integrare istruzione ed educazione è allora quello di non fare delle diversità qualcosa di frammentario, da tacere, ma un dato di realtà da osservare con sguardo curioso, attivando relazioni autentiche e intense dove si possano nominare in sicurezza le differenze e sia possibile avere fiducia tra diversi.

Per questo motivo il tempo dell’aula e in particolare la lezione non è più il centro indiscusso della giornata scolastica. Spesso, ma ci auguriamo non sempre, sarà il tempo più opportuno per momenti didattici o educativi, ma saprà essere anche “solo” uno dei tanti momenti dell’educazione a scuola.

Pensiamo per esempio alla mensa. Quanto si può educare nel momento del pasto condiviso a scuola? Il ruolo di guida, di regia di questo momento spetta prima di tutto ai docenti, ma poi anche al personale della mensa e a tutti coloro che sono coinvolti a vario titolo nel momento del pranzo dei bambini.

Attraverso una attenta osservazione si possono rilevare gli stili dei rapporti a tavola e il grado di alfabetizzazione alla convivialità di ciascun bambino. Si leggono anche la pazienza di nonni che hanno insegnato ai nipotini a tagliare la cotoletta o a sbucciare un’arancia. Si possono immaginare abitudini familiari consolidate, attitudini e fatiche.

Jesper Juul ci ricorda poi che «i bambini hanno competenze alimentari innate: sono responsabili del proprio appetito e dei propri gusti, […] sanno quando hanno fame e quando sono sazi» (Juul, J. Ragazzi, a tavola! Il momento del pasto come specchio delle relazioni familiari).

Sono però in evoluzione e così i loro gusti, che possono cambiare o essere ampliati con il giusto incoraggiamento o anche solo grazie all’osservazione di come altri loro amici consumano con entusiasmo pietanze a loro ignote.

Non dobbiamo poi escludere nemmeno le ricadute di una buona didattica sul momento del pasto condiviso: per esempio, dopo aver realizzato un orto di classe nell’ambito del progetto di scienze e educazione alimentare, lo scorso anno, dopo aver seguito passo passo la crescita di insalatine da taglio primaverili, fino a raccoglierle, pulirle, tagliarle e condirle per poi portarle in mensa, ho visto alunni e alunne che normalmente allontanano il piatto di verdure senza nemmeno assaggiarle contendersi le ultime porzioni di contorno a chilometro zero. Un grande successo!

E veniamo al giardino o cortile scolastico, dove si grida forte, si corre, ci si spinge, si cade, si litiga e si fa la pace. Si esclude o si è esclusi. Si chiede di poter giocare e si è accolti.

O ancora si osservano chiocciole fare gare di velocità e si scopre che una tartaruga è velocissima. Come quella volta che una enorme tartaruga di terra fuggì attraverso un buco nella rete della villetta adiacente il giardino scolastico e se ne andava a grandi passi verso la strada, attraversando lo spazio pullulante di bambini in pausa post pranzo e generando un autentico momento di stupore collettivo e interesse scientifico. La libertà dello spazio esterno e del tempo del gioco libero è fonte di intense relazioni, di equilibri tra pari da costruire e smontare ogni giorno, di alleanze e protezioni, di solitudini da lenire, di nuove scoperte e nuove parole in gioco.

Gli adulti lasciano fare, un po’, si fidano di chi si dondola o si arrampica, vigilano che non ci siano pericoli, ma lasciando a ciascuno il bello di sperimentare, fare finta, immaginare. A volte, chi è disorientato in aula, mentre si fa matematica, si fa esperto condottiero nell’intervallo, recita copioni mai scritti, mostra inesplorati talenti.

A volte l’insegnante che sta seduto sulla panchina diventa l’occasione per una confidenza, una domanda, per farsi pubblico di uno spettacolo improvvisato o di una danza appena inventata.

Succede anche che quando l’insegnante non insegna, siano i bambini a insegnare.

Bibliografia:
  • Fox, Matthew: Educare alla meraviglia. Reinventare la Scuola, reinventare l’umano. Edizioni La Meridiana, 2017.
  • Folli, R., Papetti, L., Sorgato S.: Civicamente – Percorsi di educazione civica nella scuola primaria. Pearson Italia, 2020.
  • Juul, Jesper: Ragazzi, a tavola! Il momento del pasto come specchio delle relazioni familiari. Feltrinelli, 2005.

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Laura Papetti

ha lavorato per anni come progettista editoriale nel settore scolastico. Da alcuni anni è docente di scuola primaria nella provincia di Monza e della Brianza e collabora con Sanoma Italia in qualità di autrice e consulente editoriale.