Letteratura e geografia a braccetto

Nella riorganizzazione dei curricula liceali varata nel 2010, la Geografia, da sempre confinata nel primo biennio, per evidenti esigenze d’orario è stata accorpata alla Storia, con sensibile riduzione del tempo globale a disposizione.
A compensare, sia pure in piccola misura, i sacrifici imposti alla Geografia, può intervenire la Letteratura, mossa com’è da un’insaziabile curiosità di conoscere tutte le sfaccettature del mondo.

Una feconda sinergia

Le Indicazioni nazionali spingono nella direzione, in astratto seducente ma di dubbia fungibilità, di una disciplina integrata, la Geostoria, al cui concreto decollo osta, però, una difficoltà pressoché insormontabile: quella di conciliare le coordinate spaziali proprie della descrizione geografica con la dimensione prevalentemente diacronica che contraddistingue la narrazione storica, tanto più dovendo far interagire l’orizzonte per definizione odierno dell’una col mondo antico o altomedievale nel cui bacino cronologico si dipana il nastro della Storia affrontata durante il primo biennio delle medie superiori.

Comunque, a compensare, sia pure in piccola misura, i sacrifici imposti alla Geografia, può intervenire la Letteratura, mossa com’è da un’insaziabile curiosità di conoscere tutte le sfaccettature del mondo. Certo, non è pensabile surrogare per via letteraria lo studio sistematico della Geografia: la didattica della Letteratura persegue altri obiettivi ed è in grado di assolvere solo in parte funzioni di supplenza. Tuttavia, l’affermarsi nell’area delle scienze umane di quello che è stato definito lo spatial turn e la fortuna crescente di un’ermeneutica letteraria centrata sulla dimensione locale o comunque attenta alle caratteristiche e alle peculiarità di una regione, di una città o di un territorio, dalle intuizioni pionieristiche di Carlo Dionisotti alle più recenti formulazioni “geocritiche” di Bertrand Westphal e di Robert Tally, ci assicura che dall’esame delle opere letterarie può giungere un contributo nient’affatto irrilevante all’acquisizione di nozioni e di competenze riconducibili al perimetro disciplinare della Geografia.

Del resto, non è un caso se diversi manuali scolastici di Geografia impiegano anche brani letterari per affrontare tematiche di stretta osservanza geografica, e non soltanto – si badi – in riferimento alla varietà e alla bellezza dei paesaggi e dei fenomeni naturali. La Geografia, infatti, è sempre meno una scienza della natura, paga di consegnarci una morfologia meramente fisica del pianeta, e sempre più una scienza antropica, che si occupa dei modi di vita di gruppi umani in un determinato territorio, e quindi anche di organizzazione, di produzione, di scambi, di usi e costumi. Peraltro, dopo la rivoluzione industriale, il rapporto con l’ambiente non si configura più all’insegna della soggezione e dell’adattamento alle forze e alle leggi di natura, com’è stato per un numero indefinito di millenni, ma sotto la dominante antropocentrica, e vorrei dire prometeica, del controllo e dello sfruttamento delle risorse naturali, della manipolazione genetica, del primato della tecnologia e dell’inarrestabile, incalzante, espansione degli spazi artificiali: ciò che chiama, di nuovo e doppiamente, in causa il fattore antropico.

Il senso dei luoghi: l’invenzione letteraria degli stereotipi geografici

Sul processo culturale di elaborazione e sedimentazione nell’immaginario collettivo degli stereotipi geografici, la Letteratura torna spesso a giocare un ruolo determinante, in quanto generatrice o divulgatrice di clichés identitari. La fortuna scolastica di certe pagine canoniche ha impresso a tal punto, nella memoria di intere generazioni di giovani, l’immagine di questo o quell’ambiente, da fare aggio, non di rado, persino sull’esperienza diretta, quasi che l’osservatore, vittima di un incantesimo contemplativo, non sappia più prescindere dal filtro letterario che si è insediato nella sua mente come forma ed essenza di quel dato luogo. È il potere di suggestione che emana dalle opere letterarie, capaci di impadronirsi della nostra coscienza appercettiva, obbligandoci a guardare con gli occhi stessi dell’autore. Parlerei, in questo senso, di visione per delega dei luoghi.

