Crisi ecologica e sostenibilità
Una riflessione generale e puntuale sul tema del cambiamento climatico
Partiamo dall’inizio
Tutto sembra essersi scatenato dai primi sit-in di Greta Thunberg davanti al Parlamento svedese a Stoccolma sul finire dell’estate 2018; così, in un crescendo di manifestazioni di solidarietà con la studentessa scandinava, è nato il movimento che si riconosce nello slogan Fridays for Future. Il terreno comune è il ruolo protagonista di studenti e giovani in generale per svegliare le coscienze di adulti, amministratori e politici affinché mettano in campo concrete iniziative politico-economiche coerenti con gli allarmi lanciati dalla scienza sullo stato del Pianeta, e in specie sul cambiamento climatico.
La questione del cambiamento climatico è in realtà nota e ben compresa da decenni, come sanno coloro che si sono formati in ambito naturalistico e hanno seguito il procedere di iniziative di studio, lo svilupparsi di consessi internazionali, la diffusione di idee e proposte a tutti i livelli, da quello locale regionale a quello globale.
Si pone qui evidentemente una questione: i giovani e gli studenti si formano a scuola, dalla materna all’università, e forse la categoria dei docenti che li prepara al mondo presente e futuro non ha in generale un’adeguata formazione riguardo alle questioni ecologiche. In altre parole, cosa dovrebbero sapere gli insegnanti di ogni livello per poter andare incontro a questa richiesta impellente che giunge dalle giovani generazioni?
Questa vuole essere la prima occasione per rispondere a tale esigenza, partendo dall’identificazione del tema generale e separando gli aspetti chiave, che qui sono appena accennati ma in interventi successivi saranno meglio sviluppati e accompagnati dalle relative strategie di compensazione nel quadro delle politiche di sostenibilità.
Definiamo il tema generale
Il primo punto è sicuramente il nome che diamo alla questione. Studiosi, specialisti e divulgatori seri la definiscono la crisi ecologica globale, individuando così un quadro generale di problematiche interconnesse che devono essere comprese nel loro insieme e allo stesso tempo affrontate distintamente.
Il termine ecologico merita una precisazione, considerato che spesso è utilizzato in alternativa come sinonimo di ambientale e, in altri casi, pure in abbinamento quando per esempio si parla di problematiche ecologico-ambientali. È certamente preferibile riferirsi all’ecologia, che è propriamente la branca delle scienze naturali che studia gli ecosistemi a tutti i livelli – da quello planetario globale a quello microscopico delle interazioni biogeochimiche – e poi i fattori di squilibrio delle attività umane e gli interventi di tutela o recupero.
È meno preferibile parlare in modo vago di ambiente, specie per evitare di dare spazio alla riproposizione di anacronistiche contrapposizioni tra l’uomo e l’ambiente, come quelle tra l’uomo e la natura. Peraltro, in questi casi basterebbe aggiungere un accento sulla congiunzione, trasformandola in verbo: l’uomo è l’ambiente, l’uomo è la natura; il solo enunciarlo ci pone già in un’ottica nuova, vera, propositiva.
L’ecologia ci permette poi sempre di chiamare al suo dovere l’altra disciplina definita sulla base della stessa radice greca òikos, che significa casa in senso ampio, ovvero l’economia, che per la precisione dovrebbe occuparsi dell’uso razionale delle risorse, muovendosi obbligatoriamente nel solco di quanto definito dalle leggi della natura e dall’ecologia. Ecco, ricomporre un quadro culturale di questo tipo è un obiettivo di fondo che deve accompagnare continuamente tutte le azioni e le attività che si muovono verso un orizzonte di sostenibilità.
Due parametri utili per capire la situazione
La crisi ecologica globale è dovuta totalmente alle attività svolte dagli esseri umani nell’ultimo secolo, contestualmente all’impressionante aumento della popolazione: da 2 miliardi del 1930 a quasi 8 miliardi odierni, con un raddoppio negli ultimi 45 anni. Con questa crescita sono aumentate in modo smisurato e incontrollato tutte le attività, il prelievo delle risorse, l’uso di fonti energetiche e materie prime, la quantità di rifiuti e ogni sorta di inquinamento.
Volendo focalizzare la questione in modo sintetico si determina abitualmente il parametro dell’impronta ecologica pro capite, che è la porzione di superficie dell’ecosfera che ogni essere umano dovrebbe avere a disposizione per poter sostenere le sue esigenze di vita, cioè prelevare risorse di ogni tipo e smaltire tutti gli scarti e i rifiuti. Il valore attuale è 2,7 ettari, per rendere l’idea si tratta all’incirca della superficie di 4 campi da calcio professionistici; 4 campi da calcio per ogni essere umano! Peccato che se dividessimo la superficie planetaria globale oggettivamente disponibile per il numero di umani odierni si avrebbero solo 1,7 ettari, che è la cosiddetta biocapacità pro capite.
L’impronta ecologica ha superato la biocapacità circa 50 anni fa e da allora è andata sempre più allontanandosene. È sostanzialmente per questo motivo che si dice che avremmo bisogno di una Terra e mezza, o che ogni anno vi è un simbolico Earth Overshoot Day a indicare la data in cui le risorse disponibili finirebbero e dopo la quale si procede consumando risorse naturali insostituibili: nel 2019 è caduta il 29 luglio.
Le maggiori problematiche ecologiche
Un’analisi appena più puntuale permette di individuare le maggiori problematiche ecologiche, cioè quelle che hanno diffusione planetaria e hanno superato – o rischiano a breve di superare – limiti di irreversibilità divenendo perciò ingestibili. Le principali per gravità ed estensione sono 4, che sono elencate qui di seguito con pochi essenziali ma significativi dati.
- La perdita di biodiversità, con un tasso di scomparsa di specie che è centinaia di volte superiore a quello delle fasi normali di evoluzione e che si approssima invece a quanto accaduto con le grandi catastrofi al passaggio tra le ere; la causa è la perdita e il degrado degli habitat in conseguenza dell’inquinamento, dell’invasione umana e delle attività di caccia e pesca, oltre che del cambiamento climatico.
- La perdita di suoli o il loro degrado e sfruttamento inadeguato, si ritiene che ogni anno vadano perduti 75 miliardi di tonnellate di suolo fertile e basti pensare che in Italia, ogni secondo, sono distrutti 2 metri quadrati di suolo naturale (un campo da calcio all’ora!).
- L’alterazione dei cicli biogeochimici di azoto e fosfati, in particolare il primo come esito dell’abuso di fertilizzanti artificiali per aumentare la produttività agricola; la conseguenza di ciò è l’accumulo di questi nutrienti nelle acque di deflusso e nelle falde, e infine la saturazione dei piccoli ecosistemi acquatici il cui ruolo ecologico è importantissimo.
- Il cambiamento climatico, sicuramente la problematica più nota, corrispondente a impressionanti sconvolgimenti delle dinamiche meteorologiche locali con significative ripercussioni sugli ecosistemi e sulle attività umane. La causa principale è il riscladamento globale conseguente all’accentuazione dell’effetto serra atmosferico, quest’ultima dovuta all’immissione massiccia di diossido di carbonio in atmosfera negli ultimi 150 anni a seguito dell’uso di combustibili fossili per finalità energetiche, oltre che delle pratiche di deforestazione, di allevamento e di agricoltura intensivi.
È in base a ciò che tutte le strategie di sostenibilità non possono prescindere dal perseguire con urgenza politiche di transizione e conversione energetica verso fonti rinnovabili, con l’ambizione ormai nota che ci si liberi del tutto dalle fonti energetiche fossili entro il 2050.
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