Spesso i ragazzi pensano che chi scrive poesie sostanzialmente sia depresso, solo, un po’ escluso dalla vita sociale attiva, e insistere sul dolore di Leopardi o il giansenismo di Manzoni non aiuta. Pensano che studiare i poeti serva a prepararsi alla prova d’esame, oppure sia utile solo a chi vuole fare Lettere e filosofia all’università, oppure ancora a chi ha “il pallino della lettura”.
E se invece di esigere la lettura il professore decidesse improvvisamente di condividere il suo personale piacere di leggere? (Daniel Pennac)
La scintilla che può accendere l’interesse dipende dal “maestro” che incontrano: un maestro che gli spieghi che le canzoni da loro amate sono poesie; che quanto scrivono sui social a volte è poesia; che quello che vibra nelle loro parole, a cui non danno credito, spesso è poesia in attesa di forma e abito; che il loro silenzio imbarazzato o il falso schermo della commozione provata è poesia nascosta che attende la luce. A quel punto, il “maestro” spiegherà che la letteratura e la poesia non è “storia della letteratura”, perciò non avrà l’ansia di far apprendere loro una sequela di nomi, opere e contesti; non darà l’immagine della poesia come di scienza esatta controllabile in esempi, esercizi, specchietti di analisi; non avrà interesse a criticare il mondo mediatico e digitale in opposizione agli uomini di lettere; ma neppure cercherà di scovare legami improbabili e fittizi fra l’impegno civile foscoliano e quello dei cantanti rap di oggi. Insomma, a quel punto serve un “maestro” che non si nasconda dietro le pagine del manuale, dietro le difficoltà del nostro contesto sociale, dietro l’elenco dei contenuti del programma, per mostrare, invece, chi è lui e chi è il poeta con cui i ragazzi devono paragonarsi. Un maestro che rischi qualcosa di sé leggendo quei versi, cercando di comunicare sorpresa o commozione; un maestro che si muova con libertà e passione dentro i testi, alla ricerca di qualcosa di significativo per sé e per i suoi ragazzi.
Gli esiti? Imponderabili
Dipendono dalla libertà di chi il maestro ha davanti a sé. Si possono far imparare a memoria le date di una biografia, i dati di un contesto, la struttura metrica della poesia in analisi, la definizione di una figura retorica; ma non si può costringere nessuno ad amare un verso. Tuttavia, l’unica strada per creare le condizioni adeguate a che ciò avvenga, è incontrare quel maestro lì. Allora può accadere che la passione si accenda dentro qualcosa che sei obbligato a studiare. Può accadere che un alunno di un istituto professionale ti chieda al termine della lettura del canto di Dante: “Prof, dai andiamo avanti … come va a finire?”; può accadere che qualcuno, magari uno solo, si fermi al termine della lezione e ti chieda dove può acquistare quel libro; può anche accadere che una classe intera si lasci interrogare da un sonetto di Petrarca, chiedendosi con il docente perché il poeta usi così tante volte la congiunzione e in così pochi versi, arrivando a stupirsi che quella parolina insignificante serva a comunicare qualcosa…
L’atto estetico ha a che vedere con la libertà e col mistero
Anche a scuola. Il maestro ha il compito di favorire tale avvenimento. E i ragazzi attendono proprio questo, anche se non sembra: attendono qualcuno che solleciti la loro libertà e allarghi i loro orizzonti all’ignoto da scoprire. Allora si accendono. Per favorire questa scintilla, dobbiamo risalire con loro ai motivi per cui insorge l’atto poetico: l’unico grande motivo è una domanda infinita, una ricerca inesausta di quell’uomo che ha preso carta e penna. Io docente ho in me tale domanda? E desidero provocarla e innalzarla nei miei ragazzi? Picconare quel modo di vivere utilitaristico e funzionale, di cui spesso noi umanisti o adulti in genere accusiamo i giovani e il mondo, parte anche da qui. E non è facile. Perché è chiaro che dobbiamo partire da noi stessi, da un io che incontra un tu, dentro una manciata di versi. Nell’alveo di questo incontro di umanità, nell’ambito di questo intrecciarsi di esperienza fra chi legge e chi scrive, si colloca tutto il resto: infatti, soltanto a questo punto si è sollecitati a capire l’influsso dell’ambiente sul nostro Leopardi, si è incuriositi sulla vita del popolo siciliano al tempo di Verga, oppure ancora si ragiona sulla distanza fra le date di pubblicazione dei romanzi di Svevo.