Piuttosto, ci si dovrà chiedere se e in che misura la lente letteraria restituisca della realtà geografica considerata un’immagine rispondente al vero, lucida, profonda ed esaustiva, oppure ne veicoli una visione, a seconda dei casi, parziale, ideologica, opaca, oleografica o mitica, comunque distorta o riduttiva. Per fare, di volta in volta, la debita tara alle rappresentazioni letterarie degli scenari ambientali viene in aiuto il metodo reticolare, stratigrafico e multifocale adottato dalla geocritica, basato sull’analisi contrastiva e interdisciplinare del maggior numero possibile dei documenti disponibili, letterari e non, relativi all’entità geografica, il cosiddetto “realema”, prescelta quale oggetto dell’indagine incrociata. In questa prospettiva, volendo tradurre le suggestioni della geocritica in concrete unità didattiche, si potrebbero suggerire, a campione, molti confronti ravvicinati tra autori che hanno descritto la medesima città, come Trieste o Napoli, oppure, dilatando opportunamente il diaframma, un’area geografica a denominazione d’origine controllata, come le Langhe, la Maremma, la Brianza, o ancora un distretto economico, come, sul versante industriale, Ivrea o Vigevano, o, naturalmente, un’intera regione, come la Sicilia. Fra l’altro, il confronto potrebbe essere utilmente eseguito anche su basi non territoriali, a partire da analogie e apparentamenti tematici inerenti alla geografia fisica, umana o economica, quali le periferie urbane, la provincia, il paese, la frontiera, le coste, l’isola, il mare, le campagne, la pianura, la collina, le valli, il sottosuolo, i mezzi di trasporto, gli interni abitativi, gli spazi commerciali, i luoghi di svago, di culto e di lavoro.

Ecologia dei mondi possibili

Il caso, davvero paradigmatico, delle Città invisibili di Calvino ci introduce a un’altra categoria geografica, quella tutta mentale dei “mondi possibili”. Questa licenza di immaginare luoghi non attestati in alcun atlante è più frequente di quanto non si creda, se Alberto Manguel e Gianni Guadalupi hanno potuto redigere un corposissimo Dizionario dei luoghi fantastici. Si chiederà quale concreto apporto geografico possa fornire un’invenzione di terre inesistenti che fa leva più sul “meraviglioso” che sul “realistico”. Certo, se pretendessimo di localizzarle in un punto esatto di una mappa, dovremmo aspettarci la stessa risposta deludente data a Kublai Kan dal Marco Polo di Calvino: «Per questi porti non saprei tracciare la rotta sulla carta né fissare la data dell’approdo». Ma i “luoghi fantastici”, come insegna l’autore delle Città invisibili, sono comunque la proiezione della realtà, traducendo in forma visionaria una concreta esperienza di vita associata o un desiderio compensatorio di rapporti armoniosi, suggeriscono insomma il senso ultimo (infernale) delle moderne geografie urbane e le istanze (utopiche) di una palingenesi sociale e ambientale.


D’altronde, non è detto che un giorno i “mondi possibili” tratteggiati dalle opere d’invenzione non si debbano da qualche parte realizzare. Gli scrittori, in quanto si esercitano a disegnare mondi, sono i profeti e gli architetti delle geografie future, sia quando adombrano “terre promesse”, sia quando prefigurano scenari apocalittici. In questo senso, i testi letterari non possono che venire in aiuto ai tanti geografi che hanno mostrato, negli ultimi decenni, di voler liberare la loro disciplina dalle sue angustie tradizionali di scienza meramente descrittiva e sincronica, occupandosi anche dei cambiamenti climatici e ambientali, su scala locale o planetaria. Infatti, in virtù della sua vocazione a distendersi lungo l’asse del tempo non meno che ad allargarsi nello spazio, per cui racconta anche di sviluppi, svolte e trasformazioni, la Letteratura restituisce, del mondo, un’idea dinamica, di realtà soggetta a incessante metamorfosi. In quanto si apre alla dimensione del divenire, contemplando anche i mutamenti intervenuti nella morfologia di un determinato territorio, la Geografia trova nella Letteratura una validissima alleata.

La sinergia tra le due materie scolastiche si può esplicare, infine, nell’ambito di una coscienza ecologica che ormai, a seguito delle vistose alterazioni del paesaggio e degli equilibri naturali provocate dall’inarrestabile progresso tecnologico, appartiene tanto alla Geografia quanto alla Letteratura. Né l’una né l’altra potrebbero far finta di non accorgersi dei disastri ambientali che recano senza eccezioni la firma dell’uomo e che stanno pericolosamente minando le basi dell’ecosistema terrestre. Nel caso specifico, anche a non voler richiamare il Parini della Salubrità dell’aria, il Calvino ambientalista della Speculazione edilizia, della Nuvola di smog e di tante pagine ulteriori, come pure l’ampio repertorio della letteratura di fabbrica e del romanzo apocalittico, si prestano egregiamente al compito vicario di infondere nelle generazioni in crescita una più consapevole e matura sensibilità ecologica, in una con la visione strategica dello “sviluppo sostenibile”.

Referenze iconografiche: S-BELOV/Shutterstock

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Giuseppe Langella

Già professore ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e direttore del Centro di ricerca “Letteratura e cultura dell’Italia unita”, è presidente della “Società italiana per lo studio della modernità letteraria” (Mod). Da sempre attivo nel campo dell'aggiornamento scolastico, promotore di corsi e pubblicazioni di didattica della letteratura, è coautore per Sanoma, insieme a Pierantonio Frare, Paolo Gresti e Uberto Motta, della Letteratura italiana Amor mi mosse (2019).