Che cosa NON è la matematica
Tra pregiudizi e malintesi, come sviluppare una delle competenze chiave per la cittadinanza attiva
Settimana Enigmistica n. 4545, maggio 2019, 2207a prova d’intelligenza. Il testo della prova, intitolata Il numero esatto, esordisce con la seguente precisazione:
«si tratta di determinare esattamente un certo numero, basandosi esclusivamente sul ragionamento,
ossia senza alcun ricorso alla matematica».
Se pensate che la parola matematica deriva dal greco μάθημα (máthema), che significa conoscenza, apprendimento, mentre matematico deriva da μαθηματικός (mathematikós), che significa appassionato del conoscere, vi sembrerà quantomeno strano disgiungere l’arte del ragionare da quella del fare matematica; a meno che non rientriate, come probabilmente l’autore della già menzionata precisazione, nella schiera di coloro che identificano la matematica con il far di conto. Schiera tutt’altro che sparuta, purtroppo. Questa strana idea della matematica come una disciplina in cui non serve il ragionamento è molto diffusa, come dimostra il fatto di trovarla su una rivista popolare.
Non voglio dire, naturalmente, che i matematici non facciano conti (anche se normalmente la loro aspirazione è trovare il modo di farne il meno possibile). Tuttavia, ridurre la complessità e la profondità di questa materia all’applicazione delle quattro operazioni (o poco più) è fuorviante.
In che cosa consiste, quindi, la matematica?
Esclusa l’ipotesi che si identifichi col risolvere equazioni, proviamo ad analizzare altre possibilità. Stabilire assiomi? Enunciare teoremi e dimostrarli? Porre definizioni? Costruire teorie? Stabilire formule? Formalizzare metodi?
Come afferma il matematico ungherese Paul Halmos in The Heart of Mathematics (Il cuore della matematica, 1980):
«Certamente la matematica non potrebbe esistere senza questi ingredienti; essi sono tutti essenziali. Tuttavia, un punto di vista sostenibile è che nessuno di essi è al centro della disciplina, che il motivo principale di esistenza per il matematico è risolvere problemi e che, dunque, quello in cui consiste veramente la matematica sono problemi e soluzioni».
Opinione accolta e precisata dal Parlamento Europeo, che include la competenza matematica tra le otto competenze chiave “di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione”, definendola come “l’abilità di sviluppare e applicare il pensiero matematico per risolvere una serie di problemi in situazioni quotidiane”.
Lo stesso principio compare nelle nostre Indicazioni Nazionali, per cui:
«Caratteristica della pratica matematica è la risoluzione di problemi, che devono essere intesi come questioni autentiche e significative, legate alla vita quotidiana, e non solo esercizi a carattere ripetitivo o quesiti a cui si risponde semplicemente ricordando una definizione o una regola».
La definizione del Parlamento Europeo chiarisce meglio i termini del discorso:
«Partendo da una solida padronanza delle competenze aritmetico matematiche, l’accento è posto sugli aspetti del processo e dell’attività oltre che su quelli della conoscenza».
Pertanto: è necessario padroneggiare tecniche di calcolo, ma questa competenza non deve essere fine a sé stessa, bensì deve servire ad affrontare problemi in cui è fondamentale trovare in modo autonomo la via che porta alla soluzione, in un processo che sia produttivo e non meramente riproduttivo.
L’idea di matematica nella pratica didattica
Purtroppo nella pratica didattica quest’idea di competenza matematica è ancora molto lontana dall’affermarsi. In genere, i libri di testo per i nostri studenti, indipendentemente dall’ordine e grado, sono soliti proporre una valanga di esercizi, il cui scopo è addestrare la capacità riproduttiva dei nostri ragazzi. E questo, come già detto, non è di per sé un male, perché la padronanza delle tecniche è qualcosa che necessita (anche) di esercizio. Il problema... sono i problemi! Non è infrequente che la sezione dedicata agli esercizi sia seguita da pseudo problemi che, in realtà, non sono altro che esercizi mascherati. Se alla fine di un paragrafo in cui si è studiata la somma degli angoli interni di un triangolo proponiamo di calcolare l’ampiezza del terzo angolo di un appezzamento di terreno triangolare sapendo che il primo misura 35°21ʹ44″ e il secondo 72°49ʹ57″, di fatto non stiamo proponendo una questione “autentica e significativa”, né stimolando gli alunni ad attivare nella loro mente i processi che le Indicazioni Nazionali sottolineano. Stiamo invece barando, mascherando un esercizio da problema, fornendo un contesto artificioso a un mero esercizio di calcolo.
Il risultato è che troppo spesso, mortificati da pratiche addestrative che è difficile chiamare insegnamento, gli studenti semplicemente attivano la modalità “cervello: off”, come la definiscono gli autori di Problemi xyz (PROBLEMI PER MATEMATICI IN ERBA); di fronte a una domanda “di matematica” smettono di ragionare, non pensano più a ciò che vedono con i loro occhi o che potrebbero immaginare a buon senso, ma si sentono semplicemente in dovere di usare i numeri che hanno a disposizione per fare un calcolo, non importa quale esso sia.
