L’impatto del cambiamento climatico sul territorio
Il riscaldamento globale in atto, interferendo con le dinamiche dell’atmosfera e dell’idrosfera (in particolare, della criosfera), può determinare profonde alterazioni del paesaggio e della sua morfologia. Alterazioni che è fondamentale saper monitorare.
«Il periodo attuale rappresenta uno stadio significativo nell’adattamento dei versanti montuosi al cambiamento climatico e in particolare al riscaldamento dell’atmosfera.»
Così si apre un lavoro internazionale pubblicato da poco e che ha coinvolto scienziati di tutti i continenti per condividere le conoscenze sulla riduzione dei ghiacciai e la stabilità dei versanti nelle aree di alta montagna. Le quaranta pagine dello studio, intitolato Ice Loss and Slope Stability in High Mountain Regions, disegnano una panoramica molto ampia di situazioni, cambiamenti in atto, prospettive future delle montagne di tutto il mondo.
È un esempio notevole di come la geomorfologia – lo studio di come viene modellata la superficie terrestre – sia chiamata a rispondere con aggiornamenti continui a ciò che sta succedendo sul pianeta. Di fronte ai cambiamenti climatici, poi, lo studio dei processi in atto sugli ambienti e la loro morfologia sta assumendo un ruolo fondamentale anche per il livello di decisione politica nel governo del territorio. Mentre l’opinione pubblica fa sempre più attenzione agli effetti immediati degli eventi meteorologici insoliti, estremi, o segno di una tendenza in atto (come le piogge intense, la scarsità dell’innevamento, la riduzione dei ghiacciai), è cruciale capire come questi eventi siano in grado di modificare, e stiano già modificando, il territorio. È dalla comprensione di questi processi che dipendono le decisioni da prendere per salvaguardare, o adeguare, i diversi ambienti morfoclimatici (quelli definiti in base all’elemento climatico dominante, come l’ambiente glaciale, periglaciale ecc.).
Il massiccio cambiamento dei ghiacciai
Le modificazioni che stanno interessando le montagne sono forse le più evidenti e le più studiate. È diventato fondamentale capire le risposte ai cambiamenti della criosfera, la porzione di superficie terrestre coperta dai ghiacci, ed esaminare la varietà e la complessità del modo in cui il paesaggio alpino risponde. Lo studio Ice Loss and Slope Stability in High- Mountain Regions sottolinea infatti come una spinta generale, quella prodotta dall’aumento delle temperature, si traduca in risposte differenti dei diversi crinali, in base alla quota, alle esposizioni, al litotipo presente, agli ambienti termici e idrologici, e anche in base alla loro storia geologica.
«La criosfera montana sta cambiando rapidamente in questi decenni, con forti conseguenze per le sue morfodinamiche», dice lo studio internazionale. «I ghiacciai si stanno riducendo a un tasso mai osservato dalla fine della Piccola Età Glaciale (tra il quindicesimo e il diciannovesimo secolo, NdR). Questo influenza la stabilità dei versanti a scale spaziali e temporali differenti. Vengono innescate, o riattivate, grandi frane di crollo in roccia e deformazioni gravitative profonde di versante. La messa a nudo dei fianchi delle morene consente scivolamenti, aperture di gole e fratture delle morene dovute alle precipitazioni, infiltrazioni o inondazioni. Il cambiamento della geometria dei ghiacciai riduce il loro assestamento e può provocare valanghe di ghiaccio, il riscaldamento dei ghiacciai induce il loro scivolamento.» Insomma, la riduzione dei ghiacciai sta provocando una serie di fenomeni, a volte molto visibili e rapidi, altre volte più lenti e meno appariscenti, che portano a una instabilità dei versanti alpini e a modificazioni anche profonde della loro morfologia.
Il caso del permafrost
Uno dei casi più studiati è quello del permafrost, il suolo perennemente ghiacciato, o ghiacciato per almeno due anni ininterrottamente. «Il permafrost montano è sempre più un aspetto della criosfera che anche alle nostre latitudini viene considerato non solo per gli aspetti scientifici, ma anche per quelli pratici e amministrativi, con programmi di monitoraggio delle variazioni del permafrost per i suoi possibili effetti sulla stabilità dei versanti.» Il ritiro dei ghiacciai porta alla formazione di condizioni di ambienti periglaciali, caratterizzati dalla presenza e dall’azione del gelo, con l’attivazione di processi provocati dal ghiaccio, come hanno scritto Simona Fratianni, dell’Università di Torino, e i suoi colleghi in uno studio dedicato a quello che sta avvenendo nel bacino Sabbione, in Piemonte. Un bacino in cui si sta proprio verificando questo passaggio dalle condizioni di ambiente glaciale a quelle di ambiente periglaciale.
Ma il fenomeno del permafrost montano è stato a lungo trascurato nella ricerca scientifica. E gli effetti del global warming sui versanti montani con ghiaccio perenne vengono studiati da poco più di un decennio. In Italia, per esempio, non esiste una carta che presenti una mappatura unitaria delle aree soggette a permafrost.
In un contesto di aumento della temperatura, la situazione più delicata, scrivono Wilfried Haeberli e Stephan Gruber in un lavoro del 2009 dedicato a questo argomento, si può sviluppare nella fase di transizione tra condizioni con e senza permafrost, quando l’ispessimento dello strato attivo sui versanti scoscesi permette una profonda erosione ma il permafrost forma ancora una barriera idraulica irregolare parallela alla superficie che impedisce il percolamento, concentra l’acqua delle precipitazioni in uno strato di spessore limitato vicino alla superficie e conduce il flusso sotterraneo così accresciuto direttamente verso gli strati superiori dei pendii scoscesi.
Non solo montagne
Ma l’ambiente alpino è solo il caso più vistoso, anche per il trend continuo e molto visibile che mostra nella riduzione dei ghiacciai.
I fenomeni dell’aumento delle precipitazioni e delle alluvioni in alcune zone, come l’inaridimento e la trasformazione in deserto di altre, sono altrettanto allarmanti.
Ogni evento meteorologico estremo che colpisce il nostro Paese mette in luce l’instabilità geomorfologica del territorio. Uno studio realizzato dopo la disastrosa alluvione delle Cinque Terre nel novembre del 2011, quando si produssero centinaia di frane superficiali e una profonda erosione, con fenomeni di denudazione e di accumulo, ha verificato come i terrazzamenti caratteristici della zona delle Cinque Terre e di tutta la Liguria sono estremamente vulnerabili e da strumento di prevenzione dei processi erosivi e di dissesto si sono trasformati in aree «serbatoio di detriti che possono facilmente franare in presenza di piogge molto intense».
Referenze iconografiche: TheOldhiro/Shutterstock, Belozorova Elena/Shutterstock, Paolo Magliocco
PER APPROFONDIRE
- E. Giaccone et al., Climate variations in a high altitude Alpine basin and their effects on a glacial environment (Italian Western Alps), in “Atmosfera”, aprile 2015.
- W. Haeberli e S. Gruber, Global Warming and Mountain Permafrost, in Permafrost Soils, a cura di R. Margesin, Springer 2009.
- Introduzione alla geomorfologia, dispensa dell’Università di Genova.
- P. Brandolini e A. Cevasco, Fenomeni di instabilità geomorfologica causati dall’evento alluvionale del 25 ottobre 2011 nel bacino del T. Vernazza, presentato al IV Convegno nazionale AIGeo.