Insegnare il Novecento - Parte 1
I classici
Lo stato del problema è ben noto a tutti gli insegnanti. Da un lato si ha un secolo di letteratura ormai concluso, che anzi deborda già nel secolo nuovo, e non può essere ignorato a scuola, se non si vuole cancellare la coscienza della storia culturale recente, indispensabile perché i giovani capiscano il presente in cui vivono e perché maturino una formazione civile; dall’altro si distendono i secoli di un’illustre tradizione, che ha dato alcuni dei più grandi capolavori della letteratura mondiale.
Perché studiare classici?
Le nuove Indicazioni nazionali sono intese proprio a lasciare spazio alla letteratura contemporanea, e per questo sono state accolte con favore da molti insegnanti. Ma il prezzo da pagare è alto: per ritagliare quello spazio si comprimono in un solo anno di corso gli scrittori più grandi, Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Machiavelli, Tasso. È evidente che è impossibile in un tempo così limitato studiarli come meriterebbero, e il risultato inevitabile è che si declassano gli autori grazie a cui la letteratura italiana conta veramente nel panorama mondiale e che non possono non far parte del bagaglio culturale del cittadino.
Per di più, vi è un’altra ragione per cui risulta intollerabile sacrificare i classici: non solo perché si rinuncia alla trasmissione di un grande patrimonio di bellezza, ma anche perché si preclude l’opportunità che essi offrono di stabilire un legame col passato, di vitale importanza per i giovani attuali. Oggi i giovani vivono appiattiti in un fittizio presente, senza consapevolezza dello spessore storico, e il passato è per loro una nebulosa confusa, al massimo un repertorio di finzioni evasive, non collocabili in alcuna precisa dimensione cronologica: colpisce infatti l’incapacità di gran parte degli studenti (anche all’università) di situare opere ed eventi della letteratura, come della storia politica, sociale ed economica, in un contesto storico anche solo approssimativo, persino per epoche non remote nel tempo. Questo vivere solo nel presente, senza profondità storica (sarebbe troppo complesso qui cercarne le cause, cioè aprire un discorso sulla postmodernità) è oltremodo pericoloso: innanzitutto, e non c’è quasi bisogno di ricordarlo, perché priva della consapevolezza delle radici da cui si è sviluppata la realtà in cui viviamo oggi, mentre proprio la lettura dei testi letterari del passato, portando alla luce quelle radici, permette di capire aspetti essenziali del presente; inoltre, e su questo non si riflette abbastanza, è pericoloso perché la mancata conoscenza del passato priva anche della prospettiva del futuro. L’appiattimento radica infatti l’idea che quella in cui si vive sia l’unica realtà possibile, senza alternative, e questo induce all’accettazione passiva dell’esistente. Diviene allora importante capire che il passato non è solo la preistoria del presente, ma è anche per tanti aspetti una realtà profondamente diversa, non commisurabile a esso.
La letteratura, con la profondità di sguardo che è propria dei grandi capolavori, può essere per lo studente un veicolo per immergersi in mentalità, modi di pensare e di vivere, sistemi di valori e parametri di interpretazione del mondo diversi da quelli a cui è abituato a riferirsi (si pensi solo a Dante e al Medioevo), come se entrasse in contatto con una civiltà antropologicamente altra, e attraverso il confronto con il diverso il giovane può arrivare a rendersi conto di come la realtà non sia statica, ma in perpetuo divenire, e produca continuamente forme peculiari di società e di pensiero. Può così assumere coscienza della dinamicità della storia, del fatto che infiniti cambiamenti l’hanno percorsa, e perciò capire che il cambiamento è sempre possibile; attraverso questa coscienza può allora arrivare a liberarsi della semplice accettazione dell’esistente e a rivestire una funzione dinamica nella convivenza civile. Non solo, ma grazie all’esperienza del diverso può imparare a non respingerlo con paura e diffidenza, ma ad accettarlo nella sua ricchezza in tutte situazioni, anche e soprattutto fuori dalla dimensione letteraria, nella sua vita quotidiana.
Il problema della lingua
Purtroppo alla compressione prevista dalle Indicazioni nazionali e alla scarsità di tempo, che costringono a sacrificare i classici, si aggiunge ancora un’altra difficoltà: il lavoro su quegli autori a scuola è problematico perché gli studenti non possiedono più l’italiano letterario, che come si sa è lingua tutta diversa da quella dell’uso comune, nella quale non si usa speranza ma speme, non anima ma alma, non capelli ma crini, non premio ma guiderdone (per non parlare della sintassi). Tanto che per gli allievi risulta illeggibile non solo Ariosto, ma persino un poeta ben più vicino nel tempo come il Leopardi degli idilli, nei quali «molceva il core», «sempiterni calli», «german di giovinezza» suonano per i ragazzi d’oggi come formule misteriose, per cui occorrono ampie parafrasi e accurate spiegazioni in classe, tutte cose che richiedono tempi lunghi e fatica.
D’altro lato, proporre i classici tradotti in italiano moderno (come oggi si vede fare da certi editori: penso al Principe pubblicato per il centenario da Donzelli) significherebbe egualmente cancellare la tradizione, perché i classici sono tali proprio perché scritti in quel modo, perché i significati passano in prima istanza attraverso le forme dei significanti, e di conseguenza pensare che leggere Machiavelli “tradotto” sia leggere Machiavelli è un inganno fuorviante (non parliamo poi della poesia, dove il significante conta ancora di più).
Quale selezione è possibile?
Gettare la spugna allora, arrendersi? Cancellare il passato per le vierge, le vivace, le bel aujourd’hui? Non leggere più Boccaccio per leggere Baricco? Non credo che nessun insegnante potrebbe essere tanto «da viltade offeso».
Preso atto che non si può più godere del lusso di ampie letture dei classici ed è giocoforza sacrificare qualcosa, si potrà in compenso puntare sulla qualità anziché sulla quantità: scegliere di ogni autore pochi testi campione altamente significativi, dalla cui lettura in classe l’insegnante, attraverso il dialogo con gli allievi, può ricostruire il disegno complessivo dell’opera, le tematiche dell’autore, il suo profilo, i legami col contesto culturale e storico. Vi è una storicità immanente nei testi, che uno sguardo attento può individuare e portare alla luce: la storicità si può cogliere, al limite, anche nell’uso di una virgola. Ad esempio, per dare un’idea di Machiavelli, può bastare una lettura condotta in tal senso della lettera al Vettori del 10 dicembre, dei capitoli XV, XVIII, XXV e XXVI del Principe, del Proemio dei Discorsi, di due scene della Mandragola; e basta il confronto fra la sintassi machiavelliana con quella del Convivio di Dante per dare l’idea della rivoluzione mentale prodotta dal Rinascimento, come ha mostrato Luigi Russo in un’analisi famosa. Per tutto il resto si può rimandare a un manuale, da cui gli studenti, già instradati per l’essenziale dal lavoro in classe, potranno attingere le ulteriori informazioni. In questa operazione l’insegnante potrà rifarsi a un grande modello: penso ad Auerbach, che in Mimesis da brevi passi di poche righe riesce a ricostruire mirabilmente un’intera epoca storica, la sua mentalità, i temi letterari salienti. So bene che non sarà facile avvicinarsi a tanto modello, ma nella sfida si può giocare la bravura dell’insegnante, si parrà la sua nobilitade.
Referenze iconografiche: Wikimedia Commons