Il verbo (dal latino verbum) è la “parola” per eccellenza. Insieme al nome, costituisce il materiale da costruzione di ogni discorso.
Il verbo è una parola che cambia in continuazione ed è quella che ha più forme in assoluto. Rispetto al nome, ha la capacità di indicare il tempo e di modificarsi in relazione al contesto in cui compare: le persone, il loro atteggiamento, le circostanze.
L’altra caratteristica che differenzia il verbo dal nome è la sua capacità di creare relazioni: in primo luogo con nomi e tra nomi. “Il nome e il verbo sono come i due poli di un campo magnetico” (Claude Hagège) ed è la forza di attrazione che li unisce a generare la frase. Maria Montessori, nella sua Psicogrammatica, paragonava il verbo al sole, che non si ferma mai e “irradia la sua forza animando la materia”.
Le grammatiche che si ispirano alla linguistica moderna assumono il verbo come perno e motore della frase, in virtù della sua capacità di attrarre a sé altre parole per creare un “piccolo dramma”, con un’azione teatrale (che il verbo stesso col suo significato suggerisce) e una serie di attori chiamati a metterla in scena. Questa metafora, come quella chimica della valenza, è stata introdotta dal linguista francese Lucien Tesnière.
Quando il verbo ha un significato pieno (cioè è un verbo “predicativo”, non “copulativo” né con funzione ausiliaria o di supporto) ed è coniugato in una forma finita (cioè in uno qualsiasi dei modi verbali a parte infinito e participio), può funzionare come “regista della frase”. A seconda del suo significato, può chiamare in scena un protagonista (quello che chiamiamo “soggetto”) e uno o due comprimari (“oggetti”), pronti a occupare le diverse posizioni e a ricoprire i ruoli previsti dalla sceneggiatura, vestendo i panni appropriati. Intorno agli attori principali potranno poi disporsi altri elementi, che contribuiranno alla scenografia.
“Cerca il verbo”
L’abitudine a “cercare il verbo” nella frase e a ricostruire (mentalmente o sulla pagina) la rete di relazioni che il verbo istituisce è un “riflesso” che va educato fin dalla Scuola primaria con un’attività di riflessione linguistica adeguata e graduata. Basandosi però non sul semplice significato delle parole (il verbo non sempre indica un’azione: può indicare uno stato sperimentato da un soggetto, un sentimento che si prova, un evento che si produce da sé, la collocazione di un referente nello spazio o nel tempo), ma su indizi morfologici (le desinenze) e sintattici (i legami o valenze).
Sviluppare questo riflesso è utile non solo ai fini della corretta analisi della frase (quindi nell’ora di grammatica), ma anche per la lettura e la scrittura dei testi di ogni genere perché consente di ricostruire l’ossatura delle frasi in modo da accedere più rapidamente alla comprensione (se stiamo leggendo) ed esercitare un controllo consapevole sulla sintassi (quando scriviamo).
Sviluppare la capacità di distinguere il centro della frase (formato dal verbo e dagli altri elementi necessari) dalla periferia della frase è il passo successivo: un obiettivo irrinunciabile per accedere a testi più complessi, come lo è per uno strutturista che voglia costruire un edificio distinguere le pareti portanti dai tramezzi. Sulle strutture portanti non si può barare: ci sono regole da seguire perché la casa stia in piedi. Lo stesso accade in una frase: non possiamo negoziare la forma di un verbo che prevede un soggetto; al massimo potremo lasciare il soggetto sottinteso perché la nostra lingua lo consente (dal momento che è sempre possibile ricavarlo dalla desinenza del verbo). Non possiamo togliere un oggetto diretto a un verbo che lo richiede (a meno che non vogliamo intensificare o modificare il suo significato), né decidere la preposizione retta da un verbo che abbia alle sue dipendenze un oggetto indiretto: piacere regge a, dubitare regge di, optare regge per e così via. Appena ci allontaniamo dal centro della frase, tuttavia, la nostra libertà diventa più ampia e dobbiamo imparare a esercitarla con la consapevolezza dei risultati che ogni scelta produce.
Ragionare col cloze
Un esercizio utile per ragionare sulla rete di relazioni semantiche e sintattiche attivate da un verbo è il cloze. Eliminando le forme verbali da un testo molto semplice saremo costretti a ricostruirle seguendo il significato delle parole adiacenti, ma anche guardando ai legami sintattici (rispettando l’accordo grammaticale e la saturazione delle valenze) e alla tonalità del testo (in un testo narrativo saranno privilegiati i tempi del racconto). All’interno di un testo, peraltro, si può cogliere con maggiore efficacia la distinzione tra la serie dei “tempi deittici” (che servono cioè a collocare un fatto nel tempo: passato, presente o futuro) e quella dei “tempi anaforici” (i tempi dell’anteriorità, che si usano in relazione a un altro tempo verbale presente nel testo). Diventa più facile comprendere anche la vocazione di tempi verbali come il congiuntivo e il condizionale, che compaiono tipicamente alle dipendenze di un altro modo verbale.
Un esempio concreto: Il ragno e lo scorpione
Proviamo a fare un esempio prendendo la prima parte di una Storietta di Luigi Malerba da cui avremo appositamente eliminato le forme verbali.
