Ripensare la valutazione
Valutare l’Esame di Stato del secondo ciclo, dopo la pandemia
Lunedì 4 aprile 2022 a Milano è stata occupata un'altra scuola superiore, da gennaio a oggi siamo a quota venticinque occupazioni, un dato mai visto da decenni. Fra le diverse richieste e rivendicazioni degli studenti che hanno organizzato questa singolare staffetta di occupazioni, ve ne sono alcune, fra le più interessanti e meritevoli di attenzione, che riguardano il tema della valutazione.
Come se niente fosse accaduto
Una delle accuse più brucianti rivolta dagli studenti occupanti a noi, dirigenti e docenti, riguarda quanto successo da settembre 2020 in poi, ovvero quando, dopo il primo durissimo lockdown, siamo rientrati a scuola pur tra mille difficoltà. Erano i tempi del metro di distanza tra le rime buccali, dei banchi a rotelle e delle Ordinanze regionali di chiusura delle scuole, solo delle scuole, a ogni impennata dell'indice Rt. Da quel momento in poi si è creata una frattura fra studenti e docenti che ci vorrà tempo a ricomporre. Quando le nostre ragazze e i nostri ragazzi sono rientrati in aula si aspettavano un'accoglienza diversa, una riflessione profonda su quanto era stato e su quanto avevamo vissuto come individui e come cittadini, si aspettavano un lavoro di ricostruzione di senso sullo stare insieme, sulla voglia e sul bisogno che avevano di tornare a stare insieme, si aspettavano delle domande e un ascolto differenti. Nella maggior parte dei casi, salvo lodevoli eccezioni, hanno trovato invece ad attenderli – o almeno questa è stata la loro percezione prevalente – una scuola ansiosa di recuperare “i programmi” delle varie discipline, come se quello relativo agli apprendimenti fosse il danno maggiore subito; una scuola e dei docenti preoccupati, specie nei periodi in presenza dello scorso anno scolastico, di procurarsi, whatever it takes, l'agognato "congruo numero" di valutazioni.
A settembre del 2021 col sostanziale e "quasi" regolare ritorno in presenza le cose non sono cambiate più di tanto, la corsa al recupero degli apprendimenti e la relativa compulsione a dar voti, ciechi e sordi rispetto al contesto, è continuata come se nulla fosse. In questo anno e mezzo si è così creata, e via via allargata, la frattura cui accennavo, gli studenti non si sono sentiti capiti e ascoltati nella loro denuncia di uno stato generalizzato di disagio e sofferenza, mai infatti un'ondata di proteste studentesche aveva tanto insistito su aspetti intimi come gli stati d'animo facendone una bandiera della propria lotta. Da qui l'inesauribile ondata di occupazioni, l'aspetto di durezza che ha caratterizzato molti di questi episodi, la voglia di rompere il rapporto di collaborazione con le istituzioni scolastiche da cui in definitiva non si sono sentiti riconosciuti.
Non a caso un'altra rivendicazione tipica di questo movimento ha riguardato proprio l'Esame di Stato delle superiori, non tanto per quanto concerne la sua discutibile struttura, bensì per il tema spicciolo dei voti e delle prove, sul quale ha ingaggiato una battaglia contro le prove scritte di cui, in prima istanza si contestava la reintroduzione, e in seconda istanza il peso, in termini di voti, da attribuire alle stesse, battaglia che si può forse spiegare proprio per quel diffuso vissuto di incomprensione e di sostanziale diffidenza, da parte dei ragazzi, nei confronti di noi adulti che "facciamo" la scuola.
In definitiva si può dire che in buona misura le ragazze e i ragazzi che hanno animato questa onda lunga di occupazioni hanno voluto contestare l'idea di una scuola che pare trovare la sua unica ragion d'essere nella trasmissione di contenuti e nella costante, in certi casi ossessiva, verifica e misurazione dell'acquisizione degli stessi.