Disponibilità allo stupore
Per avvicinare i ragazzi alla poesia non dobbiamo aspettare un certo livello di scuola, non dobbiamo avere fra le mani i grandi poeti della nostra letteratura: possiamo iniziare fin da subito, nella scuola primaria e in quella secondaria di primo grado. In questi anni, i bambini hanno ancora in sé quella disponibilità allo stupore e alla meraviglia che rende la poesia un oggetto di per sé interessante. Essa infatti incontra, in modo immaginifico e musicale, il loro mondo interiore, dominato ancora da una primordiale ingenuità e purezza. Proprio in questi anni una adeguata introduzione al sentire poetico può dare grandi frutti, come apertura all’oggetto poetico, tensione all’ascolto, desiderio personale di leggere, arricchimento lessicale, stimolo creativo. Al contrario, in questi stessi anni può nascere disaffezione e disinteresse, mentre la curiosità originaria soffoca nelle griglie dell’analisi testuale. Come le tabelline e l’ortografia sono oggetto di apprendimento degli anni dell’infanzia e della scuola primaria, così anche l’educazione alla poesia – come musica, immagine, colore – ha in questi anni terreno fertile e privilegiato. La seconda tappa è all’inizio dell’adolescenza, quando i versi di Pascoli, così simili a un quadro impressionista, così belli da rappresentare con un disegno per appenderlo in classe, iniziano anche a introdurre a un significato esistenziale. E il maestro di cui sopra avrebbe la strada facilitata nell’introdurre i ragazzi alla scoperta delle dimensioni più profonde di quella stessa poesia che loro già hanno incontrato una prima volta… come incontrare di nuovo un amico dopo del tempo e scoprirne cambiamenti e nuovi modi, dentro l’eco di una bellezza già assaporata.
Vogliamo l’abilità ma, da sola, è mortale. Necessaria è la visione che l’accompagna. (Flannery O’Connor)
Gli anni della scuola secondaria di primo grado sono preziosissimi per tale percorso e le possibilità didattiche infinite. Spesso abbiamo l’ansia di fornire abilità di ogni tipo nell’analisi del testo letterario, senza considerare che il primo biennio delle superiori è tutto centrato proprio su quelle abilità e conoscenze (riconoscere la specificità del fenomeno letterario e utilizzare i metodi di analisi del testo, distinguendo i vari generi letterari e apprendendo nozioni di metrica e figure retoriche; saper leggere testi letterari cogliendo le implicazioni e le sfumature di significato proprie di ciascuno di essi, in rapporto con la tipologia e il relativo contesto storico e culturale). È dunque importante che i ragazzi siano introdotti all’analisi narratologica e a quella della struttura poetica, senza però scordare che lo stupore e la meraviglia sono atteggiamenti da favorire e educare proprio negli anni più ricettivi a tale azione educativa. Una didattica impostata sulla domanda personale da porre al testo; una metodologia basata sull’ascolto e la percezione viva delle parole; una serie di attività centrate sulla ricerca dei legami fra la mia persona e l’espressione poetica: questi sono gli elementi essenziali nel percorso scolastico fra infanzia e preadolescenza.
Propongo, negli allegati, un’esperienza svolta in una classe prima della scuola secondaria di primo grado: di essa forniamo uno schema descrittivo dell’unità di apprendimento e le rubriche di valutazione.
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