Non è strano, alla luce di quanto detto, che l’identificazione tra matematica e far di conto sia tanto diffusa; non è strano che si confonda il “bravo in matematica” con quello “veloce a finire gli esercizi”; non è strano, forse, che certa didattica inadeguata trasformi i nostri ragazzi “da macchine per la curiosità a idioti matematici” (usando la colorita espressione di George Mandel).
Altrettanto inutili sono le sezioni in cui si precisa che vengono proposti problemi con dati mancanti, dati superflui, senza soluzione, con più di una soluzione; se so già che il problema proposto ha quelle caratteristiche, che gusto c’è? Ricordando le parole di Karl Dunker: “un problema nasce quando un essere vivente ha una meta ma non sa come raggiungerla” (tratta da Zur Psychologie des produktiven Denkens, Berlin, Springer, 1935); se proponiamo esercizi mascherati, oppure sveliamo troppo sul problema, ne mortifichiamo l’essenza.
Il ruolo attivo del docente
Questa pratica diffusa nei libri di testo risponde probabilmente all’esigenza di prendere per mano l’insegnante, dotandolo di un pacchetto “chiavi in mano” per mettere “in moto” la sua lezione. Ma voi insegnanti non avete bisogno di essere presi per mano, avete bisogno di essere spinti, incoraggiati a mettervi in gioco voi per primi, tentando di proporre ai vostri studenti un insegnamento che configuri la matematica come una bella scoperta intellettuale. Proponete, quindi, “veri” problemi ai vostri ragazzi, discutendone in classe con loro, privilegiando un approccio laboratoriale in cui sono parte attiva del loro apprendimento, senza preoccuparvi della perdita di tempo che questo comporta, perché si tratta in realtà di tempo non perduto, ma investito.
È chiaro che insegnare così è più impegnativo; ma è altrettanto chiaro che è più gratificante, sia per il docente sia per il discente. D’altra parte, soprattutto voi che siete docenti della scuola secondaria di secondo grado costituite l’ultimo baluardo prima dell’ingresso dei vostri studenti nella società. È chiaro che i vostri predecessori, dalla primaria in poi, hanno avuto un ruolo cruciale, perché i principali blocchi nei confronti della matematica insorgono molto prima dell’approdo alla scuola secondaria di secondo grado. Tuttavia voi siete gli ultimi, in ordine di tempo, a poter far cambiare loro l’atteggiamento che hanno nei confronti di questa materia tanto vituperata ma fondamentale. Fermateli, non lasciate che vadano liberamente incontro alla vita proclamando con orgoglio “io, la matematica, non l’ho mai capita”. Certo, se vi arriva un materiale umano già ben lavorato, il vostro compito è facile. Ma, come dice l’allenatore di pallavolo Julio Velasco in un meraviglioso video che potete trovare qui Julio Velasco - "Gli schiacciatori NON parlano dell'alzata, la risolvono:
«Abbiamo bisogno di schiacciatori che schiaccino bene palle alzate male.
Perché quelli, le palle alzate bene le schiacciano benissimo!»
Se non fate qualcosa, la stragrande maggioranza degli studenti continuerà come adesso: la matematica non la ama, non la studia, non la padroneggia (ordine non necessariamente consequenziale, tutte le combinazioni offrono interessanti spunti di riflessione).
Il ruolo civile della matematica
Il problema è che questo sostanziale analfabetismo matematico la nostra società non può permetterselo. Facciamo solo un esempio, recente e doloroso: a fine ottobre 2020, davanti ai leader UE riuniti per fare il punto di una situazione drammatica, la premier tedesca Angela Merkel afferma che:
«Arrivati a questo punto le chiusure sono l’unica scelta: avremmo dovuto agire prima, ma per i cittadini non sarebbe stato facile accettarlo. Hanno bisogno di vedere i letti degli ospedali pieni…»
Ebbene, la matematica è capace di spiegarci perché, se vogliamo abbassare il tasso di riproduzione di un virus, sia necessario stare in casa, lavarsi le mani e mettersi le mascherine; la matematica è capace di spiegarci perché se ieri c’erano 3000 nuovi contagi non è affatto strano che oggi ce ne siano 8000 e domani 30000, se non facciamo nulla per contrastare la diffusione di un virus con sviluppo esponenziale.
La matematica rende le notizie (più) trasparenti e le persone (più) consapevoli, e come tali (più) inclini ad aderire a indicazioni che, altrimenti, potrebbero suonare come imposizioni di cui non si comprende la necessità e cui ci si assoggetta, se va bene, obtorto collo. Per converso, la scientific illiteracy di una gran parte dei cittadini europei non solo è un grave problema culturale, ma rischia di avere gravi conseguenze sull’economia, la società, la politica, la salute.
La posta in gioco è davvero alta: formare cittadini attivi e responsabili. Fate del vostro lavoro una missione, sforzatevi di schiacciare bene (anche) le palle alzate male; ne vale la pena, ne sono certa.
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