Ripensare la scuola
È chiaro che vanno ripensati meccanismi che hanno radici profonde nel comportamento dei docenti, radici che affondano nei licei che abbiamo frequentato da studenti, se non addirittura in quelli frequentati dai nostri genitori. Si tratta di prassi consolidate nel tempo e difficili, ma non impossibili, da sradicare. Forse è giunto il tempo di darsi da fare, di animare un movimento di pensiero che porti a riconoscere valore e peso nella valutazione ai tanti elementi nuovi che fanno la scuola di oggi e di cui i nostri ragazzi sono portatori.
Mio padre, che se fosse ancora tra noi fra un anno festeggerebbe il 100° compleanno, ha frequentato un piccolo liceo calabrese tra la fine degli anni Trenta e i primissimi Quaranta, e raccontava di una scuola severissima e austera che oggi non esiste più se non nei ricordi sfocati di qualche nonno, ma c'è una cosa che non pare non essere cambiata affatto da allora, il modo di valutare gli alunni. I 3- - (tre meno meno) in matematica, i 71/2 (sette e mezzo) in latino (o viceversa) sono ancora lì, immuni allo scorrere del tempo che ha visto passare una dittatura e una guerra mondiale, l'avvento della democrazia e della Repubblica, il boom economico e la scuola di massa, la contestazione e l'era digitale, la globalizzazione e le nuove incertezze del presente. Ma siamo proprio certi che il nostro metodo di valutazione, grosso modo immutato da un secolo, sia una di quelle cose che il tempo non deve e non può cambiare?
La valutazione ai tempi della DAD
Uno dei tanti punti deboli della DAD è stato proprio quello della valutazione, nella mia scuola nella primavera del 2020 abbiamo operato una scelta saggia e coraggiosa, anche se difficile da assumere, non abbiamo dato i voti. Non li abbiamo usati perché l'eccezionalità della situazione ce li faceva apparire incongrui, oltre che inutili, a fine anno, malgrado l'inevitabile Decreto che praticamente promuoveva tutti ope legis, la nostra valutazione è scaturita da un'osservazione del lavoro fatto a distanza, della partecipazione dei ragazzi e del loro contributo. A settembre 2021, c'è stata una sorta di ritorno all'ordine, alla normalità, ma una normalità solo apparente, ed è qui che abbiamo sbagliato, cioè nel voler tornare al passato, al come si era prima, come se due anni di paure, di fatica, di dolore, in tanti casi di lutti e, per tutti, di isolamento non ci fossero stati. Qui si è scavato il solco tra la scuola e i suoi alunni ed è questo solco che dobbiamo impegnarci a colmare per ristabilire quella collaborazione e quell'intesa tra i diversi attori senza la quale la scuola semplicemente non è. Non a caso gli studenti protagonisti delle occupazioni di questi mesi sono fisicamente gli stessi che un anno fa protestavano contro la chiusura delle scuole, che facevano DAD in piazza davanti alle scuole chiuse o davanti ai palazzi dei governatori.
Un Esame di Stato che cambia troppo spesso
Proviamo ora a entrare nel meccanismo dell'esame che ci attende a partire dal prossimo 20 di giugno. Il cosiddetto esame di maturità uscito dalla riforma Misasi (correva l'anno 1969) ha avuto vita lunga e tranquilla, ben trent'anni senza sostanziali cambiamenti, il nuovo modello invece, datato 1999 (Ministro Luigi Berlinguer), nei suoi poco più che vent'anni di vita ha più volte cambiato aspetto. I principali cambiamenti hanno riguardato la terza prova scritta pluridisciplinare che è stata eliminata del tutto, il peso del credito scolastico che è più volte variato, l'introduzione nel colloquio – forse la parte più tormentata e controversa dell'esame – di elementi nuovi come il PCTO e l'Educazione civica, la modalità stessa di conduzione del colloquio, in special modo quando si è deciso l'avvio dello stesso partendo da un documento proposto al candidato, in un primo caso col meccanismo del sorteggio fra tre buste chiuse. È evidente che tale irrequietezza della formula non possa che testimoniare l’urgenza di una riforma complessiva dell'intera procedura d'esame.
