Di sicuro conoscete Giove, e saprete molte cose sul suo conto. Per esempio, che è il pianeta più grande del nostro Sistema solare, che è fatto per lo più di idrogeno allo stato liquido ma che al suo interno probabilmente ha anche un nucleo roccioso. Forse saprete anche che ha un’atmosfera spessa e densa di idrogeno ed elio, con tracce di metano e altre sostanze tra le quali ammoniaca e composti di fosforo, carbonio e zolfo. Inoltre, se vi siete mai soffermati a osservare qualche sua immagine, avrete notato bande chiare e scure disposte in modo parallelo all’equatore. Sono nubi alte fatte di cristalli di ammoniaca ghiacciata che ricoprono l’intero pianeta e si muovono in senso opposto: nelle bande più chiare ci sono correnti ascensionali in cui i materiali risalgono verso l’alto, si raffreddano e poi precipitano in corrispondenza delle bande più scure. Non vi sarà neppure sfuggita la sua Grande Macchia Rossa, un enorme vortice, simile a un gigantesco uragano sempre presente nella sua atmosfera e alimentato da venti che viaggiano a una velocità di oltre 600 chilometri all’ora. Di vortici come questo ce ne sono molti altri nell’atmosfera di Giove, ma la Grande Macchia Rossa è il più noto, perché è stato osservato al telescopio già oltre 300 anni fa.
Tantissime trasformazioni per un pianeta molto lontano
Sono già moltissime informazioni, ma di questo gigante sappiamo anche molto di più: che ha un campo magnetico molto forte ma i suoi poli sono invertiti rispetto a quelli della Terra (il Sud al posto del Nord, per intenderci).
Che emette energia, in quantità maggiore rispetto a quella che riceve dal Sole per cui gli astronomi pensano che sta continuando a contrarsi lentamente, liberando il calore prodotto durante questa contrazione. Che, mentre la Terra ha un solo satellite, la Luna, Giove ne ha oltre 50 (l’esistenza di alcuni di questi deve ancora essere confermata). Incredibile quanto ne sappiamo, nonostante Giove sia così lontano dal nostro pianeta. Ma come siamo arrivati a tutte queste conoscenze?
Le prime esplorazioni e la scoperta degli anelli
L’esplorazione spaziale di Giove è cominciata negli anni Settanta del secolo scorso con l’invio di sonde automatiche. Le sonde Pioneer 10 (1973) e 11 (1974) sono state le prime a superare indenni la fascia degli asteroidi che si trova tra Marte e Giove. Pioneer 10 è la sonda che ci ha svelato che Giove produce più calore di quanto ne assorba dal Sole. Pioneer 11, invece, ha inviato immagini dettagliate della Grande Macchia Rossa e le prime immagini delle immense regioni polari, ha mappato il pianeta ed è riuscito a calcolare la massa di uno dei suoi satelliti, Callisto.
Nel 1979, anche le sonde Voyager 1 e Voyager 2 hanno raggiunto Giove, scattando molte fotografie dalle quali abbiamo ricavato parecchie informazioni, come la presenza su Io di vulcani che emettono zolfo. La vera sorpresa, però, è stata la scoperta della presenza di tre deboli anelli intorno al pianeta. Fino ad allora, infatti, si riteneva che soltanto Saturno e Urano ne possedessero, anche perché gli anelli di Giove sono molti sottili e poco luminosi, quindi molto difficili da vedere. Si estendono fino a 130 000 Km di distanza dal pianeta e sono composti da minuscole particelle di roccia e ghiaccio.
Gli scienziati ritengono che questi anelli possano essere i resti di qualche piccolo satellite di Giove che si è frantumato.
