L’antibiotico è forse il farmaco più conosciuto al mondo. Ma lo conosciamo davvero così bene?
Ci siamo mai chiesti se le nostre azioni, riguardo il suo utilizzo, hanno delle conseguenze?
La risposta è sì, soprattutto quando l’assunzione di antibiotici è incontrollata. La conseguenza principale è l’insorgenza di batteri antibiotico resistenti.
Ma andiamo con calma.
Che cos’è un antibiotico?
Un antibiotico è una sostanza chimica, naturale o di sintesi, in grado di eliminare i batteri o limitarne la crescita, contrastando così le malattie infettive.
Che cosa sono quindi i batteri antibiotico resistenti e perché nascono?
I Batteri Antibiotico Resistenti (ARB) o che presentano Resistenza Anti-Microbica (AMR) sono batteri aventi un gene che provoca la resistenza all’azione di un antibiotico, al quale precedentemente erano sensibili. I batteri sono capaci di riprodursi con una velocità elevatissima e il loro patrimonio genetico è relativamente semplice. Chi conosce la genetica saprà che in corrispondenza di ogni riproduzione c’è una certa probabilità che avvengano piccole mutazioni del genoma batterico. Se queste comprendono la formazione di un gene capace di fornire AMR al batterio, assistiamo alla nascita di un ARB. Questo a sua volta è capace di trasmettere il gene ad altri batteri.
Quello appena descritto è un processo naturale, che anche l’inventore della penicillina, Sir Alexander Fleming, si aspettava, ma l’uso inappropriato di antibiotici lo sta rendendo più veloce e pericoloso.
Nel 2017 l’OMS ha dichiarato che il problema della antibiotico resistenza è tra le 10 principali minacce per la salute pubblica a livello mondiale1. Sul sito ufficiale si può leggere chiaramente che lo sviluppo di antibiotici è stato uno dei maggiori successi della medicina moderna, ma che ora la resistenza antibiotica minaccia di farci tornare indietro nel tempo, all’epoca in cui non eravamo in grado di curare le infezioni che oggi, grazie all’uso degli antibiotici, possiamo curare, come polmonite, tubercolosi, gonorrea e salmonellosi.
Medico veterinario che esamina i maiali in un allevamento di maiali; ©RGtimeline/Shutterstock
Le conseguenze di questo fenomeno, quindi, sono davvero importanti: per esempio, il proliferare di batteri che resistono agli antibiotici può rendere rischiose procedure sanitarie come interventi chirurgici o terapie contro i tumori.
Se è vero che la Resistenza Anti-Microbica ha origini naturali, è vero anche che la molteplicità e la diversità dei geni di resistenza e di batteri resistenti presenti nell’ambiente hanno una causa antropica2. Basti pensare all’uso degli antibiotici in campo veterinario, per esempio negli allevamenti intensivi, che è sempre stato considerato dall’OMS una prassi pericolosa e degna di attenzione.
Anche le azioni delle singole persone hanno delle conseguenze
L’uso di antibiotici, soprattutto se inappropriato (come vedremo più avanti), induce una pressione selettiva sui batteri presenti nel nostro organismo: questi, impegnati a lottare contro il farmaco, per puro spirito di sopravvivenza, sono portati maggiormente a sviluppare geni di resistenza. È un fenomeno che sta alla base della selezione naturale. Espulsi principalmente attraverso urine e feci, questi batteri resistenti entrano in contatto con l’ambiente, lo contaminano e trasmettono i plasmidi contenenti l’informazione genetica di resistenza (detto fattore R) ad altri microrganismi presenti nell’ambiente e al microbioma di piante e animali.
Il corpo umano, inoltre, espelle una grossa parte dei farmaci assunti. Il principio attivo, infatti, non viene assimilato del tutto e si stima che una percentuale variabile dal 30 al 90% sia eliminato attraverso le urine e quindi negli scarichi domestici e ospedalieri. Si deve tenere conto dei tantissimi farmaci venduti e non utilizzati che vengono smaltiti in maniera non adeguata aggravando la situazione. Pertanto, batteri resistenti, metaboliti di antibiotici e residui di medicinali finiscono nelle acque reflue urbane e negli impianti di depurazione delle acque e, poiché neanche le tecnologie più avanzate riescono a eliminarli del tutto, contaminano corsi d’acqua, laghi e mari, acque irrigue e acqua potabile3.
Ciclo del processo di resistenza agli antibiotici; ©RGtimeline/Shutterstock
In una certa misura ciascuno di noi può agire consapevolmente e responsabilmente per arginare il problema. Ecco di seguito alcuni consigli:
- Gli antibiotici non sono antivirali. Un antibiotico è efficace solo contro batteri e non contro virus. Perciò solo il medico, attraverso la sua esperienza, può indicarci se la soluzione al nostro malessere può essere l’antibiotico.
- Gli antibiotici non si riciclano. Capita che a volte si assumano antibiotici avanzati da cure precedenti senza consultare il medico o, peggio, di utilizzare antibiotici prescritti ad altre persone; questo comportamento può essere molto dannoso (per la nostra salute e per l’ambiente) se non necessario. Converrebbe eliminare gli antibiotici avanzati negli appositi smaltitori e assumere antibiotici solamente dopo la prescrizione del medico.