Ovviamente i cambiamenti nella struttura dell'esame introdotti negli ultimi due anni, oltre che in quello in corso, sono figli della pandemia e della didattica a distanza o digitale integrata. Come sono convinto che l'esame del 2020 non potesse essere che com'è stato, solo orale, con altrettanta convinzione ritengo che quello del 2021 potesse essere diverso, l'anno scorso almeno uno scritto si poteva tranquillamente svolgere: se così fosse stato sicuramente la reintroduzione di entrambi gli scritti di quest'anno sarebbe stata meno contestata. In ogni caso, a parte le mie personali opinioni, resta il fatto che il Ministero ha considerato i lunghi periodi di DAD e DDI come poco efficaci tanto da metter mano a misure volte a semplificare e alleggerire l'esame.
Sull'effetto psicologico di due anni di confinamento domestico altri più titolati di me hanno detto e continuano a farlo, personalmente ne osservo preoccupato gli effetti sui ragazzi nella pratica quotidiana del mio lavoro. Non vorrei essere frainteso, ma da una parte non vi è alcun dubbio sull'inevitabilità della serrata delle scuole da marzo a giugno del 2020, tutto era fermo e la sensazione del pericolo grave era diffusa quanto la consapevolezza di star facendo tutti insieme, non solo la scuola, un sacrificio necessario e importante. Altro è stato invece il 2020/2021, la sensazione diffusa nelle scuole era che i governi regionali sacrificassero spesso e volentieri la didattica in presenza non ritenendola essenziale, ritenendola anzi secondaria rispetto ad altre attività più importanti. Nell'opinione pubblica e nelle scuole stesse, si è diffusa una certa idea di non indispensabilità della scuola come luogo fisico di formazione e di crescita, una certa idea della sua sostituibilità.
Il nuovo (ennesimo) Esame di Stato
Tornando all'imminente Esame di Stato, prendo atto della nuova distribuzione dei pesi dei vari elementi che lo compongono, frutto di una sorta di compromesso tra Ministero e movimento degli studenti, ovvero la divisione equanime tra il peso della carriera (il credito scolastico) e quello delle prove d'esame (50 + 50 punti) e dell'ulteriore distribuzione dei pesi fra le prove d'esame: 15 punti allo scritto d'Italiano, 10 al secondo scritto d'indirizzo (elaborato dalla commissione e quindi non più nazionale) e 25 al colloquio. Prendo anche atto, non senza stupore, del fatto che per la prima volta alle prove viene attribuito un peso differente, creando di fatto una gerarchia fra le stesse. Vedremo alla prova dei fatti come reggerà questo ennesimo modello d'esame, tutto fa pensare a una sua provvisorietà e che tra un anno saremo qui a discutere di un ulteriore nuovo modello.
Il colloquio orale
Concludo, sottolineando un aspetto che ritengo di somma importanza relativo a quello che potenzialmente sarebbe il cuore pulsante di questo esame e l'elemento vero di novità, ma che spesso si trasforma nel suo tallone d'Achille: il colloquio orale. Al colloquio sono stati aggiunti negli anni elementi nuovi, senza sottrarne di vecchi, cosa che ne ha aumentato la complessità di gestione. La mia lunghissima esperienza quale presidente di commissione mi ha spesso messo in contraddizione con i commissari, sia esterni sia interni, che in sede di colloquio non riuscivano a fare a meno di interrogare nelle rispettive discipline. Tralasciando l'utilità e l'attendibilità di un colloquio nel quale in poco meno di un'ora si interroga in circa otto materie, a una media di cinque minuti l'una, prima di passare al PCTO e poi a Educazione civica e poi ancora alla revisione degli scritti... penso che si dovrebbe avere più coraggio, nel momento della redazione dell'Ordinanza ministeriale sugli esami, prevedendo più esplicitamente il divieto di trasformare il colloquio in una inutile carrellata di micro interrogazioni. In fondo basterebbe davvero poco, forse soltanto eliminare nell'articolo dell'Ordinanza dedicato al colloquio ogni riferimento esplicito alle singole materie. Qualche passo – timido – in questa direzione è stato fatto, forse è necessario farne uno ulteriore, più chiaro.
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