Da Ulysses a New Horizons, i viaggi continuano
Ancora: la sonda Ulysses, in viaggio verso il Sole, ha raggiunto Giove nel 1992 e ha permesso di raccogliere dati sul suo campo magnetico, mentre nel dicembre del 1995 il pianeta è stato raggiunto anche dalla sonda Galileo. Questa è rimasta per otto anni in orbita intorno al pianeta, sganciando anche una sonda che è riuscita a penetrare nella sua atmosfera e a raccogliere informazioni sulla sua composizione, sulla pressione e la temperatura, sulla velocità dei venti, sul suo grado di attività e sul suo campo magnetico. La sonda Galileo ha anche studiato i satelliti gioviani, in particolare Europa, Io e Ganimede. Nel 2000 la sonda Cassini, diretta verso Saturno, ha compiuto un passaggio ravvicinato su Giove per sfruttarne l’effetto fionda (o gravity assist), ossia per aumentare la propria velocità e modificare la propria traiettoria sfruttandone la forte attrazione gravitazionale e il suo moto rispetto al Sole.
Ha così potuto scattare oltre 26 000 immagini del pianeta che hanno permesso di realizzarne una mappa dettagliatissima. E nel 2007 anche New Horizons, diretta verso Plutone, ha visitato Giove e ne ha studiato l’atmosfera, il campo magnetico e le aurore.
Tutto il lavoro di Juno
Ma l’esplorazione non è finita. Il 4 luglio 2016, dopo un viaggio durato cinque anni, la sonda Juno (ovvero Giunone, sposa di Giove nella mitologia) del programma New Frontiers della NASA è entrata nell’orbita gioviana. Juno è la sonda ad energia solare che finora si è spinta più lontano e questo grazie a tre grandi pannelli, ognuno lungo nove metri per un totale di quasi diciannovemila celle fotovoltaiche. La sonda passa vicinissima a Giove, a una distanza di circa 3000 km. Può sembrare una distanza notevole, ma se si considera che il raggio del pianeta è di circa 70 000 km, in realtà non lo è. Lo scopo della missione è cercare di comprendere l’origine e l’evoluzione di Giove (attualmente ci sono ben tre teorie diverse sulla sua formazione!), cercare evidenze della presenza di un nucleo solido, mappare il suo campo magnetico e ricercarne l’origine, misurare la quantità d’acqua e ammoniaca presenti nell’atmosfera, studiare i venti e osservare le aurore boreali (già osservate anche dalla Terra) per comprenderne meglio i meccanismi, in modo da poter studiare il campo magnetico del pianeta e come questo interagisce con l’atmosfera.
Studiare Giove per capire il Sistema Solare
A bordo di Juno ci sono due strumenti di costruzione italiana: JIRAM (Jovian Infrared Auroral Mapper), uno spettrometro infrarosso a immagine e KaT (Ka-Band Translator), lo strumento per radioscienza. Il primo è uno strumento che lavora nell’infrarosso e serve per studiare le aurore, l’atmosfera e per misurare le concentrazioni di alcune sostanze come l’acqua e l’ammoniaca. Il secondo, invece, serve per fornire misure molto precise dal campo di gravità di Giove: informazioni essenziali per capire la struttura interna del pianeta. Poiché Giove è composto prevalentemente da idrogeno ed elio, gli stessi gas di cui è composto anche il Sole, si ritiene che si sia formato quando il Sistema solare era ancora “giovane”. Studiare la struttura di questo gigante gassoso potrà, quindi, aiutarci a comprendere meglio anche come si è evoluto il Sistema solare stesso.
Grazie agli strumenti presenti a bordo, quindi, Juno sta cercando di capire come è fatto Giove misurando l’abbondanza di acqua nella sua atmosfera, studiando la composizione delle nuvole, la temperatura e il movimento dei fluidi, mappando il campo magnetico e gravitazionale e “immergendosi” nella magnetosfera e nelle aurore polari. L’esplorazione di Juno è appena cominciata, non siete curiosi di vedere cosa scoprirà?
PER APPROFONDIRE
- Giove, collezione di articoli dell’Istituto nazionale di astroisica, INAF, sul pianeta gigante, le sue caratteristiche e le più recenti esplorazioni.
Referenze iconografiche: tristan3d/123RF, Nasa collection