Formazione sul tema “disabilità e inclusione”: la parola ai Dirigenti
L’intervista
L’inclusione sembra essere decollata per quanto riguarda le normative, i documenti, le direttive o le note ministeriali ma serve un verosimile “piano di volo” per diventare davvero pratica condivisa. Elena Zanfroni, docente di Pedagogia speciale e membro del consiglio direttivo di CeDisMa (Centro studi e ricerche per la Disabilità e la Marginalità), ha approfondito gli aspetti da considerare quando si parla della formazione dei docenti su questi temi, ma abbiamo pensato di dar voce anche a chi si trova a gestire in prima persona questa necessità formativa: vi proponiamo di seguito l’intervista ai due Dirigenti scolastici Maurizio Primo Carandini, dell’Istituto Comprensivo “Paolo e Rita Borsellino” di Valenza (AL), e Annunziata Di Rosa, dell’Istituto Comprensivo “Guido Dorso” di San Giorgio a Cremano (NA), che per noi svolge anche attività di formazione su svariati temi, tra cui la valutazione e lo sviluppo delle competenze.
1. Gentile Dirigente, secondo lei che tipo di bisogno di formazione docenti c’è rispetto al tema “disabilità e inclusione”?
M.P. Carandini
Certamente la formazione sul tema “disabilità e inclusione” è quanto mai necessaria e irrinunciabile. Dovrebbe essere capitalizzata da tutti i docenti includendo inoltre il personale ATA. Si dovrebbe formare un gruppo di lavoro stabile e numericamente rilevante con delle tipicità legate alle varie tipologie di disabilità. Non da ultimo la formazione dovrebbe occuparsi anche della relazione e delle capacità di comunicazione tra docenti, con le famiglie degli alunni disabili e con gli enti preposti (ASL, servizi sociale, educatori).
A. Di Rosa
Non ho dubbi a riguardo: il bisogno è altissimo in una scuola che vede elevarsi ogni anno di più il numero di alunni “speciali” a cui doverosamente rivolgere attenzioni e azioni consapevoli e dedicate. L’istanza di cura per i portatori di bisogni educativi singolari e particolari rappresenta oggi non solo un diritto inalienabile ma anche una necessità etica alla quale non è pensabile sottrarsi.
La presenza nelle classi di disabili e di BES, peraltro, costituisce non solo il pungolo verso un impegno orientato ed efficace ma altresì un’opportunità da cogliere, da parte dei docenti ma anche – e questo è davvero stimolante – da parte del gruppo di pari, dei compagni coetanei. Se per i primi, infatti, la sfida da raccogliere è quella di un completamento e di un approfondimento delle strategie e delle prassi operative, per gli altri è la concreta possibilità di crescere e arricchirsi al cospetto della “diversità”, imparare a conoscerla, a ri-conoscerla, a condividerla, a integrarla. Verso una cittadinanza attiva che trasformi le barriere in legami di senso e di storia personale.
Per i docenti – che riguardo al tema “disabilità e inclusione” devono esprimersi in primis in termini di disposizione empatica e accogliente – “formarsi” significa anche acquisire contezza di contenuti e tecniche, strategie e metodi, altrimenti non noti, che rappresenteranno la struttura basilare per qualsiasi comportamento educante e formativo sui giovanissimi allievi.
2. Ritiene che la risposta del Ministero di rendere obbligatorio l’aggiornamento su questi temi sia adeguata? E a quali condizioni?
M.P. Carandini
Andrebbe certamente rimodulata sin dalla possibilità più incisiva di accesso ai corsi di specializzazione presso le Università. In seconda battuta si dovrebbe chiarire il fattore dell’obbligatorietà. A mio parere ogni docente dovrebbe avere nel proprio curricolo professionale almeno un anno di lavoro sul sostegno o sui temi dell’inclusione. Sarebbe interessante, inoltre, che la scelta di occupare un posto di sostegno fosse una scelta etica e professionale e non un rozzo ripiego, spesso anche suggerito dai sindacati, dettato dalla comodità e dalla vicinanza al proprio domicilio.
A. Di Rosa
Il Ministero ha risposto come da par suo, mobilitando risorse, investendo in progettazioni, ingaggiando le scuole Polo per la formazione nella concreta organizzazione di un piano quanto più possibile ampio e capiente in termini numerici ed efficace in termini di esiti e ricadute. Una sorta di “virtuoso rastrellamento” di docenti a cui è stata presentata l’opportunità di accedere almeno al grado base dell’alfabetizzazione sull’Inclusione, come da nota 27622 del 6 settembre, rendendo obbligatoria l’iscrizione ad un’unità formativa di 25 ore per coloro che – sprovvisti di titolo specifico – tra i propri alunni avessero dei disabili (ergo, praticamente a tutti). Attività formativa, peraltro, da implementarsi/svolgersi/concludersi nello spazio di un paio di mesi.
Salvo poi rimodulare l’assertività dell’idea di partenza in un più morbido (troppo morbido?) accomodamento strada facendo: l’obbligo si tramuta in “invito”, il tempo di realizzazione degli interventi si dilata ed estende fino alla fine del marzo venturo (cfr. nota 32063 del 15 ottobre)… praticamente verso la conclusione dell’anno scolastico.
Alle buone intenzioni di contenuto (lettura e interpretazione della documentazione diagnostica/PEI, approfondimento dei riferimenti normativi, criteri e indicazioni per una progettazione educativo-didattica di qualità, laboratori di didattica speciale modulati sullo specifico ordine di scuola di appartenenza) e di efficacia (spendere gli esiti della formazione hic et nunc, ricadendo sull’anno scolastico in corso), alla continuità virtuosa tra teoria e prassi, si sostituisce un più “comodo” dipanarsi.
Ai posteri…
3. Come ha affrontato questa necessità nella sua scuola? Ha delle osservazioni tratte dalla sua esperienza?
M.P. Carandini
Facendo di necessità virtù… una formazione massiva offre certamente risposte di primo livello ma credo sia indispensabile offrire approfondimenti per gruppi di apprendimento più contenuti.
A. Di Rosa
Diciamo che non nasce oggi, a seguito della pubblicazione delle note ministeriali, la sensibilità e la coscienza al tema; né tantomeno l’attenzione a porsi domande e cercare risposte che si tramutino in azioni concrete e dedicate.
Approcciare in modo concreto al disagio richiede uno sforzo e un’adesione fattiva condivisa dall’intera comunità educante. Dall’atteggiamento di accoglienza da parte dei docenti e del personale scolastico, fatto di garbo, considerazione, comprensione, delicatezza ed empatia (doti non comuni e difficilmente rinvenibili tra le pagine di un manuale), allo snellimento delle pratiche burocratiche (qui una buona sinergia con gli enti è requisito imprescindibile).
L’etica dell’ascolto, nella quale credo profondamente fino a farne la cifra del mio operare e del mio personale modo di interagire e comunicare, esprime a mio avviso il punto di contatto topico tra bisogno espresso e ricerca-azione. Includere gli alunni speciali significa, anzitempo, includere e accogliere le loro famiglie, loro stesse un po’ speciali, quotidianamente messe alla prova da difficoltà, intoppi burocratici, sclerosi relazionali, abbandono e mancata considerazione. Un genitore “ascoltato” è un genitore che percepisce la “carezza della Scuola”, che trova un appoggio reale nella comprensione, che registra la concretezza delle azioni e della progettualità misurata sulla Persona. E che, pur nel disagio, si sente meno solo.
La Scuola è, e deve essere, una porta aperta. Sempre.
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