- Non interrompere prima il trattamento. In genere quando i sintomi della malattia si riducono di intensità, si tende a sospendere la cura, pensando che non serva più. Sarebbe meglio non farlo perché possono esserci pochi batteri ancora sopravvissuti a cui così si darebbe il tempo di sviluppare resistenze.
- Non ricorrere subito all’antibiotico. Quando si sta poco bene, può capitare di voler eliminare il malessere il prima possibile, assumendo l’antibiotico e pensando così di accelerare la guarigione che, probabilmente, sarebbe avvenuta naturalmente con il passare del tempo. Per questo motivo bisogna sempre rivolgersi a un medico che valuti il quadro clinico ed eventualmente prescriva farmaci come l’antibiotico.
Trattamento dei Batteri Antibiotico Resistenti nelle acque reflue
Attualmente, gli effluenti dei reflui civili e ospedalieri sono da considerarsi la principale causa di contaminazione ambientale puntiforme (così chiamata perché la fonte della contaminazione è conosciuta e/o facilmente rintracciabile) da determinanti di AMR. Sia che i reflui ospedalieri vengano pretrattati sia che vengano immessi tal quali nei reflui civili, essi sversano nell’ambiente un importante carico di antibiotici e farmaci nonché di ARB.
Allo scopo di abbattere il numero totale di batteri patogeni, i sistemi di trattamento delle acque prevedono un passaggio di disinfezione. È largamente dimostrato, però, che i più comuni metodi utilizzati a tale scopo hanno una bassissima efficienza nell’abbattimento dei geni di resistenza, spesso legati a batteri che riescono a sopravvivere4.
Vista aerea di un moderno impianto di depurazione dell'acqua presso un impianto
di trattamento delle acque reflue urbane; ©Bilanol/Shutterstock
In Italia quelli più comunemente utilizzati sono la disinfezione con cloro oppure ozono, che portano all’uccisione della maggior parte dei batteri, ma anche a una forte selezione di ARB tra i sopravvissuti. Inoltre, bisogna tener conto che questi tipi di trattamenti si basano sulla distruzione della parete cellulare dei batteri, fenomeno che determina la produzione di DNA extracellulare che, a sua volta, può essere acquisito da altri batteri presenti nell’ambiente, trasferendo al loro interno frammenti di DNA o plasmidi contenenti il fattore R. Un altro metodo è la disinfezione tramite luce UV, che provoca la degradazione del DNA, ma porta con sé grossi problemi di riproducibilità del metodo a causa dalle diverse condizioni in cui può presentarsi il refluo (torbidità, viscosità, ecc.).
Una valida alternativa è rappresentata dall’uso di materiali come diossido di titanio (TiO2) detto anche titania, argento (Ag), ossido di zinco (ZnO) e rame (Cu)5 sotto forma di nanoparticelle (NPs, NanoParticles), cioè di granuli di dimensioni nanometriche; tali materiali possono essere depositati su supporti inerti e immersi nelle acque oppure possono essere “mescolati” a esse e utilizzati in sospensione. Queste nanoparticelle hanno proprietà fotocatalitiche, cioè sono in grado di attivare delle reazioni chimiche sfruttando la luce del Sole: esse assorbono l’energia trasportata dalla radiazione solare per produrre specie chimiche reattive dell’ossigeno (indicate con l’acronimo ROS) che, a loro volta, reagiscono con il materiale organico, cioè con i batteri, producendo diossido di carbonio e acqua.
Questi materiali, che si sono già dimostrati efficaci come agenti antimicrobici, sono oggetto di studio per applicazioni in questo ambito perché i batteri difficilmente sviluppano resistenza alle nanoparticelle; tuttavia, questi materiali presentano anche alcune limitazioni, come la difficoltà di recupero delle polveri, l’abbassamento delle prestazioni in presenza di inquinanti e la necessità, per alcuni di essi come la titania, di essere attivati con luce UV. C’è bisogno ancora di diversi studi in questa direzione, prima di poter espandere la loro applicazione su larga scala nel trattamento delle acque reflue.
BIBLIOGRAFIA
- Ten threats to global health in 2019, pubblicato nella sezione Spotlight contenuta in Newsroom della World Health Organization
- William H. Gaze, et al. Impacts of anthropogenic activity on the ecology of class 1 integrons and integron-associated genes in the environment. The ISME Journal, 2011, 5.8: 1253- 1261
- Depurazione delle acque reflue e batteri resistenti agli antibiotici, di Daniela Bencardino, pubblicato nella sezione Salute e Medicina del sito Biopills
- Resistenza agli antibiotici: caratteristiche generali, di Marianna Minniti, pubblicato su Microbiologia Italia
- THIEL, J., et al. Antibacterial properties of silver-doped titania. Small, 2007, 3.5: 799-803
- Margarucci LM, Romano Spica V, Protano C, Gianfranceschi G, Giuliano M, Di Onofrio V, Mucci N, Valeriani F, Vitali M, Romano F. Potential antimicrobial effects of photocatalytic nanothecnologies in hospital settings. Ann Ig. 2019 Sep-Oct;31(5):461-473. doi: 10.7416/ai.2019.2307. PMID: 31304526.
Referenze iconografiche: ©nobeastsofierce/Shutterstock; ©RGtimeline/Shutterstock; ©Bilanol/Shutterstock