Il ragno e lo scorpione (1) ___________ a lungo. Il ragno (2) __________ di (3) _________ più bello dello scorpione e lo scorpione più bello del ragno. (4) ________ una pancia bella rotonda, (5) ________ il ragno, e (6) _______ (7) _______ la tela ricamata a forme geometriche. E lo scorpione (8) _______: io (9) ________ piccolo ma (10) __________ molto grande. Anch’io (11) __________ grande, (12) ____________ il ragno, e (13) _______ tante gambe leste e sottili. Io (14) _______ due tenaglie e tu nemmeno una, (15) __________ lo scorpione, poi (16) ________ parte dello Zodiaco e (17) _________ su tutti i calendari. Io non (18) __________ le ali ma (19) ________ a (20) _________ sospeso nell’aria come un uccello, (21) __________ il ragno. Io (22) ________ la coda, (23) _________ lo scorpione.
Cosa possiamo osservare?
Prima di analizzare e commentare il testo e l’esercizio riportiamo lo stesso brano con i verbi inseriti.
Il ragno e lo scorpione litigarono a lungo. Il ragno sosteneva di essere più bello dello scorpione e lo scorpione più bello del ragno. Ho una pancia bella rotonda, diceva il ragno, e so fare la tela ricamata a forme geometriche. E lo scorpione diceva: io sono piccolo ma sembro molto grande. Anch’io sembro grande, diceva il ragno, e ho tante gambe leste e sottili. Io ho due tenaglie e tu nemmeno una, diceva lo scorpione, poi faccio parte dello Zodiaco e vengo stampato su tutti i calendari. Io non ho le ali ma riesco a stare sospeso nell’aria come un uccello, diceva il ragno. Io ho la coda, diceva lo scorpione.
Il colpo d’occhio su un testo privato dei verbi basta a farci capire l’importanza del verbo per collegare e mettere in movimento nomi che fanno riferimento a entità di per sé inerti. (Nel finale della storia, entrambi converranno sul fatto di essere brutti).
Il testo ha una tonalità narrativa: ci aspettiamo dunque di dover inserire imperfetti e perfetti (opposti tra loro in relazione all’aspetto, compiuto o durativo, dell’azione), ed eventualmente trapassati (per esprimere l’anteriorità); il presente sarà richiesto nelle battute dialogiche. La presenza dei soggetti ci permette poi di ricavare la persona da selezionare nella coniugazione del verbo (terza singolare o plurale nella parte del racconto, prima e seconda singolare nel dialogo). Sarà l’occasione per riflettere sul legame privilegiato che unisce il verbo al suo soggetto, il quale non necessariamente indica “chi fa l’azione” (lo scorpione e il ragno si descrivono per lo più come “possessori” di certe caratteristiche), ma sicuramente funziona da primo riferimento del verbo ed è l’elemento che impone al verbo l’accordo. Interessante osservare come il soggetto, che normalmente è posto prima del verbo, possa anche trovarsi posposto all’interno delle didascalie del dialogo (spazi 5, 12, 21 e 23).
In questo breve testo è possibile osservare anche l’alternarsi di due modalità di discorso: quello diretto (sono presenti numerose battute di dialogo, sia pure in assenza di segni specifici come i trattini introduttori o le virgolette) e quello riportato (spazio 3), un altro elemento di complessità di cui tenere conto.
Nel testo, inoltre, compaiono sia predicati nominali e sia predicati verbali: quando allo spazio segue un aggettivo (3, 9, 10, 11), la scelta cadrà sulla copula essere o al limite su sembrare quando ci siano due qualità contrapposte (spazi 9 e 10). Quando allo spazio segue direttamente un nome, ci orienteremo invece su un verbo transitivo: nella maggior parte dei casi avere, visto che si tratta di una descrizione di parti del corpo (ma si potrebbe usare anche possedere). Nelle didascalie inseriremo sempre un verbo di dire, che pur essendo transitivo non ha un oggetto diretto di forma nominale ma regge un’intera frase (la battuta di dialogo).
Un altro aspetto che si può osservare è la diatesi: in almeno un caso sarebbe richiesto un verbo di forma passiva (spazio17: vengo stampato), anche se la forma attiva di un altro verbo come comparire è ugualmente accettabile. Merita di essere osservata anche la sequenza degli spazi 6 e 7: evidentemente siamo in presenza di una forma perifrastica con un verbo modale (nello specifico sapere) e un verbo di significato pieno (va bene il generico fare, ma si potrebbe usare anche il più specifico tessere). Anche la sequenza di spazi 19 e 20 offre una costruzione analoga; questa volta tuttavia, troviamo la preposizione a tra i due verbi: la scelta cadrà perciò su riuscire nel primo caso e su restare o rimanere nel secondo. Nello spazio 16 la scelta del verbo è condizionata dalla combinazione lessicale prevedibile: lo scorpione è un segno zodiacale, dunque fa parte dello Zodiaco. La riflessione sulla sintassi, in questo modo di procedere, va di pari passo con quella sul lessico, sui sinonimi e sulle solidarietà lessicali.
I vantaggi nel fare questo tipo di esercizi
Un esercizio di questo tipo – se non si esaurisce nel mero riempimento degli spazi vuoti, ma diventa occasione di discussione sulle ragioni delle scelte effettuate e sull’accettabilità di eventuali proposte alternative – diventa un’occasione per costruire lezioni in cui l’insieme di conoscenze grammaticali e lessicali implicite, possedute dagli alunni e utilizzate per arrivare alla soluzione, viene esplicitato e sottoposto a verifica e confronto.
Un’occasione anche per l’insegnante di “rifare il cammino con l’alunno”, come suggerisce il pedagogista francese Philippe Meirieu: mettendosi nei panni di chi apprende per affiancarlo nella comprensione del meccanismo espressivo più spontaneo e più complesso insieme, la lingua, così come è stata modellata nei secoli per mettersi al servizio della narrazione.
Referenze iconografiche: SakSa/Shutterstock